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Avventure di un giovane ufficiale in Polonia
 
Avventure di un giovane ufficiale in Polonia 2018-03-17 20:31:53 viducoli
Voto medio 
 
4.5
Stile 
 
4.0
Contenuto 
 
4.0
Piacevolezza 
 
5.0
viducoli Opinione inserita da viducoli    17 Marzo, 2018
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Ambiguità ed equivoci che svelano la stupidità

'Avventure di un giovane ufficiale in Polonia', pubblicato nel 1932 quando Lernet-Holenia era trentacinquenne, è il secondo romanzo dello scrittore austriaco.
È un romanzo dal cui tono apparentemente leggero e scanzonato si potrebbe dedurre una distanza sostanziale rispetto alle prove più celebrate, quali ad esempio Lo stendardo, che pure è di pochi anni successivo e 'Marte in Ariete', del 1941, considerato il suo capolavoro. Per questi motivi è ritenuto un testo minore, in qualche modo immaturo, dell’autore. Eppure ad una attenta lettura questa quasi-commedia, ambientata durante la prima guerra mondiale, da un lato rivela tutta la maestria letteraria di Lernet-Holenia, dall’altro si presenta di una estrema complessità interpretativa e preannuncia alcune delle tematiche fondamentali che costituiranno l’ossatura delle sue opere posteriori.
La prima cosa da dire è che 'Avventure di un giovane ufficiale in Polonia' è un breve romanzo estremamente gradevole da leggere e particolarmente divertente. Narra le avventure di un giovanissimo ussaro tedesco, il sottotenente Keller, che durante una carica di cavalleria del suo squadrone contro i russi sul fronte polacco viene disarcionato e sviene. Pochi giorni dopo, braccato dai cosacchi, si rifugia in una misera casa di un villaggio polacco, dove vivono un certo Hartlieb e l’ex ufficiale russo Lavrent’ev, ormai inabile alle armi avendo perso un braccio, i quali sotto la minaccia della pistola di Keller lo nascondono. Scampato il pericolo dei cosacchi, che perquisiscono inutilmente la casa, tra Keller e i due che lo ospitano nasce una sorta di complicità, e Lavrent’ev narra all’ussaro la sua triste storia di ufficiale degradato per colpe altrui e della conseguente perdita della moglie e delle due figlie. Keller chiede ad Hartlieb dei vestiti civili per poter fuggire: quelli che lo mimetizzano meglio sono di una contadina rutena, in quanto grazie alla giovane età e alle fattezza delicate Keller, con un fazzoletto in testa, può sembrare una donna, tanto più che sin da piccolo gli è sempre piaciuto indossare abiti femminili.
Dopo un breve e rischioso impiego del giovane ussaro travestito presso un capitano russo, Hartlieb propone a Keller di farlo assumere come serva nella tenuta dei ?ubie?ski, abbastanza lontana dal fronte e dove c’è scarsità di manodopera a causa della guerra. Così il sottotenente Keller diviene Katharina Radmacher, detta Kasia, contadina di etnia tedesca che parla male il polacco, e viene assunta come addetta alle stalle dei ?ubie?ski. La famiglia padronale è composta, oltre che dalla signora e dal bizzarro signore, che quando c’è il sole ha la mania di appendere gli abiti alle finestre per fargli prendere aria e che cerca invano di smettere di fumare, da due figlie in età da marito.
Kasia-Keller inganna tutti sul suo sesso, e diviene subito oggetto di attenzioni da parte del personale maschile della tenuta e di ufficiali russi che passano per di là. Dopo poco diviene la cameriera personale delle due ragazze, delle quali la meno giovane e innocente, Duszka, ha probabilmente intuito qualcosa sulla vera natura di Kasia.
La storia si dipana, leggera ed a tratti esilarante, tra pretendenti di Duszka e conseguenze degli equivoci derivanti dal vero sesso di Kasia, sino a che la guerra non vi irrompe di nuovo con prepotenza sotto forma di un comando d’armata russo che si installa nella casa dei ?ubie?ski. L’identità sessuale e militare di Keller verrà alla fine scoperta, ma egli finirà per essere, di fatto per puro caso, l’artefice della disfatta russa, e quindi un eroe. Non svelo altro della trama perché le sorprese che riserva questa sorta di commedia bellica degli equivoci sono parte integrante della sua piacevolezza complessiva, che va gustata ad ogni pagina.
Contrariamente a quanto sono solito fare, prenderò le mosse, per tentare di analizzare il romanzo e riportare le mie impressioni di lettura, dal linguaggio letterario di Lernet-Holenia, che a mio avviso ne costituisce uno dei tratti peculiari e ne marca il respiro complessivo. Una prima cosa che colpisce il lettore è il netto stacco che la storia subisce tra i primi due capitoli e il resto della vicenda. L’inizio del romanzo è infatti estremamente drammatico: nel primo capitolo è descritta la carica degli squadroni di cavalleria austriaci e tedeschi, di uno dei quali faceva parte Keller, alle postazioni russe, mentre il successivo è in buona parte dedicato all’irruzione dei cosacchi nella casa di Hartlieb alla ricerca del sottufficiale tedesco e alla quasi miracolosa capacità di quest’ultimo di sottrarsi alla cattura; è sempre in questo capitolo che Lavrent’ev narra a Keller la sua tragica storia. Nei successivi capitoli la scena si sposta lontano dalla guerra, nella tenuta dei ?ubie?ski, e qui prevale nettamente il tono da commedia, generato dalle conseguenze del travestimento di Keller, dai suoi equivoci rapporti con la famiglia ?ubie?ski, da quelli tra i vari componenti della stessa e tra questi e i loro conoscenti. Il dramma riappare all’improvviso nel capitolo X, poco prima dell’epilogo del romanzo, che comunque termina con un sarcastico e beffardo happy end.
Lernet-Holenia gestisce questi scarti d’atmosfera del romanzo facendo ricorso a modalità espressive molto diverse tra di loro. Nel primo capitolo, secondo me tra i più belli, la carica della cavalleria viene descritta con una tecnica che oserei dire cinematografica (l’autore in seguito avrebbe effettivamente scritto anche sceneggiatore per il cinema): è come se una steadycam fosse posizionata nel cuore degli squadroni all’assalto e il lettore potesse seguire la carica per così dire dall’interno. Nel secondo capitolo, il lungo dialogo tra Keller e Lavrent’ev durante il quale quest’ultimo narra le sue vicende pregresse è fatto di un serrato dialogo diretto; per cinque pagine il narratore in terza persona quasi non interviene, ed il ritmo della conversazione contribuisce ad accentuare la drammaticità della storia di Lavrent’ev. Nei capitoli centrali del libro, quelli in cui prevale la commedia di costume e degli equivoci, Lernet-Holenia fa ricorso ad un puntiglioso, quasi pedante racconto indiretto, fatto di brevi frasi, grazie al quale l’azione avanza quasi meccanicamente, a scatti, accentuando efficacemente gli aspetti sarcastici del racconto e i lati a volte grotteschi dei personaggi. Il racconto indiretto caratterizza anche il drammatico capitolo X, ma nel momento culminante a questo si sostituiscono i pensieri di Lavrent’ev, così che il lettore può scavare nelle motivazioni psicologiche ed esistenziali delle scelte compiute da quest’ultimo. Insomma, il romanzo, da un punto di vista del linguaggio, è un piccolo campionario di varie tecniche narrative, usate con sapienza dall’autore per sottolineare le varie fasi delle vicende narrate. Ciò contribuisce indubbiamente a rendere la lettura di Avventure di un giovane ufficiale in Polonia estremamente piacevole, e sottolinea le capacità narrative del giovane autore, che avrebbero trovato conferma nelle successive opere.
A questa struttura varia e complessa, rintracciabile sotto la pelle di una prosa apparentemente leggera, corrisponde una stratificazione di contenuti altrettanto sfaccettata.
Ovviamente il tema che emerge è quello della critica del militarismo. È questo a mio avviso il fil rouge che percorre tutto il romanzo, e che Lernet-Holenia sviluppa per così dire per contrasto, con l’aristocratico garbo che lo contraddistingue ma che assume oggettivamente una connotazione oltremodo radicale. Quale infatti maggiore messa in discussione della virilità, del machismo su cui si fonda l’essenza stessa del mondo militare, della storia di un ussaro che si traveste da donna, e che proprio grazie a questo travestimento diviene (oltretutto per caso) un eroe militare, insignito della decorazione 'Pour le Mérite'? Oltre a questo elemento di fondo si ritrovano qua e là nel romanzo molti altri momenti in cui lo stupido formalismo tipico del mondo militare è messo alla berlina dall’autore: esemplari da questo punto di vista le pagine dedicate alla preparazione della carica del primo capitolo ma anche l’enigmatico episodio del Barone Korff, con un intero stato maggiore che va verso il disastro proprio a causa della incapacità di riflettere, dell’accettazione passiva degli ordini.
La stupidità dei militari è comunque in buona compagnia. Con l’eccezione delle due figlie ed in particolare della scaltra e determinata Duszka, cui va indubbiamente la simpatia dell’autore, tutti i personaggi della piccola nobiltà rurale polacca che incontriamo nella vicenda sono caratterizzati dall’essere degli stupidi, se non addirittura degli emeriti idioti. Sicuramente da questo punto di vista il personaggio più esilarante è il padre di Duszka, vittima della necessità di maritare bene la figlia, che sfoga le sue frustrazioni sociali e genitoriali attraverso la nevrosi del far prendere aria ai vestiti ma soprattutto illudendo sé stesso circa la sua capacità di smettere di fumare, particolare questo (ma solo questo) che lo avvicina singolarmente allo Zeno Cosini di Svevo. La galleria di personaggi è comunque notevole, andando dal bancarottiere parassita al giovane pretendente idiota costantemente rifiutato.
Militari e civili, poi, esprimono plasticamente la loro comune stupidità non accorgendosi che Kesia è in realtà un uomo, anzi facendone l’oggetto del loro desiderio, anche se l’autore ci avverte subito di come, nonostante il travestimento e le fattezze, Kesia non sia particolarmente avvenente, e nonostante non manchino certo – almeno ai non pochi che tentano con lei approcci fisici – concrete possibilità di accorgersi del suo vero sesso. Chi si accorgerà quasi subito della vera natura di Kesia saranno Duska e la sorella più giovane, che sapranno volgere abilmente la situazione a loro favore, per così dire. Il travestimento di Keller diviene quindi nel romanzo, proprio per la sua inverosimiglianza, lo strumento attraverso cui l’autore evidenzia tutto il suo sarcasmo nei confronti del mondo militare ma anche delle ipocrisie sociali su cui si regge il mondo dei ?ubie?ski e delle altre famiglie.
Se questi ed altri sono gli aspetti di satira sociale e di costume che permeano il romanzo, vi è però a mio avviso un tema, centrale nella letteratura di Lernet-Holenia, che emerge, sia pure con precise peculiarità, anche in questo romanzo: il tema del fato.
Nei romanzi maggiori dell’autore, ad esempio in 'Marte in Ariete', il fato e la sua ineluttabilità rappresentano il tema centrale della narrazione: in questo romanzo giovanile la tematica è trattata in modo più laterale e in qualche modo offuscato, ma tuttavia occupa uno spazio letterario preciso, legato soprattutto alla vicenda di Lavrent’ev, di cui sono costretto a rivelare qualche particolare.
Come ho detto sopra, Lavrent’ev è un ex capitano dell’esercito russo che, dietro promesse di compensi materiali e morali, si lasciò degradare al posto di un principe che voleva evitare uno scandalo, ritrovandosi invece deportato in Siberia e con la famiglia morta di stenti. L’odio per l’esercito del suo paese lo porterà a vendicarsi fornendo agli austriaci, per il tramite di un disertore, importantissime informazioni militari ricevute da Keller, senza che quest’ultimo peraltro se ne sia reso conto. Scoperto, non rivelerà la natura delle informazioni passate al nemico, e per questo verrà impiccato.
Il vero eroe, colui che ha permesso la vittoria degli austriaci, è quindi Lavrent’ev, che però nessuno può riconoscere in quanto tale, visto che nessuno sa quanto ha fatto, eccetto noi lettori; ufficialmente quindi l’eroe sarà Keller, che in realtà si è limitato ad avvolgere la sua uniforme in un involucro abbastanza resistente perché non si lacerasse.
Il fato dunque in questo caso non è ineluttabile ma è sicuramente beffardo, attribuendo la gloria a chi non l’ha cercata e tanto meno meritata e lasciando per sempre nell’oblio chi invece, sia pure per spirito di vendetta personale, è stato il vero deus ex machina degli avvenimenti.
È questo l’ennesimo equivoco del romanzo, quello più drammatico ma anche quello che consente all’autore di chiudere il romanzo con il beffardo finale nel quale emergerà ancora una volta la pomposa stupidità militaresca.
Un ulteriore strato interpretativo che a mio modo di vedere può essere evidenziato è quello per il quale Keller-Kasia rappresenta l’ambiguità umana, comune in varie forme a tutti noi, che in quanto tale non può però essere riconosciuta da un mondo fatto di certezze, di dogmi e di convenzioni, per il quale egli prima deve essere una donna, quindi deve essere un eroe, senza essere in realtà né l’uno né l’altro. È su tale registro di ambiguità forzatamente misconosciuta che il romanzo si chiude, con l’autore che ci dice: ”Se in abiti femminili Kasia aveva avuto l’eleganza di un sottotenente degli ussari, adesso, nell’uniforme da ussaro, aveva l’avvenenza di una ragazza.”
Leggendo 'Avventure di un giovane ufficiale in Polonia' si sorride molto, ma a tratti il sorriso si fa amaro e si tramuta anche in pianto. È un romanzo ambiguo, che fa dell’ambiguità e dell’equivoco la chiave di lettura della stupidità della società nelle sue espressioni ufficiali: è un romanzo da gustare e sul quale riflettere.

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