Narrativa italiana Romanzi La cognizione del dolore
 

La cognizione del dolore La cognizione del dolore

La cognizione del dolore

Letteratura italiana

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Gonzalo Pirobutirro è un misantropo affetto da un male oscuro tra le cui molteplici manifestazioni spicca un odio feroce nei confronti dell'"imbecillagine generale del mondo". Al centro del romanzo è il rancore esasperato che egli nutre verso la sua tragica condizione esistenziale e che converge in un accanimento spietato contro la Signora, sua madre, artefice, secondo lui, di tanta sofferenza. Gonzalo è ossessionato dal pensiero della morte della donna. E il drammatico epilogo prende forma sul serio: al rientro da uno dei suoi viaggi di lavoro Gonzalo trova la madre agonizzante in seguito a un'aggressione. Per mano di chi sia stata compiuta, però, non viene rivelato.



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La cognizione del dolore 2018-11-12 12:46:39 kafka62
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kafka62 Opinione inserita da kafka62    12 Novembre, 2018
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LA REINVENZIONE DEL LINGUAGGIO

E’ ogni volta un sublime, sofisticato piacere per gli occhi e per la mente leggere un libro di Carlo Emilio Gadda, scorrere le sue pagine stracolme fino all’inverosimile di incredibili invenzioni linguistiche, assistere al magistrale disvelamento di una umanità colta sempre, anche quando si tratta di personaggi ai margini della storia narrata, nei suoi aspetti più peculiari e inconfondibili, grazie a rapidi ed arguti schizzi in cui la sineddoche (un esempio per tutti, i “quadrupedanti zoccoli” del Poronga e degli altri peones) viene portata a livelli eccelsi. Gadda è un “unicum” nel panorama del romanzo del Novecento: pur non potendo definirsi un avanguardista, egli ha stravolto, non meno di Joyce o di Proust, ogni regola e consuetudine precedente, spingendosi talmente lontano nella sua originalissima ricerca letteraria da non riuscire mai ad esercitare una reale influenza sugli scrittori del suo tempo e dei decenni a venire, italiani e stranieri (viene d’altronde difficile immaginare come può essere realizzabile in concreto una traduzione in altre lingue delle sue opere). I suoi romanzi sono oggetti inafferrabili, che potrebbero in teoria espandersi all’infinito, e difatti non hanno mai conosciuto la parola fine, rimanendo tutti inevitabilmente incompiuti.
Lo stile di Gadda è estroso, pirotecnico, barocco (nel senso migliore del termine): esso opera una continua reinvenzione del linguaggio ed è la dimostrazione lampante di come il vocabolario non sia un qualcosa di statico e definito, ma, soprattutto attraverso l’uso di arditi neologismi e di fantasiosi termini dialettali, un’entità sorprendentemente fluida, viva e multiforme, mai del tutto catalogabile e definibile. Se solo ci si limita alle prime pagine de “La cognizione del dolore”, si può leggere ad esempio che uno scrittorucolo cincischia i suoi “ribòboli” sterili, il clima è “grandinifero”, il vapore è un “bioccolìo” bianco, lo sterco di mucca diventa “la fianta verdastra e pillaccherosa spappata dalle vaccine”, le ville sono “politecnicali prodotti”, il fulmine “sparnazza” dappertutto, la donna che accudisce i polli è “polluta”, la civetta dà uno “strido invido ed ominoso”, la famiglia è “cuginifera”, e poi ancora proliferano termini come “lucubrativo”, “crassume”, “glugolare” e “pasturellare”, che traggono il fascino dalla loro onomatopeica forza evocativa. Contemporaneamente, e in apparente contrasto, Gadda usa anche una terminologia arcaica, desueta e anacronistica, con latinismi, vocaboli colti (noumenico, anagènesi, austione) e modi di dire fuori moda (amistà per amicizia, affossatore per becchino, malinconioso per malinconico). Pur rimanendo ancorato in maniera ferrea ai dati della realtà, Gadda li trascende e li trasforma con un idioma che, sebbene lambiccato ed astruso, mantiene pur sempre la scorrevolezza e la musicalità della lingua colloquiale, misteriosamente intelligibile anche al lettore non iniziato (non è un caso che lo stesso procedimento di estraniazione-riconoscimento l’autore lo adotti anche per il luogo dell’azione, il fantomatico e inventato Maradagàl, nel quale è possibile riconoscere luoghi ben altrimenti familiari agli italiani dell’epoca). Quello di Gadda non è un “gramelot” che fa il verso al vernacolo popolare, nel senso che non è un linguaggio che aspira ad una sua artificiosa naïvètè, bensì un’entità che va in direzione dell’astrazione anziché del coinvolgimento emotivo, che pone il suo autore in una posizione “altra” rispetto alla realtà descritta e da cui deriva un’ironia sapiente ed affilata ed uno spirito di osservazione demiurgico che ne fa una sorta di Proust alla rovescia (per credere a questa affermazione si legga la delirante e spassosissima descrizione del ristorante alle pagine 155 e seguenti, la quale sembra proprio fare il verso, in chiave satirica e “burina” alle analoghe, aristocratiche, cerimonie agapiche proustiane).
Le suddette considerazioni stilistico-formali non devono fare passare in sottordine la sostanza drammatica dell’opera. Così come don Ciccio Ingravallo, l’indimenticabile commissario di “Quer pasticciaccio brutto de via Merulana”, anche don Gonzalo Pirobutirro e sua madre risultano personaggi di straordinaria umanità, espressioni di una sensibilità drammatica e dolorosa che il ghigno beffardo di Gadda cela appena, un po’ come accadeva con Gogol, dietro un sottile e labile velo. Mentre la prima parte del romanzo è divagante e centrifuga, e si trattiene volentieri dietro a personaggi secondari come il vigile-ciclista Palumbo, il colonnello Di Pascuale e il cavalier Bertoloni, privilegiando atmosfere e caratteri e introducendo il protagonista indirettamente, attraverso l’intervento di una sorta di coro (tutte le figure paesane hanno non a caso nomi simili, Peppa, Beppina, Giuseppe, ecc) e dell’immancabile ”si dice che” popolare, la seconda è introspettiva, monologante, e si nutre di sensazioni intime e individuali. Emerge a questo punto prepotentemente il personaggio di don Gonzalo. Pervaso da un acuto male di vivere, da una sofferenza intensa ed opprimente, don Gonzalo è una sorta di Oblomov in cui alla triste consapevolezza della propria condizione e della perdita degli antichi privilegi non si accompagna più alcun idealismo, sia pure velleitario, ma solo un tetro disgusto verso la sconcia vitalità degli uomini, un livore compresso e rabbioso verso la vita e uno scetticismo assoluto e metafisico che esclude qualsiasi prospettiva di riscatto e palingenesi. L’unica dimensione in cui don Gonzalo trova una propria identità è la negazione: negare (e allontanarsi così dai propri simili, sua madre compresa) è però un comportamento autodistruttivo, il quale annulla, nonostante l’innegabile percezione di una sofferenza trascendente, ogni possibilità di immedesimazione e di comprensione da parte del lettore. A fare da contrappunto a quello di don Gonzalo è il personaggio della Signora: la sua incanutita solitudine che si aggira per le stanze silenziose della vecchia villa, rimembrando una vita piena di dolore, di rinunce e di rassegnazione, e il suo amore materno frustrato dalla paura delle bizzose, colleriche e imprevedibili reazioni del figlio, trovano nelle pagine a lei dedicate toni accorati, elegiaci e dolenti. A lei Gadda riserva una morte violenta, che sembra preludere a una svolta “gialla” (l’assassino è il figlio partito per un breve viaggio, il fattore da poco licenziato o un ladro di passaggio?), ma l’inattesa interruzione anticipata decisa dall’autore non ci permette di intuire gli sviluppi potenziali e gli esiti possibili di quello che rimane comunque uno dei più bei romanzi della letteratura italiana.

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La cognizione del dolore 2015-01-20 07:02:31 enricocaramuscio
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enricocaramuscio Opinione inserita da enricocaramuscio    20 Gennaio, 2015
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Una perturbazione dolorosa

Oppresso da un sentimento nero, da un rancore lontano ed incredibilmente profondo, l'animo del rispettabile ingegnere Don Gonzalo Pirobutirro è sempre più in balìa di una rabbia cieca che si scatena al minimo pretesto esplodendo in un turbine di improperi, minacce, efferati turpiloqui "come urlo di demente dal fondo di un carcere". La povera madre, vittima impotente di questa sproposita follia, ha lottato per anni cercando di nascondere con la speranza, con la gioia, con l'amore formidabile che è tipico delle mamme l'orribile evidenza, finché non ha dovuto arrendersi e rassegnarsi davanti al male oscuro che attanaglia la mente e lo spirito dell'adorato figlio. Lo stesso Gonzalo del resto appare incapace di avere ragione del suo delirio, di controllare la sua rabbia feroce che come un fiume in piena si riversa impetuosamente sugli oggetti e sulle persone che gli stanno vicino. Un furore che sembra legato ad una inesorabile sfiducia nella vita, ad un risentimento remoto nei confronti dei genitori, all'intolleranza verso i suoi conterranei sporchi, ignoranti, ladri ed imbroglioni. La donna non ha altra scelta che cercare di dare al figlio meno pretesti possibili per esplodere e, quando questo non basta, lasciare che tutto passi, pietrificata dalla paura, immobilizzata dalla stanchezza, sfigurata dal dolore. La tragedia, è facile prevederlo, sarà inevitabile. Gadda ambienta questa triste storia di angoscia e di sofferenza in un immaginaria nazione sudamericana, il Maradagàl, un paese appena uscito da una terribile guerra fratricida con il confinante Parapagàl. Non si sa bene chi dei due abbia vinto, poiché entrambi rivendicano la vittoria e addossano al vicino la colpa del conflitto. Si sa soltanto che le conseguenze sono state terribili, la lotta armata ha portato morte, invalidità, fame, miseria morale e materiale. In questo clima si svolge la vicenda di Don Gonzalo e della sua anziana mamma, legati dall’indissolubile sodalizio che unisce madre e figlio ma al contempo divisi da una “perturbazione dolorosa più forte di ogni istanza moderatrice del volere”. Lo stile dello scrittore non è certo scorrevole, a tratti brioso, ironico, frizzante, a tratti intricato, ostico, barocco ma sempre deliziosamente delicato, ammaliante, quasi poetico. Gadda gioca con i dialetti e con le lingue straniere, è bravo nel coinvolgere e nel trasmettere sentimenti e sensazioni e si dimostra sottilmente intelligente nel creare un fine parallelismo tra l’immaginario stato andino e l’Italia del Ventennio. Peccato soltanto che non sia riuscito a portare a termine l’opera lasciandoci con un po’ di amaro in bocca, ma comunque estasiati dall’alta qualità letteraria e dalla spiccata capacità di raccontare il male di vivere: “Sapeva benissimo che cosa sarebbe arrivato dopo tutta la fatica e l’inutilità, dopo la guerra e la pace e lo spaventoso dolore: in fondo, in fondo a tutto, c’era, che lo aspettava, il vialone coi pioppi, liscio come un olio. Coi pioppi dalle tergiversanti foglie, nella bionda luce, il viale della Recoleta, in asfalto, dove gli scarafaggioni elettrificati ci scivolavano sopra in silenzio che parevano nere ombre già loro, con bauli argentati, trapezoidali”.

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La cognizione del dolore 2013-12-05 22:28:14 edosto88
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Opinione inserita da edosto88    06 Dicembre, 2013

UNA LETTURA CONSAPEVOLE (DA PARTE SUA) DELLA SCEME

C. E. Gadda da forma ai propri ragionamenti con la creazione di Don Gonzalo Pirobutirro d'Eltino, personaggio iroso e solitario, tormentato dalla propria cognizione (o consapevolezza) del dolore. Il marchese d'Eltino è un tipo particolare: non esita infatti a maltrattare madre, peoni, medici o compaesani spinto dalla profonda sensazione di crisi esistenziale personale e umana che solo lui, è in grado di percepirei. Lo spettacolo miserevole dei compaesani che recano visita a lui e alla madre (unica convivente in una casa in mezzo alla campagna), troppo stupidi (o forse troppo furbi) per poter fare caso alla condizione bestiale ed animalesca delle loro vite, lo fa uscire di sé. si trova unico crociato in una guerra che lo vede contrapposto alla triste condizione umana, alla mancanza di senso di una vita intorpidita dalla sua "malattia del non volere". GAdda esprime con precisione questa sensazione di impotenza,di mancanza di scappatoie, di presa di coscienza di quell'infima posizione che l' umanità occupa in un universo lontano, sordo ed indifferente, personificato dallo scintillio, freddo ed irraggiungibile, delle stelle (che sovrastano, silenziose e impassibili, i personaggi del romanzo). L'ira di Gonzalo viene fomentata dalle ingiustizie del Nistituo, dal perbenismo della madre e dalla brutalità dei compaesani, portandolo ad uno sdegno che, solitario, lui come noi, prova ogni giorno di fronte al superficiale approccio degli altri alla vita. la sua è un'ira insopportabile, inasprita anche dalla mancanza tra i conoscenti, di qualcuno che possa condividere, e lenire, questi pensieri deliranti. e in questa prigione, fatta di libri, di cultura, di superiorità morale e isolamento spirituale, il nostro anti-eroe non trova pace, non sa con chi, o meglio con cosa prendersela. è una consapevolezza che ne ostacola il cammino (un po' come accadeva per Zeno Cosini), non è stimolo di miglioramento (o di aiuto ad un innalzamento spirituale del prossimo) ma freno ad un vivere "sereno", o meglio inconsapevole. una lotta solitaria, insomma...ma contro cosa? gli altri? se stesso? il destino? dove ricercare l'origine di questo disagio? cosa fare di fronte al continuo denigratorio spettacolo offerto dagli "inconsapevoli"?
scrittura sublime ma eccessi di digressioni che talvolta fanno perdere il filo del discorso al lettore. grande musicalità e precisione lessicale.

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Svevo, Joyce, Kafka
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La cognizione del dolore 2011-12-25 08:56:46 floria di tosca
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floria di tosca Opinione inserita da floria di tosca    25 Dicembre, 2011
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La pera butirro

«Le pere butirro, spiccate a metà ottobre, maturano repentinamente, nel corso di una notte, tra il 2 e il 7 novembre.»
Incompleto, terribile. Presenti tutti i temi cari all'autore, dal rapporto con i genitori alla morte del fratello.
Ma ciò che colpisce è la scrittura, il legame con la parola, come radice della sua essenza. Una miscellanea nuova e colorata di parole gergali, dialettali lombarde, spagnoleggianti e anagrammate...una treccia, un filato dala trama complessa e stretta.
In effetti, potendo fare come Penelope, qualcosa la avrei disfatta da questa tela così dolorosa.
Ma a Gadda, tutto si perdona. Compreso questo suo autoritratto così spietato e tagliente.

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...Gadda, o giù di lì.
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