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Manhattan Beach
 
Manhattan Beach 2018-04-03 09:34:17 FrancoAntonio
Voto medio 
 
4.5
Stile 
 
4.0
Contenuto 
 
4.0
Piacevolezza 
 
5.0
FrancoAntonio Opinione inserita da FrancoAntonio    03 Aprile, 2018
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Anna tra i moli di New York

Negli anni della Grande Depressione, Anna Kerrington è una dodicenne intelligente e spigliata che adora accompagnare il padre Edward nei giri che fa come galoppino per il sindacato irlandese degli scaricatori portuali di New York. Ha intuito che i misteriosi pacchettini che l’uomo allunga furtivamente hanno a che fare con giri poco puliti, ma lei si sente importante e non le importa. A casa la mamma, ex ballerina di fila delle Ziegfield Follies, deve badare a Lydia, la bellissima sorellina, storpia a causa di una gravissima forma degenerativa dovuta ad anossia neonatale. Ma Anna fa da scorta al papà che parla con persone importanti e tanto le basta. Purtroppo le cose sono destinate a cambiare rapidamente. Infatti papà Eddie - che non riesce a sbarcare il lunario soprattutto a causa delle esigenze sempre maggiori di Lydia - non può più accontentarsi delle “mance” che il sindacato gli passa per portare in giro le “bustarelle”: ha contattato Dexter Styles, proprietario di numerosi locali notturni, ma soprattutto elemento di spicco della mafia italo-americana, rivale di quella irlandese.
Sette anni più tardi, in piena Seconda Guerra Mondiale, Anna s’è impiegata nei Cantieri Navali di New York e vuole sinceramente contribuire allo sforzo bellico, al punto da candidarsi come palombaro civile per le riparazioni in bacino, lavoro rigorosamente maschile. Tuttavia c’è un dubbio che la rode: perché suo padre, cinque anni prima, è scomparso improvvisamente? Possibile che le abbia abbandonate così, senza un perché? E se non fosse vero quanto si sussurra, cioè che sia fuggito, incapace di sopportare il peso che gli derivava dal grave handicap di Lydia? E se, invece, fosse stato ucciso da una delle persone per cui lavorava? L’incontro casuale con Dexter Styles le darà l’occasione per scavare più a fondo in un mondo in cui i sistemi usati nella high society non si differenziano troppo da quelli della peggior malavita. Il rapporto con Styles, inoltre, le cambierà la vita in modo radicale verso un futuro non previsto.
Con Manhattan Beach è possibile tuffarsi in dieci anni di storia americana tra la metà degli anni ’30 e la metà degli anni ’40. Il romanzo, però, non ci offre uno sguardo diretto ai grandi fatti storici: essi sono tutti dati per assodati, come in un fondale teatrale. All'A. interessa soprattutto indugiare sulla vita delle persone comuni, di quelle che cercano di sopravvivere all'evolvere degli eventi. Così, mentre si sbircia dal buco della serratura l’America che cambia, vengono delineate, nel bene e nel male, le vicende dei protagonisti con delicate pennellate all'acquerello, senza mai indulgere in tinte forti, neppure quando entrano in gioco gli sporchi affari dei sindacalisti corrotti, dei mafiosi e dei grandi uomini d’affari che agiscono come squali.
Tra i protagonisti che recitano davanti a questo fondale storico, l’unico che si stacca dalla massa, l’unico realmente rappresentato a tutto tondo è quello di Anna: una ragazza brillante, intraprendente e moderna, troppo moderna per la società americana dell’epoca, per la quale donne e negri non sono ammessi nel mondo ove agiscono i maschi bianchi. In particolare le donne debbono stare a casa ad attendere i mariti ed a curare i figli, rinunciando a qualsiasi ambizione personale. Anche quando sarà necessario il loro apporto nelle fabbriche, carenti di manodopera maschile tutta al fronte, saranno ammesse a svolgere solo lavori semplici e ripetitivi. Ma Anna non accetta queste limitazioni: sino da ragazzina s’è distinta per il carattere forte e volitivo. Da adulta (ribelle?) riuscirà a guadagnare dei punti nella sua lotta per emergere, ma solo accettando compromessi, mimetizzandosi e mistificando il suo ruolo.
Lo stile della Egan nel descrivere la lotta personale di Anna è fluido e piacevole, anche se soffre un poco per lo scorrere delle vicende, pigro e senza particolari emozioni, soprattutto per i primi due terzi del romanzo.
In qualche modo questo stile mi ha ricordato quello della McCarthy de “Il Gruppo”, per l’attenzione al mondo femminile in una società strettamente maschilista, ma anche per l’uso stesso delle parole che richiama un modo di esprimere i concetti delicato e ossequioso di una correttezza formale che ormai non usa più. Perfino i rapporti personali (anche i più crudi e concreti) sono descritti in modo delicato e riguardoso.
Complessivamente Manhattan Beach è un romanzo decisamente gradevole, anche se forse non riesce nell’intento di travolgere il lettore nelle emozioni descritte. Consigliabile a tutti per il modo che ha di descrivere un periodo storico decisivo per il Mondo così come lo conosciamo, ma visto attraverso gli occhi delle persone che la storia non la fanno, ma la subiscono.
Per completezza debbo rimarcare, purtroppo, un unico difetto a carico non dell’A., ma della Traduttrice. In troppe occasioni ho dovuto sperimentare un uso scorretto ed insufficiente della punteggiatura. Se non si fossero volute risparmiare quelle due o tre pagine di virgole e punti e virgola, molte frasi sarebbero state più scorrevoli e comprensibili. Ad un certo punto sono arrivato a tal grado di esasperazione che mi son messo a segnare a matita tutte le virgole omesse, come si fa con i compiti dei bambini alle elementari. Una operazione di editing più accorta avrebbe evitato questo difetto che svilisce l’opera meritevole dell’A. americana. Peccato.

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