Middlesex Middlesex

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topodibiblioteca Opinione inserita da topodibiblioteca    23 Novembre, 2022
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Storia di una mutazione

Un titolo di per sé già evocativo che in estrema e raffinata sintesi racchiude la sinossi di questo romanzo: Calliope Stephanides, un protagonista (ma anche una protagonista) che scopre la propria bizzarria ed eccentricità sessuale causata da un gene recessivo che complici i capricci dell’ereditarietà si manifesta durante l’adolescenza. Ma visto che il mondo tratteggiato da Eugenides è tutto fuorché scontato e prevedibile, il titolo va oltre il suo significato più prossimo, in quanto dalle parole di Calliope, si capisce che “Middlesex” è in realtà un luogo, la casa che ospita tutta quanta la famiglia Stephanides, emigrata poco dopo la fine della prima Guerra Mondiale dalla Grecia verso gli Stati Uniti ed in particolare la città di Detroit.

A modo suo Eugenides attraverso le parole di Cal, nato femmina e poi diventato maschio, l’ermafrodito che narra la sua storia in prima persona, descrive un’epica che strizza l’occhio alla letteratura classica considerata l’origine greca dello stesso autore poi traslata alla famiglia Stephanides. Perché la sapiente capacità autoriale fonde il classicismo con la modernità più sconvolgente, addirittura in anticipo sui tempi, quando le questioni sull’identità di genere rispetto a quella biologica non erano ancora così rilevanti come ai giorni nostri. Eugenides anticipa che la storia di Cal attinge a Omero con un richiamo esemplare e adattato nelle prime pagine del libro: “Cantami, o diva, del quinto cromosoma la mutazione recessiva! Cantami di come fiorì sui pendii del Monte Olimpo…..Cantami le nove generazioni per cui viaggiò”.

Eugenides non dimentica i propri illustri avi ma l’intreccio che costruisce è tutt’altro che pomposo ed elegiaco, perché la storia di Calliope è in realtà una saga familiare sullo sfondo della storia americana, con alcuni passaggi memorabili come il racconto del lavoro logorante, ripetitivo ed estraniante alla catena di montaggio della Ford svolto dal nonno di Cal. Allo stesso tempo però ama variare e condire la storia con elementi di un realismo magico che ricordano un po’ Marquez, tra cui spicca la meravigliosa trovata di affidare alle arti divinatorie di nonna Desdemona la previsione sul futuro sesso del nascituro, basandosi sulle oscillazioni di un cucchiaio d’argento. E naturalmente al centro di tutto sta quindi la storia di Cal, il racconto dalla nascita all’adolescenza, fino all’età adulta, dando ampio risalto ad una serie di elementi chiave che accompagnano il lettore, come se si trattasse di indizi, di tasselli che man mano si ricompongono a proposito della presunta anormalità della Calliope femmina: il menarca che non arriva, il seno non sviluppato e soprattutto la travolgente passione adolescenziale provata nei confronti di una ragazza chiamata “l’oscuro oggetto del desiderio”.

Eugenides non ha però bisogno di colpi di scena od espedienti narrativi per stupire, anzi fin dall’incipit anticipa al lettore il cuore della storia: “Sono nato due volte: bambina, la prima….e maschio adolescente, la seconda”. Lo stupore infatti sta nella vicenda così sui generis di Cal, nella sua semplicità in quanto le sue insicurezze, i suoi turbamenti, i facili entusiasmi sono in fin dei conti caratteristiche comuni a tutti gli individui in cui anche il lettore può riconoscersi.

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martaquick Opinione inserita da martaquick    14 Mag, 2020
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L'EREDITà CHE CI PORTIAMO DENTRO

Ho letto tutti e tre i romanzi di Jeffrey Eugenides, so che poi ha scritto una serie di racconti ma non sono una persona che predilige quel tipo di lettura.
L'autore secondo me è molto particolare, ha una delicatezza tutta sua nel parlare delle storie che racconta; i temi sono scottanti ma lui li espone con sincerità e pacatezza, come se la sua schiettezza fosse leggermente attutita da una penna che si sente in difetto nel narrare alcune vite.
Il romanzo in questione, Middlesex, gli è valso anche un premio letterario ormai quasi vent'anni fa. Io l'ho letto nel pieno della mia adolescenza e tutt'oggi, passati una quindicina di anni, me lo ricordo benissimo ma quanto mi è rimasto impresso.
La storia inizia con l'amore, ahimè, di due fratelli, che fuggono dal loro paese per andare in un altro in cui spacciarsi da semplici innamorati.
Come oggi sappiamo bene i figli di persone imparentate tra loro si portano un'eredità nel sangue spesso negativa, che li porta a nascere con gravi problemi.
Calliope è la nipote di questi due fratelli innamorati: nasce come femmina ma già nella giovinezza non vi si riconosce.
Si sente attratta fisicamente dalle amiche e non si sviluppa come loro, si sente diversa in tutto e per tutto.
Quando finalmente Calliope scopre cosa c'è che non va nel suo essere, nata ermafrodita, decide di vivere la vita come gli è stata data, non senza sacrifici e grandi difficoltà emotive.
Ricordo che il romanzo non è uno di quelli che scorre ed incuriosisce ma piuttosto è destabilizzante; già l'ambito sessuale in genere in un racconto può turbare, sopratutto se esplicito, ancora di più lo è entrare nei particolari di un organo sessuale.
Callie si esamina, si corrode, si rassegna e alla fine si accetta per quel che non è, e decide di vivere la vita diversa da come gli era stato insegnato.
Penso che l'autore abbia fatto davvero un ottimo lavoro, un'analisi nella mente di una persona, senza genere e con tanti dubbi, che vuole solamente vivere la sua vita nella sessualità che sente e non che vede.

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kafka62 Opinione inserita da kafka62    29 Aprile, 2019
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UN GENE SOLITARIO SULLE MONTAGNE RUSSE DEL TEMPO

“La vita più che nel futuro ti proietta nel passato, indietro fino all’infanzia e a prima della nascita, fino a dove si comunica con i defunti”

Quello del romanzo di Jeffrey Eugenides è un titolo sottilmente ambiguo. Middlesex è infatti il quartiere di Grosse Pointe dove la famiglia Stephanides si trasferisce da Detroit alla fine degli anni ’60, ma allude altresì alla condizione del protagonista, un ermafrodito dalla sessualità indefinita, metà femmina e metà maschio, “middlesex” appunto. L’incipit è eccezionalmente iconico: “Sono nato due volte: bambina, la prima, un giorno di gennaio del 1960 in una Detroit straordinariamente priva di smog, e maschio adolescente, la seconda, nell’agosto del 1974, al pronto soccorso di Petoskey, nel Michigan”. Calliope/Cal, il narratore, nasce infatti con una rara malformazione: pur essendo geneticamente maschio, possiede, sia pure incomplete, le gonadi di entrambi i sessi. Siccome però nessuno alla nascita si accorge della cosa, egli viene allevato come una bambina. In modo simmetricamente opposto a quanto avveniva nei due romanzi di Tahar Ben Jelloun, “Creatura di sabbia” e “Notte fatale”, le influenze imposte (qui peraltro involontariamente, in buona fede se così si può dire) dall’ambiente si scontrano e prevalgono su quelle determinate dalla struttura cromosomica. Come si può ben capire, quello di “Middlesex” è un materiale narrativo incredibilmente forte, gravido di implicazioni psicologiche, antropologiche, mediche e sociali. Eppure Eugenides fa una scelta per molti versi spiazzante: toglie Calliope/Cal dalla scena per quasi metà del romanzo (fatta eccezione per alcuni brevi e fuggevoli accenni alla sua vita attuale) e, con una mossa genialmente azzardata, decide di andare cronologicamente a ritroso, di risalire la corrente del tempo, srotolando all’incontrario il sottile e impalpabile filo delle memorie familiari per raccontare la storia di due generazioni di Stephanides, alla ricerca di quel “peccato originale” che è la causa segreta della presenza nel corredo genetico del narratore di un cromosoma difettoso. “Io sono la proposizione conclusiva di una frase periodica, – dichiara eloquentemente all’inizio del romanzo - e quella frase comincia molto tempo fa, in un'altra lingua, e bisogna leggerla dall'inizio alla fine, che poi corrisponde al mio arrivo.” La cornice diventa così, imprevedibilmente, il centro di interesse del quadro, e scopriamo così che Desdemona e Lefty, i due nonni del narratore, sono in realtà fratelli di sangue, che hanno approfittato del viaggio dalla Turchia in America per coronare all’insaputa di tutti la loro incestuosa storia d’amore; e che Milton, il loro figlio, a sua volta ha sposato una sua cugina prima, permettendo al gene recessivo che probabilmente, in maniera innocua, veniva tramandato da centinaia di anni, di uscire improvvidamente allo scoperto. Questo retrocedere nel passato alla ricerca di una causa prima ricorda un po’ “Il signor Mani” di Abraham Yehoshua: ma se nel romanzo dello scrittore israeliano il “riavvolgere la pellicola all’indietro” faceva emergere un atavismo che è la metafora di un intero popolo, qui esso è l’occasione per raccontare una saga familiare, e indirettamente un’epoca storica, con un’operazione letteraria molto più “facile” e popolare. Con le parole di Cal, narratore inesplicabilmente onnisciente (quasi che i propri geni in attesa di nascere gli abbiano lasciato in eredità, oltre alle tare fisiche, anche la capacità di vedere retrospettivamente il passato), si dipanano così drammi personali (la “strana” morte di Zizmo) e tragedie collettive (l’incendio di Smirne, la Grande Depressione), stemperati però in un racconto ampio, arioso, fluente, con un ritratto vivace e colorito della comunità greca in America (con le sue cerimonie religiose, i suoi rituali quotidiani, le sue credenze e le sue superstizioni) che è forse la parte migliore del libro. Su tutti i personaggi emerge quello, umanissimo, di Desdemona, la nonna del protagonista, che vive in America come una perenne esule, con omerici accessi di disperazione e una costante aria di disapprovazione dipinta in volto o espressa attraverso il tempestoso agitare del suo ventaglio; legatissima alla tradizione e alla religione natia, con il suo inseparabile ritratto del patriarca Atenagora appeso sopra il letto, gira sempre con una scatola di legno dove un tempo conservava i bachi da seta e ora tiene un cucchiaio che utilizza per indovinare il sesso dei nascituri; dopo la vedovanza, infine, si ritira definitivamente nel suo letto dove “trascorre un decennio cercando con grande vitalità di morire”, organizzando nei minimi dettagli il proprio funerale e sfogliando il catalogo di bare “con l’eccitazione di chi esamina i depliant di un’agenzia di viaggi”. Nella mente rimane impresso anche l’anziano marito Lefty il quale, dopo un colpo apoplettico, inizia a perdere la memoria, dapprima le informazioni più recenti e poi, via via, quelle più vecchie, così che, mentre tutti si muovono avanti nel tempo, lui lo percorre all’indietro (un po’ come il romanzo, del resto), tornando con la mente il ragazzo greco che era cinquant’anni prima. Anche quando, dopo avere attraversato l’ascesa e il declino dell’industria automobilistica di Detroit, i murales di Diego Rivera e lo swing di Artie Shaw, la seconda Guerra Mondiale e la caccia alle streghe, nasce finalmente Calliope, il tema “bollente” dell’ermafroditismo continua a rimanere sullo sfondo, perché nessuno, nemmeno il vecchio medico di famiglia, si rende conto della sua anomalia. Così Calliope cresce come una bambina normalissima, e la sua infanzia è raccontata con toni di aneddotica leggerezza (come quando, nel pieno dei disordini razziali scoppiati a Detroit nel 1967, la piccola pedala in piena notte dietro un carro armato per andare a salvare l’amato papà accorso in città per cercare di salvare dalla distruzione il suo ristorante). E’ solo con l’arrivo della pubertà che il romanzo affronta la fase più problematica, quella in cui la ragazza inizia a percepire che c’è qualcosa che non va nel suo corpo (il seno non si sviluppa, le mestruazioni tardano ad arrivare), ma queste preoccupazioni si mescolano e si confondono con i normali dubbi di ogni adolescente alle prese con un corpo in continua, imprevedibile, trasformazione e con un’identità sessuale ancora incerta e non ben definita. Eugenides è bravissimo sia ad evitare una eccessiva “pruderie” sia a non solleticare morbosità voyeuristiche da buco della serratura: l’anomalia dei genitali di Calliope è descritta in termini delicati ed allusivi (il piccolo pene nascosto che viene paragonato, con una garbata metafora floreale, a un croco), mentre la sua ambiguità sessuale (già emersa inconsciamente nella scelta di interpretare l’indovino Tiresia – che nel mito aveva vissuto sette anni da donna – nella recita scolastica di fine anno) viene rivelata in una scena surreale e psichedelica, quando, strafatto dalla marijuana fumata con gli amici, esce sciamanicamente dal suo corpo per entrare in quello di Rex che sta pomiciando con l’Oscuro Oggetto (ovverossia l’amica del cuore), e così facendo riesce a “fare l’amore” con l’ambita meta del suo inconfessato desiderio per – se così si può dire – interposta persona. Si capisce come siamo lontani dai toni tragici di opere analoghe (penso per esempio a film come “XXY” di Lucia Puenzo o il più recente “Girl” di Lukas Dhont): la vicenda di Calliope precipita nel dramma solo con la visita al dottor Luce e, soprattutto, con la scena nella biblioteca pubblica in cui la (ancora per poco) ragazza cerca in un voluminoso vocabolario il significato di “ipospadia”, che la rimanda al termine “eunuco”, che a sua volta la rinvia a “ermafrodito” e infine all’inquietante parola “mostro”, che mette per la prima volta il narratore di fronte alla sua reale condizione, quella di un personaggio percepito dagli altri come un Minotauro dei nostri giorni, uno scherzo di natura, una creatura da rifuggire con un moto di ribrezzo. E’ un peccato che Eugenides, fino a quel momento splendido equilibrista della parola, rischi di rovinare tutto con una repentina e immotivata svolta dickensiana, quando il protagonista, scoperto dalla relazione del dottore dimenticata inavvertitamente sulla sua scrivania di essere geneticamente un maschio e spaventato all’idea di una probabile operazione chirurgica, scappa via dai genitori e si mette a peregrinare in California come un homeless. Confesso che certe sequenze, che si allontanano dalla miracolosa leggerezza mantenuta fino ad allora, mi hanno lasciato un po’ interdetto (come quando Calliope, ormai diventato a tutti gli effetti Cal, finisce per esibirsi in un equivoco peep show di San Francisco come uno dei “freaks” di Tod Browning), così come ho trovato discutibile la “captatio benevolentiae” del lettore quando gli si rivolge con espressioni del tipo “Paziente lettore, può darsi che tu ti sia chiesto…”. Al di là di queste piccole sbavature (tra le quali includo anche la deludente ed affrettata descrizione della vita di Cal adulto), che non sono comunque tali da inficiare il più che lusinghiero giudizio sul romanzo, Eugenides si rivela un narratore di razza, dalla prosa prodigiosamente sciolta, elegante e raffinata. Forse perché in parte riecheggia reali esperienze familiari dell’autore (il padre di Eugenides era anch’egli figlio di immigrati greci, e l’autore è nato e cresciuto a Detroit proprio come Cal), “Middlesex” risulta, se non magari il suo romanzo artisticamente più riuscito (molti gli preferiscono “Le vergini suicide”), sicuramente la sua opera più autentica, sentita e personale.

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"Creatura di sabbia" e "Notte fatale" di Tahar Ben Jelloun
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giovannabrunitto Opinione inserita da giovannabrunitto    01 Marzo, 2019
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il sesso di una persona non è poi così important

Prima di iniziare a parlare del libro, vorrei parlare dell’autore, Jeffrey Eugenides. Questo scrittore ha oggi 59 anni, è professore di scrittura creativa presso l’Università di Princeton ed ha scritto nella sua carriera di scrittore 3 romanzi:

-Le vergini suicide del 1993, dal quale è stato tratto un celebre film di Sofia Coppola;
-Middlesex del 2002;
-La trama del matrimonio del 2011.
Entrambi i 3 libri possono essere considerati romanzi di formazione, romanzi attraverso i quali si dirama la via e le trasformazioni che accompagnano la vita di ciascuno di noi dall'infanzia verso la vita adulta. Dei tre, ho scelto Middlesex perché meglio rappresenta, oltre che il cammino per diventare adulti, anche il passaggio da un genere ad un altro. In questo libro, la diversità di genere, la differenza tra maschile e femminile si annulla, perché entrambi i caratteri, entrambi i generi sono assommati in un’unica persona.

L’incipit del romanzo è straordinario:

Sono nato due volte: bambina, la prima, un giorno di gennaio del 1960 in una Detroit straordinariamente priva di smog, e maschio adolescente, la seconda, nell’agosto del 1974, al pronto soccorso di Petoskey, nel Michigan.

Ma la storia di Calliope prima e di Cal dopo, non decolla subito. La prima parte della storia si concentra sul passato della famiglia Stephanides e siamo a Smirne, nel 1922. La guerra greco-turca raggiunge l’apice nell’agosto del 1922 e Smirne, oggi Izmir, città che affaccia sul Mar Egeo, viene riconquistata dai turchi e viene data alla fiamme. I greci, gli armeni e gli stranieri residenti nella città cosmopolita sono trucidati. Le vittime sono 30.000 su una popolazione di 370.000. I rifugiati che scapperanno dalla città sono 250.000 circa. Tra questi vi sono i nonni paterni di Calliope.

Lefty e Desdemona, però, non sono due fratelli come gli altri. Sono rimasti orfani da qualche tempo e vivono soli ai margini di in un paese che si chiama Bitinio. L’adolescenza e le pulsioni d’amore li colgono entrambi alla sprovvista. A proprio modo, cercano di resistere ma la situazione straordinaria di guerra nella quale si trovano e la pressoché certezza di morte li pone davanti ad una scelta fuori da ogni schema: se si imbarcheranno vivi verso gli Stati Uniti, si ameranno per sempre. Il tabù è rotto. E la città di Detroit li aspetta. Sulla nave che li porta nel nuovo mondo si danno un’identità nuova e si sposano.

Cal, uomo adulto di 40 anni, ripercorre passo passo la vita dei nonni e, in questo peccato originale che li unisce, identifica la strada che percorrerà il gene “bacato” che ha dato origine alla sua diversità.
Nel mentre, la storia di sposta sull’incontro di Cal con Julie Kikuchi, un’artista asiatica che incontra a Berlino, città dove Cal vive e lavora. Almeno fino a quando il suo lavoro per il Dipartimento di Stato (Foreign Service) non lo porterà in un’altra città, in un altro posto. Perché la vita di Cal rispecchia il suo essere. Cal è un pseudoermafrodito, una persona con entrambi i caratteri genetici sessuali, sia femminili che maschili. Questa sua particolarità lo rende diverso. La diversità lo spinge ad una continua ricerca di se stesso, in bilico tra maschile e femminile. Ma questa ricerca, come può sembrare ad una prima lettura, non va verso la normalità o almeno verso quello che solitamente tutti consideriamo normale. Cal non aspira ad essere né femmina, né maschio. La ricerca di Cal è verso un punto di equilibrio tra i due generi che gli permetta di essere l’unica cosa che veramente è, cioè SE STESSO. Unico.

Come poi unici risultano nelle loro diversità tutti i protagonisti del libro.

Lefty e Desdemona sono fratelli che si amano da marito e moglie ed hanno due figli.

Sourmelina, nonna materna di Cal, è una donna che ama altre donne e, dopo, una vita a nascondere il suo segreto, sceglie di vivere finalmente libera. Lontana ma libera.

Julie è una donna che attrae i gay e soffre il suo corpo androgino. Cito le sue parole dirette a CAL:

“Le asiatiche sono l’ultima fermata. Se un uomo si sente al bivio cerca un’asiatica, perché abbiamo un corpo che somiglia di più a quello dei maschi”.

Detroit, una delle maggiori città industrializzate degli USA, ma nella quale si accendono rivolte razziali cruente. La rivolta del 1967, nella quale la piccola Calliope, è inconsapevolmente partecipe, vede Detroit devastata con un bilancio di 43 morti, 1189 feriti e più di 2 000 edifici distrutti. Ancora oggi, la diversità razziale negli USA è un problema irrisolto.

Padre Mike, zio di Cal, roso da un umanissimo sentimento quale è l’invidia. Milton e Tessie, genitori di Calliope e primi cugini tra loro, si sposano a dispetto di tutti. Chapter Eleven, fratello di Cal, che per primo accoglie il giovane uomo con una fraterna pacca sulla spalla e, aiuta, con la sua accettazione la famiglia ad accettare il nuovo arrivato, sorto dalle ceneri di Calliope.

Tratti dal libro : La normalità:

Avevo sbagliato a giudicare Luce. Pensavo che dopo avermi conosciuto avrebbe deciso che ero normale e mi avrebbe lasciato in pace. Cominciavo ora a capire qualcosa della normalità, la normalità che non è normale. Non poteva esserlo. Se la normalità fosse stata normale, l’avrebbero lasciata tutti in pace. Si potevano mettere tutti quanti comodi e lasciare che la normalità esprimesse se stessa. Invece le persone – soprattutto i dottori – dubitavano della normalità. Non erano sicuri che la normalità fosse all’altezza della situazione e perciò erano poco inclini a incoraggiarla.

Accettazione:

Piano piano, venne a sapere i dettagli della mia condizione. La sua reazione fu più blanda di quella dei miei genitori, il che permise loro, o almeno a Tessie, di cominciare ad accettare la nuova realtà.

Di fronte all’impossibile non c’è scelta, ci si comporta come se fosse normale.

Abitudine

Vorrete sapere: come ci abituammo alla situazione? Che cosa ne fu dei nostri ricordi? Calliope è dovuta morire per far spazio a Cal? A tutte queste domande offro la stessa verità lapalissiana: ci si abitua praticamente a tutto. Dopo il mio ritorno da San Francisco cominciai a vivere da maschio e la mia famiglia scoprì che, contrariamente all'opinione diffusa, il sesso di una persona non è poi così importante.

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Antonella76 Opinione inserita da Antonella76    06 Settembre, 2016
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Il viaggio di una mutazione...



Questo libro è un viaggio...
Un viaggio attraverso il tempo, lo spazio...ma soprattutto attraverso il corpo.
Il corpo di Calliope.
Il viaggio di una mutazione genetica del 5° cromosoma, che dalla Grecia d'inizio '900 arriverà in America negli anni '60, sopravvivendo per tre generazioni e portando con sé tutta la storia di una famiglia.
Tutto inizia con Desdemona e Lefty, fratelli (e non solo) che riescono a salvarsi e a scappare dall'incendio di Smirne ad opera dei turchi.
Sarà una nave e una scialuppa di salvataggio la culla del loro amore proibito...e lì si riinventeranno, si racconteranno una storia in grado di legittimare i loro sentimenti e di mettere a tacere (ma mai del tutto) il loro senso di colpa e la paura...
Quel giorno, su quella nave, inizierà anche il viaggio di un gene recessivo che, 60 anni dopo, a Detroit, sceglierà proprio Calliope per manifestarsi.
Cresciuta per 14 anni come "femmina"...affronterà la pubertà con lo sconvolgimento di chi, ignara di quello che realmente accade dentro il suo corpo, non si riconosce nello sviluppo delle sue pari, niente seno, niente ciclo, altezza e magrezza eccessive, attrazione ingiustificata verso "l'Oggetto" dai capelli rossi...
Vive la tempesta emotiva di chi non sa esattamente cosa ci sia di sbagliato in lei, ma percepisce chiaramente che qualcosa non va...
Fino al giorno della scoperta...
Dottori come se piovesse, luminari di genetica che faranno di lei il proprio personale fenomeno da baraccone, e poi la certezza di non voler essere "trasformata" da un bisturi, ma solo dal coraggio di accettare la propria naturale trasformazione in "maschio", in quel maschio che è sempre stata, senza saperlo.
Ma per farlo deve essere sola, lontana da chi l'ha sempre amata come "figlia": ucciderà Calliope davanti allo specchio di un barbiere...e farà nascere "Cal", l'ermafrodita.

"Il mondo esterno era finito. Ovunque fossi andato avrei sempre incontrato me stesso".

Una vita difficile, sempre in bilico fra la voglia di essere un uomo come tutti e l'imbarazzo di dover spiegare alle donne della sua vita chi fosse, cosa fosse...
Una donna mancata, un uomo a metà...una persona.
In questo romanzo non c'è solo la storia di Cal/Calliope, ma c'è "la storia" della sua famiglia, della Grecia, dell'America, di usanze, superstizioni, rapporti familiari...e tanto tanto ancora.

"...per andare avanti bisogna tornare indietro dove si è cominciato".

Eugenides, approfittando della narrazione in prima persona, si diverte un po' a sballottolarci avanti e indietro nel tempo, a suo piacimento, ma lo fa con un coinvolgimento tale (e una sottile ironia di fondo) che glielo perdoni senza pensarci troppo.
Il romanzo inizia con un incipit forte, d'impatto...e la cosa che più mi ha colpito è stato constatare che per ben 600 pagine rimane solido su quel livello, nessun cedimento, nessuna caduta.
E non è facile.
Un romanzo ricco, che t'inghiotte...che ti rapisce dal primo rigo, ma che (almeno su di me ha avuto questo effetto) non riesci a divorare, ti richiede tempo, assimilazione, senza mai essere pesante.
Ma merita tutto il tuo tempo, merita di essere assaporato.

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Phoenix25 Opinione inserita da Phoenix25    15 Aprile, 2016
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Non il solito mattone

I romanzi che attraversano le generazioni non sono tra i miei preferiti perchè spesso li trovo pesanti e molto lenti come ritmo narrativo. Con questo romanzo sono stata smentita (nella seconda parte) in quanto l'autore, nonostante affronti un argomento "delicato", ha una capacità narrativa impalpabile..molto differente dai soliti mattoni.
Non ho apprezzato moltissimo la prima parte del romanzo e ho avuto paura di dover smettere, fortunatamente non l'ho fatto e ho potuto assaporare i pensieri e le inquietudini di Calliope.
Mi è piaciuto anche il modo in cui l'autore io narrante ha descritto e raccontato la sua condizione, senza pietismi nè frasi fatte; errore comune in altrettante storie simili.
Se si sia meritato o no il Pulitzer non spetta a me giudicare, non lo metterei sicuramente tra i miei libri preferiti, ma lo consiglierei sicuramente.

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Donnie*Darko Opinione inserita da Donnie*Darko    20 Gennaio, 2016
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In the middle of sex

La storia parte da lontano, dai primi del '900 e da un piccolo villaggio a cavallo tra Grecia e Turchia. L'orrore della guerra si abbatte su quelle lande da sempre pacifiche e dedite ad esistenze semplici, consacrate all'agricoltura, all'allevamento dei bachi e ad atavici rituali.
Un uomo e una donna scappano, sono fratelli, fuggono verso l'America, in barba ad ogni morale si sposano sulla nave che li porta nel Nuovo Mondo e in quella terra lontana troveranno, non senza difficoltà, l'occasione per ripartire e formare una famiglia.
E' da questo momento che comincia la storia di Calliope Stephanides, ormai poco più che quarantenne in un corpo la cui identità sessuale prescelta è caduta su quella maschile, dopo un'adolescenza passata a vivere, vestirsi e comportarsi come una ragazza. Questo perchè Calliope, ora noto come Cal, è un ermafrodita. Un gene birichino ha determinato la sua "anomalia" eliminando ogni banalità dalla sua vita e aumentando il carico di insofferenze e problemi.
Il narrare di Eugenides, ricco di brio e spesso ironia, non è mai patetico, né volutamente strappalacrime, i momenti duri non mancano, ma questo perchè il romanzo abbraccia quasi un secolo di storia dove inevitabilmente i drammi sono parte integrante di ogni esistenza.
Cal inizialmente è mera voce narrante per poi ergersi a protagonista assoluta nell'incalzante racconto della sua adolescenza, si va delle prime cotte alla trasformazione del corpo che non avviene secondo le classiche leggi della natura, la scoperta del sesso fino al rifiuto della propria condizione.
Eugenides non sposa la causa di alcun freak, anzi, descrive l'essenza di un personaggio che nonostante la presunta inconsuetudine è un'ode al normale. Non ci sono mostri, solo una ragazzina prima e un adulto poi, alla ricerca di un posto nel mondo, col desiderio di non essere compatito elemosinando affetto o compassione.
Nonostante la lunghezza del romanzo l'autore dribbla quasi del tutto i momenti di stanca, scegliendo una cifra narrativa molto scorrevole in cui le enfatizzazioni gratuite sono bandite; lo sguardo sulla vita di Calliope/Cal è di quelli in grado di trasportare con entusiasmo il lettore nell'epopea di tre generazioni, dalla Grecia all'America, alla ricerca di una nuova vita, soprattutto della giusta identità. Prima i suoi avi, ora Cal, la costante è sempre la stessa: la ricerca, mentre gli anni passano e l'albero genealogico perde qualche ramo, altri invece crescono, e la storia del mondo corre in avanti con Cal ormai abile a tenerne il passo.

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Elisabetta.N Opinione inserita da Elisabetta.N    09 Luglio, 2014
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Un premio Pulitzer meritato

Nonostante il mio fallito tentativo con “Il Cardellino” di Donna Tartt, ho voluto tentare con un altro premio Pulitzer… Non so ancora se il mio sia stato un atto delirante o se invece a spingermi sia stata la volontà di provare che per vincere quel premio non serve solamente riempire un numero spropositato di pagine…

Con Middlesex, mi trovo in una via di mezzo. Pur non avendolo amato alla follia, non l’ho nemmeno odiato.
Ho apprezzato l’evoluzione della storia, la descrizione, attraverso vari punti di vista, di eventi di importanza mondiale che si intrecciano con le sorti dei protagonisti, che sono sì tanti, ma ognuno ha una collocazione ben precisa sia a livello storico che a livello della storia di Cal.

Inizialmente troviamo Desdemona e Lefti e insieme percorriamo la loro giovinezza fino alla loro vecchiaia. Ma non ci sono solo loro, troviamo anche i figli e i figli dei loro figli, tra i quali, finalmente c’è Cal/Calliope.

“Sono nato due volte: bambina, la prima, un giorno di gennaio del 1970 in una Detroit straordinariamente priva di smog, e maschio adolescente, la seconda, nell’agosto 1974, al pronto soccorso di Petoskey nel Michigan”

Beh, che dire di questo incipit? Da solo è riuscito a spingermi a intraprendere questa lettura verso la quale avevo profondi dubbi…

Mi è piaciuto molto lo stile dello scrittore.
Capiva sempre quando era il momento di fare una pausa dalla storia del passato per inserire un episodio del presente più recente. Non tanto, giusto un accenno per ricordarci la fine della storia e staccarci da un passato lontano che magari, aveva bisogno di un periodo di pausa.
Il ritmo del romanzo inoltre, mi ha ricordato quello della narrazione. Fluido sì, ma a volte interrotto da eventi che non si possono tralasciare perché stanno capitando esattamente in quel momento e non possono essere messi in pausa come quelli passati, ormai facenti parte della storia e ai quali si può attingere in qualsiasi momento.

Insomma, questo esperimento mi è stato utile per dimostrare che non contano solamente il numero di pagine per fare di un romanzo un buon libro, ma, a volte, anche la storia ha il suo peso.
Magari può anche non piacere, ma è innegabile che un romanzo così ricco di cultura e di storia si sia meritato il premio Pulitzer.

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f.ilvi Opinione inserita da f.ilvi    11 Mag, 2014
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La scoperta di sè

Per comprendere davvero chi siamo, bisogna ricostruire la storia dei nostri antenati. Da questo presupposto parte il racconto di Cal Stephanides, che ripercorre le vite dei suoi nonni e poi dei suoi genitori per spiegare al lettore da cosa deriva la sua situazione anomala. Cal infatti presenta nel suo patrimonio genetico una rara anomalia che lo ha fatto nascere ermafrodita.
Il libro, all'apparenza pesante da affrontare per la sua mole (610 pagine) in realtà è piuttosto scorrevole, con uno stile leggero e con una trama piacevole. Il fatto che il protagonista esponga le storie di 3 generazioni, non appesantisce, anzi ottiene l'effetto di immergere il lettore nella storia, fornisce gli strumenti necessari per poter capire meglio le sensazioni e i sentimenti di una bambina che, crescendo, scopre di non essere quello che ha sempre pensato e che tutti attorno a lei sono sicuri di vedere.

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BettiB Opinione inserita da BettiB    22 Agosto, 2013
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Un libro di crescita

E' difficile tracciare una linea omogenea di questo romanzo senza anticipare niente che non possa rovinare una prima lettura. Ho letto commenti inclementi e sinceramente poco carini verso questo libro, e mi chiedo in tutta oggettività come non lo si possa adorare: oltre ad essere una storia collettiva (di società diverse, di un'America che si evolve, della convivenza con chi è diverso) è la storia di una famiglia, attraversata da tre diverse generazioni, è una storia d'amore e di segreti mai svelati. Lo stile è scorrevole, curato, coinvolgente, quasi musicale. Mi sono sentita cullata per tutta la durata del romanzo, e credo sia una prova difficilissima per un autore che decide di pubblicare un libro così corposo (qualcosa come 600 pagine). E' un romanzo di formazione, una storia di crescita e, soprattutto, di scelta: la scelta di un(a) giovane adulto(a) e di ciò che vuole essere.

Qualcuno una volta ha detto: “Non sei altro che la tua storia”. E così Callie/Cal, pragmatico narratore che di sé stesso non dice niente fino agli ultimi capitoli, si racconta attraverso la “sua” storia. “Sua”, ma che comincia molto, molto tempo prima della sua nascita. Comincia in un piccolo paesino greco, minacciato dalla guerra e dai suoi orrori. Desdemona, fantastico personaggio complesso e ricco (una giovane innamorata, una donna tutta d'un pezzo e infine una nonna amorevole e un po' magica) e Lefty sono costretti a scappare da questa minaccia ed intraprendere un faticoso e pericoloso viaggio. Attraverso avventure, persone e sentimenti approdano in America, dove costruiranno insieme una famiglia, una nuova vita, una nuova storia, al passo con un'America che cresce e si evolve, un novecento ricco di cambiamenti, un dipinto yankee realistico e oggettivo. Alla base di questa nuova felicità c'è un intimo segreto, qualcosa di tanto personale che Desdemona sentirà il bisogno di seppellirlo infondo al cuore fino al suo ultimo giorno di vita.

Le generazioni si susseguono, Desdemona diventa mamma e davanti ai nostri occhi vediamo questa giovane donna maturare, impariamo ad affrontare con lei i problemi di crescere un figlio, la preoccupazione di vederlo lontano e poi di vederlo diventare genitore a sua volta. Il punto di vista cambia, Callie smette di riportare le memorie della nonna e prende in mano “il microfono”. Ci racconta della sua infanzia, del razzismo americano, di un'ulteriore crescita della società e del mondo. Diventa adolescente ed è costretta ad affrontare i problemi di ogni suo coetaneo: la scoperta di sé stessi e del proprio corpo, con la sola differenza che Callie scopre, quasi per caso, di essere diversa. Diversa in ogni modo possibile: è un raro ermafrodito e da allora è costretta a vivere come cavia da laboratorio, sotto gli occhi avidi e curiosi dei medici e genetisti.
“Uno scherzo della natura, un gene nascosto nel DNA della sua famiglia da molti, moltissimi anni, che ha deciso di manifestarsi nella sua persona”, così descrive la sua particolarità. Il romanzo si conclude con la scelta personale, sentita, individualistica di Callie/Cal. Chi ha detto che la natura ci debba formare? Siamo noi stessi a creare noi stessi.
Non siamo altro che la nostra storia... e ciò che scegliamo di essere.

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Nené Opinione inserita da Nené    26 Giugno, 2013
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Meravigliosa epopea familiare

Middlesex è una storia di cambiamenti. La storia narrata da Cal(lie) non è solo il racconto di una trasformazione personale (da bambina/ragazza a uomo) ma della trasformazione di una nazione (gli Stati Uniti) e di un popolo (greci in questo caso, ma migranti da ogni paese) nelle varie fasi di adattamento ad una nuova casa e ad un nuovo stile di vita, sia fisico che metaforico.
Un bellissimo affresco dell'america del '900, raccontato attraverso la vita della famiglia Stephanides. In effetti, l'ultima parte del libro, quella piu' "personale" di Cal(lie), è quella che forse mi è piaciuta di meno, mentre ho adorato dalla prima all'ultima riga la storia intricata della sua famiglia e dell'America che cambiava insieme a lei.
Uno dei libri migliori che abbia letto negli ultimi anni, assolutamente consigliato.

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Giovannino Opinione inserita da Giovannino    21 Giugno, 2013
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La storia di Call/iope

Mi sono avvicinato a questo libro in maniera un po' scettica, sono onesto, sia per motivo delle tante pagine (606), sia per l'argomento trattato, che pensavo non potesse interessarmi e coinvolgermi più di tanto. Beh, ho completamente sbagliato ogni previsione. Il libro tratta un tema molto complesso che è quello dell'identità sessuale e delle varie discriminazioni che, chi non nasce uomo o donna, è costretto a subire. La storia del nostro protagonista (userò il genere maschile perché alla fine Cal decide di essere Cal e non Callie o Calliope) ci viene raccontata dall'autore in prima persona tramite un unico grande flashback con sporadiche uscite nel contemporaneo, durante le quali Cal ci racconta della sua frequentazione con Julie. L'idea del narratore onnisciente che racconta la storia tramite flashback, a mio avviso, è stato un gran colpo di genio, infatti non solo ci permette di capire chiaramente ogni singolo avvenimento, partendo dal 1920 ad oggi, ma perché lo stesso Cal prende parte al racconto trasmettendo le sue emozioni al lettore, rassicurandolo a volte e altre volte spiegandogli dettagliatamente ogni particolare (capita spesso infatti che il protagonista si rivolga al lettore con "caro lettore" o simili). Nello specifico il romanzo inizia nel primo decennio del 1900, quando i nonni di Cal, Desdemona e Lefty, sono costretti a scappare dalla Grecia a causa della guerra, e decidono di rifugiarsi a Detroit, dove viveva una cugina. Nel corso della traversata oceanica Lefty e Desdemona si sposano. Tutto normale direte voi. Beh, no, non tanto, Desdemona e Lefty sono fratelli. Arrivati in America decidono di dire il loro segreto solo alla loro lontana cugina, per il resto in America tutti non sanno del fatto che sono fratelli. Iniziano così a lavorare, Lefty ma mille lavori diversi, passa dalla Ford al contrabbando di liquori durante al proibizionismo, fino ad aprire un bar (sotterraneo) tutto suo. Nel mentre però, tra un lavoro ed un altro, Desdemona e Lefty, hanno due bambini, Zoe la più grande e Milton, il più piccolo. Desdemona è ossessionata da questi due bambini, in quanto teme che il loro legame impuro possa causare danni genetici ai bambini, fortunatamente però così non è. I due bambini crescono, e Milton stringe un legame, inizialmente d'amicizia ma che poi diventerà altro, con Tessie, figlia della cugina della madre. Milton fa mille lavori, proprio come il padre, alla fine arriverà addirittura ad aprire una catena di ristoranti e a raggiungere finalmente il sogno americano, diventare ricco, cosa che gli permetterà non soltanto di girare in Cadillac, ma addirittura di comprarsi una grande casa in un quartiere residenziale prestigioso che, ironia della sorte, si chiama Middlesex. Middlesex che tradotto liberamente è il "sesso di mezzo" o meglio l'intersesso. Dico ironia della sorte proprio perché dal matrimonio tra Tessie e Milton nascono: Chapter Eleven, fratello maggiore, e Calliope, protagonista del romanzo. Calliope, o in futuro Cal, a causa di un gene recessivo del quinto cromosoma (dovuto ai continui accoppiamenti tra persone con stretti legami sanguigni) è un ermafrodita. Ora non proseguo oltre con il racconto della trama perché credo che questa parte vada letta, sia l'iniziale crescita di Callie come bambina, sia quando Callie si accorge che in realtà non è una bambina come tutte le altre, sia la fuga, la "trasformazione" in Cal e il conseguente ritorno a casa. Non avevo mai letto un romanzo di Eugenides e devo dire che il suo stile è meraviglioso, mai eccessivo nella prosa, sa scrivere e sa essere avvincente e accurato nelle descrizioni senza mai annoiare il lettore. Ottimi specialmente i viaggi interiori che Cal fa alla scoperta di se stesso e delle sue emozioni. Non era facile trattare un tema così delicato come quello dell'ermafroditismo o più in generale dell'identità sessuale, Eugenides riesce invece a farlo con grande intelligenza riuscendo a farci entrare perfettamente mella mente del protagonista ed analizzando ogni sensazione in maniera estremamente limpida, e il tutto si conclude con una frase a mio avviso meravigliosa che dice "Ognuno di noi nasce con geni maschili e femminili, e se il sesso è biologico, il genere è culturale". In tutto ciò, Eugenides riesce anche a farci fare un viaggio interessante nell'America che cambia e si trasforma, iniziando dal 1920, passando per il proibizionismo, arrivando alla crisi del petrolio, fino ai nostri giorni, e non mancano gli eventi storici sempre raccontati in maniera dettagliata e completa. Insomma non è un caso se questo romanzo nel 2003 ha vinto il Pulitzer per la narrativa, sicuramente uno dei migliori autori contemporanei. Applausi.

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Opinione inserita da paola    20 Mag, 2013

lo rileggerò per la terza volta

Bel libro, letto due volte circa tre anni fa.
Anch'io come altri lettori ha trovato un pò deludente la parte finale, nella quale il protagonista, Cal, avrebbe dovuto aprirsi un pò, spiegando i suoi stati d'animo.
Probabile che il problema fosse proprio nella sua incapacità di aprirsi, strascico lasciato dal vissuto del protagonista.
Ho trovato interessante nella prima parte l' aver sfiorato lo sterminio dei Curdi da parte dei Turchi, a Smirne,l'ambientazione nell'America del proibizionismo, delle prime fotografie, dei predicatori.
Ciò, come spesso accade mi ha stimolato a cercare ulteriori informazioni.
Molto bello il racconto del vissuto di questa ragazza, ragazzo. Ricordo nel periodo in cui ero studentessa, di aver visto sui testi le foto di queste persone, ermafroditi, senza rendermi conto del significato che poteva avere per loro essere così. Diversi.Incompresi.
Bello comunque, un libro da leggere quasi in un fiato, col dispiacere di doverlo finire, come spesso accade.
Paola

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kudra276 Opinione inserita da kudra276    01 Dicembre, 2012
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peccato essere arrivati all'ultima pagina

ho amato molto questo libro, mi ha fatto ridere e mi ha fatto piangere, regalandomi ad ogni pagina grandi emozioni.
Gli argomenti trattati sono molto delicati
l'ermafroditismo
e la saga dei popoli costretti ad emigrare con tutte le difficoltà del caso (una grande nazione come gli Stati Uniti che ha accolto tutti ma il prezzo da pagare c'era e della difficoltà di adattamento ad una nuova cultura)

Sono entrambi trattati con grande partecipazione ma allo stesso tempo con leggerezza ed umorismo.

Questo libro ha molto da insegnare a chiunque.

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eleonora. Opinione inserita da eleonora.    21 Mag, 2012
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cal callie

Le vicissitudini di una famiglia greco-americana che abbraccia tre generazioni e che arriva a "destinazione" con Calliope, la vera protagonista della storia che si svela a noi in punta di piedi solo a metà del libro. Calliope parte da molto indietro raccontando la storia dei suoi nonni per poi passare ai suoi genitori focalizzandosi infine nel periodo adolescenziale dove la necessità di decifrare il suo corpo e la sua anima diventano per lei un tormento necessario per incominciare ad intraprendere una vita adeguata al suo essere ermafrodito. Tre generazioni che si inseguono, che ritornano, che si mischiano aspetti ben delineati dallo scrittore. A mio avviso però proprio nel momento in cui Cal parla di se c'è qualcosa che si perde, tutto avviene troppo velocemente, focalizzandosi solo sul suo periodo di adolescente viene a mancare il percorso che ha fatto per diventare l'adulto che è oggi. L'adulto che trova necessario ripercorre la saga familiare e la sua personale scoperta per poter mettere ordine e vivere accettandosi. Molto spazio alla scoperta, meno all'accettazione, alla comprensione di sé e all'evoluzione, sembra quasi che ad un certo punto, Jeffrey, abbia voluto velocizzare la storia arrivando ad un finale forse un pò banale. Per il mio gusto personale avrei preferito sintetizzare la storia familiare sviluppando di più il percorso avvenuto dopo la scoperta di sentirsi uomo, percorso che viene sottovalutato o volutamente lasciato in mano all'immaginazione del lettore.

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