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La penna è quella della giornalista francese Marcelle Padovani, ma la voce narrante è quella di Giovanni Falcone. Le venti interviste diventano materiale per dettagliate narrazioni in prima persona che si articolano in sei capitoli, disposti come altrettanti cerchi concentrici attorno al cuore del problema-mafia: lo Stato. Un'analisi che parte dalla violenza, dai messaggi e messaggeri, per arrivare agli innumerevoli intrecci tra vita siciliana e mafia, all'organizzazione in quanto tale, al profitto - sua vera ragion d'essere - e, infine, alla sua essenza: il potere. Una testimonianza resa da Falcone dopo aver lasciato Palermo nel 1991.



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Cose di Cosa Nostra 2021-11-29 10:52:06 C.U.B.
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C.U.B. Opinione inserita da C.U.B.    29 Novembre, 2021
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Calati juncu, ca passa la china

Frutto di una serie di interviste con il giudice Falcone, la giornalista Marcelle Padovani propone un testo lineare, privandolo delle inevitabili interruzione di domanda e risposta. Ne consegue un trattato esaustivo, interessante e di facile fruizione per ogni platea e, benché siano passati molti anni dagli incontri del 1991, resta un elaborato di estrema importanza di uno dei più grandi conoscitori e oppositori del fenomeno mafioso.
Nel volume si argomenta della violenza di Cosa Nostra, del sistema di scambio dei messaggi, dell’intrecciarsi di mafia e società siciliana, della struttura organizzativa, del profitto e della patologia del potere anche attraverso gli interrogatori di pentiti e indagati.
Ce ne parla un “servitore dello Stato in terra infidelium”: uomo lucido, intelligente, pignolo, estremamente preparato e ben consapevole dei rischi della sua professione. Un magistrato che aveva il suo incarico lo aveva scelto, che credeva nello Stato, che anelava ad uno Stato forte, a un’entità collettiva che avrebbe potuto difendere i suoi singoli membri, perché è facile uccidere un uomo solo ma è complesso estirpare un organismo collettivo.
“Chi rappresenta l’autorità dello Stato in territorio nemico, ha il dovere di essere invulnerabile. Almeno nei limiti della prevedibilità e della fattibilità.”

Sebbene ai tempi del maxiprocesso di Palermo fossi una bambina, ho un ricordo nitido della famiglia raccolta a tavola in silenzio, mentre il piccolo televisore in bianco e nero inquadrava l’aula bunker. Si era di fronte ad un evento colossale e, pur comprendendo poco dei contenuti, in casa la tensione era tangibile. Oggi, senziente, rileggendo questo flusso di pensieri e informazioni convergo nel rispettoso, ieratico stupore degli adulti di quei giorni, verso gli uomini di Legge onesti, impegnati, tenaci, efficaci. Che poi la vita la persero, davvero.

“In Sicilia la mafia uccide i servitori dello Stato che lo Stato non è riuscito a proteggere”.

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Cose di Cosa Nostra 2019-05-23 21:15:28 Rollo Tommasi
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Rollo Tommasi Opinione inserita da Rollo Tommasi    23 Mag, 2019
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c'era un paese che aveva bisogno di eroi. c'è anco

“Per lungo tempo si sono confuse la mafia e la mentalità mafiosa, la mafia come organizzazione illegale e la mafia come semplice modo di essere. Quale errore! Si può benissimo avere una mentalità mafiosa senza essere un criminale.”

Nel 1991, quando Giovanni Falcone scrive questo libro in collaborazione con la giornalista francese Marcelle Padovani, il suo nome è ben conosciuto agli addetti ai lavori, ma non abbastanza presso la società civile (perlomeno, non come lo sarà dopo i tragici fatti del 1992).
Eppure il giudice Falcone all’epoca è già un “gigante” della lotta alla mafia:
- ha istruito – insieme ai colleghi del pool antimafia guidato da Antonino Caponnetto – il maxi-processo del 1986 contro Cosa nostra,
- ha dato impulso al meccanismo che – permettendo la rotazione tra le varie sezioni della Cassazione – ha impedito allo stesso processo di “fermarsi” contro la sentenza assolutoria di qualche infedele servitore dello Stato (ce ne sono nella magistratura come in tutti gli altri settori pubblici),
- ha ottenuto che le dichiarazioni del pentito Tommaso Buscetta costituiscano la base per l’indubitabile affermazione dell’esistenza della mafia e per la condanna all’ergastolo dei suoi più “illustri” capi.

“Il maggior risultato raggiunto dalle indagini condotte a Palermo negli ultimi dieci anni consiste proprio in questo: avere privato la mafia della sua aura di impunità e di invincibilità.”

Tutto l’impegno, tutto il lavoro di Giovanni Falcone si condensano in qualcosa che molti altri suoi colleghi non hanno raggiunto (anche per la sua intrinseca difficoltà): la conoscenza e l’esatta percezione del fenomeno mafioso.
“Cose di Cosa nostra” è ancora oggi – dopo più di venticinque anni dalla morte di Falcone e Borsellino, dopo numerosissime pubblicazioni sulla mafia – una miniera: è illuminante scoprire come, dietro frasi e considerazioni molto semplici, si celi una conoscenza così precisa del fenomeno e del “tipo” mafioso; una conoscenza che continua a valere per le mafie di oggi, nonostante lo sguardo si sposti verso i cosiddetti “colletti bianchi” (ma è poi vero che le dinamiche dell’economia e del potere mafioso non contemplavano questa categoria già ai tempi del giudice Falcone?).

“E’ la mafia a imporre le sue condizioni ai politici, e non viceversa. Essa infatti non prova, per definizione, alcuna sensibilità per un tipo di attività, quella politica, che è finalizzata alla cura di interessi generali. Ciò che importa a Cosa Nostra è la propria sopravvivenza e niente altro. Essa non ha mai pensato di prendere o di gestire il potere. Non è il suo mestiere.”

La profonda conoscenza che Giovanni Falcone aveva del fenomeno mafioso è stata alla base del successo del suo lavoro così come della sua fine. Alla conferma in Cassazione dell’esito del maxiprocesso (fine 1991), Totò Riina ha incluso nella sua lista di deliranti obiettivi due tipologie di persone: quelli che riteneva “traditori” (come Salvo Lima, ucciso nel marzo 1992), e i “nemici” (come Giovanni Falcone e Paolo Borsellino).
E’ una certezza, processualmente acclarata, così come lo è il fatto che il giudice Falcone – in virtù della sua capacità di leggere il fenomeno – ne fosse pienamente consapevole.

“Si muore generalmente perché si è soli o perché si è entrati in un gioco troppo grande. Si muore spesso perché non si dispone delle necessarie alleanze, perché si è privi di sostegno. In Sicilia la mafia colpisce i servitori dello Stato che lo Stato non è riuscito a proteggere.”

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Cose di Cosa Nostra 2017-08-23 18:47:14 cuspide84
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cuspide84 Opinione inserita da cuspide84    23 Agosto, 2017
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STATO VERSUS O PRO MAFIA?

Leggere questo libro è un pugno nello stomaco.

Scritto poco prima della sua morte, poco dopo essere il primo attentato fallito da parte del suo acerrimo nemico, Giovanni Falcone racconta, attraverso queste interviste, il suo approccio al mondo, dove mafia e stato a volte sono la stessa cosa, dove la mafia ha preso il sopravvento laddove lo stato era, è e sarà assente.

Bello, bellissimo, per non dimenticare, per ricordare che persona fosse, che carisma, che carattere, che grande uomo abbiamo perso a causa di questo stato-mafia.

"Si muore generalmente perché si è soli o perché si è entrati in un gioco troppo grande. Si muore spesso perché non si dispone delle necessarie alleanze, perché si è privi di sostegno. In Sicilia la mafia colpisce i servitori dello Stato che lo Stato non è riuscito a proteggere" . Giovanni Falcone

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Cose di Cosa Nostra 2013-11-09 19:12:52 Ally79
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Ally79 Opinione inserita da Ally79    09 Novembre, 2013
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Grazie.Di tutto.

Cose di cosa nostra è un’intervista-racconto,raccolta dalla giornalista francese Padovani durante una serie di incontri con Giovanni Falcone.
La prima cosa altamente apprezzabile è come questa giornalista abbia fatto un passo indietro lasciando i riflettori totalmente puntati sul nostro magistrato:non è infatti riportata alcuna domanda ma solo ed esclusivamente le parole di Falcone.
Ho trovato questa scelta di immenso rispetto.

Non mi dilungherò sui fatti narrati,alcuni li conosciamo bene,fin troppo.
Né sulla scrittura,che scrittura non è,ma preziosa testimonianza.

Falcone non si racconta attraverso il suo lavoro,ma racconta il suo lavoro:inchieste,indagini,interrogatori ai pentiti,collaborazioni con le procure di parecchie altre nazioni.
Ma soprattutto parla,anzi,spiega la mafia.
Con l’autorevolezza di chi,perdonate la banalità,contro la mafia ha combattuto e per la mafia è morto.
C’è un passo che riporto,che mi è parso spiegare perfettamente per cosa quest’uomo ha lavorato:

“Possiamo sempre fare qualcosa: massima che andrebbe scolpita sullo scranno di ogni
magistrato e di ogni poliziotto. Per evitare di rifugiarsi nei facili luoghi comuni, per cui la mafia,
essendo in prima stanza un fenomeno socioeconomico il che è vero ,non può venire efficacemente
repressa senza un radicale mutamento della società, della mentalità, delle condizioni di sviluppo.
Ribadisco, al contrario, che senza la repressione non si ricostituiranno le condizioni per un ordinato
sviluppo. E, lo ripeto, occorre sbarazzarsi una volta per tutte delle equivoche teorie della mafia
figlia del sottosviluppo, quando in realtà essa rappresenta la sintesi di tutte le forme di illecito
sfruttamento delle ricchezze. Non attardiamoci, quindi, con rassegnazione, in attesa di una lontana,
molto lontana crescita culturale, economica e sociale che dovrebbe creare le condizioni per la lotta
contro la mafia. Sarebbe un comodo alibi offerto a coloro che cercano di persuaderci che non ci sia
niente da fare.”

Giovanni Falcone non aveva una vocazione,non era un missionario.
Certo è diventato un eroe…ma questa è un’altra storia.
Era un uomo intelligente e preparato che svolgeva in maniera esemplare il suo lavoro.
Faceva bene quello che aveva scelto di fare:occuparsi nella sua qualità di magistrato di mafia.
E proprio perché conosceva quel fenomeno criminale sapeva perfettamente che combatterlo e vincerlo era possibile.

ERA.So di fare un torto in primo luogo alla sua memoria,ma io non credo che ad oggi sia possibile.Perché uomini come Falcone,Borsellino,Dalla Chiesa io non ne vedo più.
Uomini che sapevano che era solo questione di tempo:anni,giorni o ore li dividevano da morte certa,ma invece di fuggire,di fregarsene di un paese che poco o niente merita,sono rimasti là,ad affannarsi,a lavorare per far si che quel tempo che restava non andasse perso.

Uomini che credevano in un ideale semplice e basilare:la legalità.
Se fossimo in un paese dove ognuno svolgesse correttamente il proprio lavoro,vivremmo in un paese splendido.
Ma in Italia chi fa davvero bene quello che ha scelto di fare è costretto a diventare un eroe.
De Gregori cantava “W l’Italia,l’Italia che lavora”.
Già.
W l’Italia.

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Cose di Cosa Nostra 2013-05-29 17:02:57 marlon
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marlon Opinione inserita da marlon    29 Mag, 2013
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GLI EROI SONO IMMORTALI

Alla morte di Giovanni Falcone, le prime sensazioni che alcuni di noi hanno provato sono state di terrore e di impotenza. Il giudice Caponnetto disse con un filo di voce: “ E’ FINITA..”. Ma è davvero finita? Ho letto questo libro un paio di volte perché è così facile dimenticare col passare del tempo. “ Cose di Cosa Nostra” è una rivelazione che Falcone fa a tutti noi, svelando un mondo sconosciuto. Un mondo che è soltanto l’anticamera delle tenebre. Sia lui che Borsellino l’avevano scoperto dopo anni di indagini e pagarono a caro prezzo. Questo mondo era veramente sconosciuto a noi italiani. Fino agli anni settanta la mafia per i giudici NON ESISTEVA!! Il primo pentito di mafia (Leonardo Vitale) fu rinchiuso in manicomio e sottoposto all’elettroshock… Ma allora, se la mafia esiste, che cos’è ??? l’ANTISTATO per antonomasia. Per alcuni un’
organizzazione parallela allo stato, per altri un organizzazione criminale. Quest’entità vecchia di secoli ancora oggi gode nelle carenze dello stato. Il libro spiega come i mafiosi siano schiavi di un loro codice. Sguardi, linguaggio dei segni, parole chiave in contesti appropriati e altre follie. Falcone essendo siciliano (e soprattutto palermitano) sapeva come destreggiarsi a differenza di altri e riusciva ad avere un dialogo con questi soggetti difficili da decifrare. Ci spiega inoltre che non è più tempo di lupara ma di armi da guerra sofisticate ed esplosivi usati nel terrorismo… Quando la mafia non uccide significa che è sempre più forte. Quando uccide è in difficoltà. Fa specie la descrizione del rito di iniziazione della “punciuta”, riti da magia nera. Per entrare a far parte della mafia (il vero nome è COSA NOSTRA), bisogna avere un bel albero genealogico, coraggio di uccidere ed obbedire a leggi ferree. Il fine ultimo è il potere in tutte le sue forme: il famoso “pizzo”, gli appalti, il traffico di droga, i voti, le poltrone dei politici, le armi ed il controllo su ogni tipo di commercio. Anche un posto di lavoro con le giuste conoscenze…. Nel tempo si capirà poi che sono anche il braccio armato di “Qualcuno “ e svolgono il lavoro sporco per eliminare persone veramente scomode: Dalla Chiesa, Mattei, sono solo una goccia nell’oceano di sangue. Ma davvero è finita come diceva il giudice Caponnetto ? Io dico di NO. Le morti di Falcone e Borsellino non sono state vane. Magari far leggere libri come questo nelle scuole può servire alle nuove generazioni. Concludo. La Mafia o le Mafie sono solo l’anticamera delle TENEBRE. Qualcuno definisce la mafia come “ i guardiani dell’orto” (CAMILLERI) poiché non sono loro i veri detentori del potere. I nostri eroi l’avevano capito ed erano ad un passo dalla verità. Ma la storia ci insegna che gli eroi sono immortali e presto ci saranno altri eroi a combattere. NO, NON E’ FINITA.

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Cose di Cosa Nostra 2013-05-23 10:26:54 gracy
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gracy Opinione inserita da gracy    23 Mag, 2013
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Per non dimenticare...

“Si muore generalmente perché si è soli o perché si è entrati in un gioco troppo grande. Si muore spesso perché non si dispone delle necessarie alleanze, perché si è privi di sostegno.”

Oggi è il ventunesimo anniversario dell’attentato di Capaci e voglio ricordarlo prendendo spunti da questo libro che parla molto dell’uomo che era Giovanni Falcone. Non esistono mafie, soprusi, omertà, prevaricazioni e sfrontati poteri politici di fronte a un uomo meritevole del nostro tempo, che ci ha lasciato una testimonianza che non andrebbe dimenticata.

Per non dimenticare un grande lavoratore capace e ironico.
“Non sono Robin Hood, ne un kamikaze e tanto meno un trappista. Sono semplicemente un servitore dello stato in terra infidelium”.

Per non dimenticare l’ottimismo di un uomo che auspicava la vittoria finale avvalendosi della certezza che lo Stato ha i mezzi per sconfiggere la mafia, ma non lo Stato ideale e immaginario, ma questo Stato, così com’è.
“Appartengo a quella categoria di persone che ritiene che ogni azione debba essere portata a termine. Non mi sono mai chiesto se dovevo affrontare o no un certo problema, ma solo come affrontarlo.”

Per non dimenticare un Magistrato da manuale, un servitore dello Stato che dà per scontato che lo Stato debba essere rispettato. Paradossalmente, cercando solo di applicare la legge si è trasformato in un personaggio disturbante, un giudice che dà fastidio, un eroe scomodo. Dotato di una straordinaria capacità di lavoro e di una memoria di elefante, ha saputo sfruttare in modo intelligente la polizia. Si è circondato di persone qualificate. Si è dimostrato rigoroso all’estremo nell’esercizio del suo mestiere di inquirente: senza mai colpire obiettivi vaghi; senza mai imbarcarsi in alcuna iniziativa di cui non si fosse assicurato il successo; senza mai entrare in polemica personale con un presunto mafioso….niente sguardi di intesa, niente rapporti basati su tu, ma nemmeno insulti: devono rendersi conto di trovarsi di fronte allo STATO.

“-Signor Coppola che cos’è la mafia?
-Signor giudice, tre magistrati vorrebbero oggi diventare procuratore della Repubblica. Uno è intelligentissimo, il secondo gode dell’appoggio dei partiti di governo, il terzo è un cretino, ma proprio lui otterrà il posto. Questa è la mafia…”

Calati juncu, ca passa la china…

Io non dimentico.
Grazie Giovanni.

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Cose di Cosa Nostra 2010-10-14 10:10:30 dmcgianluca
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dmcgianluca Opinione inserita da dmcgianluca    14 Ottobre, 2010
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Grazie Giovanni

Grazie Falcone, grazie Borsellino. Le vostre vite non devono essere dimenticate.
In questo libro, in cui sono racchiusi scritti, interviste, parole e pensieri del grande eroe italiano, si riesce a cogliere quanto la Mafia sia radicata nella cultura del nostro paese. Quanti dei comportamenti tipicamente italiani siano esattamente quelli che, portati all'estremo, sono le basi del carattere del fenomeno mafioso. Un libro che arricchisce, che da spunto a non dimenticare e che aiuta anche nella vita di tutti i giorni. Grazie ad esso posso ora riconoscere le cattive intenzioni di un chicchessia dai suoi gesti e dalle sue parole: ora posso stare più attento.

Attenzione però: altro insegnamento di Falcone è che la mafia muta e si adatta ai cambiamenti, come fosse l'aids. La lotta è ancora aperta.

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Cose di Cosa Nostra 2009-08-25 00:07:14 zuzi1987
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zuzi1987 Opinione inserita da zuzi1987    25 Agosto, 2009
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A tu per tu con un grande eroe

Esistono migliaia di libri e saggi che parlano ed approfondiscono il fenomeno della mafia, citando nomi e fatti, ma nessuno di essi riesce a rispondere pienamente ad una domanda: Che cos'è veramente la Mafia? Solo un uomo come Giovanni Falcone poteva rispondere a quest'importante quesito: un eroe italiano che è nato nella terra di Cosa Nostra, che ne ha visto i suoi lati più oscuri e terrificanti, che li ha combattuti con la spada della Giustizia, divenendo presto così tanto scomodo da esser stato eliminato con "l'attentatuni" di Capaci, il 23 maggio 1992. La Mafia che Falcone racconta e che Marcelle Padovani riporta fedelmente con uno stile accattivante non è quella rappresentata dai mass media o dai film hollywoodiani: è una società di uomini e donne, in cui principi quasi cavallereschi (il rispetto, la lealtà, il reciproco aiuto) si fondono con l'efferata violenza tipica dell'azione mafiosa. Falcone, come il Virgilio dantesco, ci guida nella foresta nera di Cosa Nostra, illustrandoci non solo il loro modus operandi, ma soprattutto cosa significa esser mafiosi, ad esempio il profondo significato di ogni parola o gesto o il rispetto delle leggi non scritte, come nessuno sinora ha mai raccontato. Ed è qui che spicca la grandezza del magistrato: egli non tratta i mafiosi come avanzi di galera, ma come suoi pari, rispettando addirittura coloro che poi lo assassineranno. Più che una lezione sulla Mafia, diventa una lezione di vita, da cui tutti possiamo trarne insegnamento. Ma la sua analisi non si ferma qui: dalla grande esperienza accumulata in anni di inchieste egli ci spiega, con disarmante semplicità, come Cosa Nostra sia alla fine uno Stato nello Stato, la cui economia si basa su attività illegali o, se legali, derivanti dal riciclaggio di denaro sporco e la cui sopravvivenza è legata alla complicità di certi membri degli apparati statali. Un libro da leggere e rileggere non solo per comprendere un fenomeno tutto italiano, la cui esistenza condiziona pesantemente il nostro Paese, ma anche per tramandare la memoria di questo grandissimo uomo, affinchè la sua battaglia non possa mai aver fine.

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