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Mal di pietre Mal di pietre

Mal di pietre

Letteratura italiana

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L'autrice racconta la storia di una nonna (nonna della narratrice), della sua vita, del suo matrimonio e dei suoi amori. In quest'ordine, appunto, perché alla nonna tutto capita un po' in ritardo, quando ormai non ci spera più. Il matrimonio sembrava una possibilità sfumata (per via di una sentimentalità troppo accesa che faceva fuggire i pretendenti), quando a Cagliari, nel '43, arriva un uomo che viene ospitato dalla famiglia e si sdebita sposandone la figlia. Ma non è ancora l'amore, quell'amore vagheggiato e sognato da tutti i personaggi di Milena Agus, con tanto sfortunato ardore. Ed ecco che sembra arrivare inaspettato, durante un viaggio in Continente, durante una cura termale per curare il "mal di pietre", i calcoli renali.



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Mal di pietre 2020-11-28 16:16:39 Mian88
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Mian88 Opinione inserita da Mian88    28 Novembre, 2020
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Il vuoto e il desiderio del mal d'amore.

«Del resto la nonna diceva sempre che la sua vita si divideva in due parti: prima e dopo le cure termali, come se l’acqua che le aveva fatto espellere i calcoli fosse stata miracolosa in tutti i sensi.»

E lei lo sa. Lo sa che la sua vita non potrà più essere quella che è stata in passato, non potrà più essere quella del prima, del prima dell’incontro con il Reduce e la sua gamba amputata. Lei, la nonna, è qui che ha conosciuto il grande amore, è qui che per la prima volta ha sorriso dal cuore e ha sentito di essere apprezzata e amata per quel che è sempre stata e per quel che è e non anche per quel pregiudizio che da sempre la addita quale folle, quale matta per quel dolore che lacera l’anima e si ripercuote e manifesta sul corpo. Lei che è stata data in moglie a un uomo che voleva sdebitarsi per l’accoglienza ricevuta, lei che solo curando quei calcoli renali, il mal di pietre, che le impedivano di restare incinta, ha scoperto anche il mal d’amore.
Un quadernetto nero con il bordo rosso, una lettera ingiallita, luci e ombre di quegli anni così a ridosso con il Secondo conflitto mondiale in quel di Cagliari, così ancora dolorosi e bui. A narrarci di questo viaggio in continente, a narrarci di questo amore che si è perpetrato negli anni e sedimentato nel cuore, è la nipote che ricostruisce il nesso, che ricostruisce la storia con pennellate fatte di parole e ricordi. Perché alla fine, la nonna, cosa desiderava se non tanto il lasciarsi andare a quel sentimento che pulsava dentro come un richiamo spasmodico? Da qui il bisogno, l’immaginazione, il rimpianto per quell’amore non realizzato ma così cercato, la scrittura di giovani e adulte memorie su un quadernetto fatto di segreti, manchevolezze, sogni e speranze.

«Il Reduce scoppiò a piangere e si vergognava da morire perché da bambino gli avevano insegnato a non mostrare il dolore. Allora anche la nonna si mise a piangere dicendo che invece a lei avevano insegnato a non mostrare la gioia e forse avevano ragione perché l’unica cosa che le era andata bene, essersi sposata con nonno, le era stata indifferente e non aveva capito perché quei pretendenti fuggissero tutti via, ma del resto cosa ne sappiamo noi davvero degli altri, cosa ne sapeva il Reduce.»

È nella nonna che è racchiuso il perno di quella figura che mantiene l’equilibrio della famiglia e delle persone che ha al fianco anche quando il mondo sembra tirar su una barriera atta a barricare. Ed è ancora colei che ci insegna cosa sia l’amore. Sì, lei che lo ha ricercato e immaginato per tutta la vita, lei che ne ha fatto parola e confidenza, lei che si è affidata alla magia e alla non regola per coglierne ogni sfumatura.

«Perché in fondo, forse, nell’amore, alla fine bisogna affidarsi alla magia, perché non è che riesci a vedere una regola, qualcosa da seguire per far andare le cose bene.»

Il risultato è quello di un racconto piccolo nella sua mole, enorme nel suo contenuto. Uno scritto intriso di introspezione e riflessione, una perfetta armonia che ci invita a soffermarci su quel mal d’amore ma anche su quell’amore al contrario forse avuto accanto ma mai riconosciuto. Ed ecco che ancora la parola scritta torna ad avere il suo senso, torna a curare, torna a solleticare cuore, mente e animo. Con delicatezza, con pacatezza eppure con grande incisività.

«Non smetta di immaginare. Non è matta. Mai più creda a chi le dice questa cosa ingiusta e malvagia. Scriva.»

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Mal di pietre 2017-05-05 20:13:49 Antonella76
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Antonella76 Opinione inserita da Antonella76    05 Mag, 2017
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Calcoli renali o mal d'amore?...



Questa è la storia di una donna, di cui non sapremo mai il nome, raccontata da sua nipote.
È la storia della Sardegna ai tempi della Seconda Guerra Mondiale.
È la storia di come la sensibilità, l'immaginazione, l'arte e la poesia...possano essere stati motivo di vergogna in un tempo e in una terra dove non c'era spazio per i sogni, e chiamata "pazzia".
È la storia di come si possa vivere un'intera vita accanto ad un uomo che non hai mai amato e che non ti ha amato, ma non per questo aver rinunciato all'amore, anche se solo nella propria testa.
L'amore...quella "cosa principale che rende tutto bello"...che permette di mettere al mondo i figli, che fa sopportare tutto, anche il "mal di pietre".
Calcoli renali o mal d'amore?...
Attraverso un quaderno nero dai bordi rossi siamo riusciti ad entrare nella vita segreta di una donna, una moglie, una madre, una nonna...
Una donna odiata dalla sua stessa madre perché "abitava il paese della luna"...perché scriveva lettere infuocate ai pretendenti, perché disegnava greche sul muro, si tagliava i capelli a zero, si buttava nel pozzo, si feriva le braccia.
Perché faceva scappare l'amore...
Ma "lei non era matta, era una creatura fatta in un momento in cui Dio semplicemente non aveva voglia delle solite donne in serie e gli era venuta la vena poetica e l'aveva creata".
E se la vita le ha riservato un uomo che l'ha chiesta in sposa solo per dovere, per sdebitarsi...allora lei l'amore l'ha cercato e trovato altrove, grazie al Reduce, malato del suo stesso male.
Si sono riconosciuti attraverso le pietre che portavano dentro...lei con i suoi bambini che non volevano nascere, lui con la sua guerra da dimenticare.
Ma il Reduce è stato un attimo...e la sua vita vera era altrove.

"Aveva speso tutte le sue forze per convincersi che quella era la migliore vita possibile, e non quell'altra di cui la nostalgia e il desiderio le toglieva il respiro".

Una donna che in fondo ha pagato per tutti, si è presa tutta la dose di disordine interiore ed ha salvato le persone che amava dal caos, dallo squilibrio...
Perché "in ogni famiglia c'è sempre uno che paga il proprio tributo perché l'equilibrio fra ordine e disordine sia rispettato e il mondo non si fermi".

Il finale è tanto bello quanto inaspettato...e mi ha lasciato un unico pensiero nella testa: non dobbiamo mai rinunciare a sognare, proprio mai...anche a costo di sembrare dei matti.
Perché forse solo rinunciando ai sogni, lo si diventa davvero.

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Mal di pietre 2013-10-29 18:53:05 luvina
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luvina Opinione inserita da luvina    29 Ottobre, 2013
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Su mali de is perdas

“Mal di pietre” è un breve romanzo di qualche tempo fa che ha ricevuto molti premi letterari ed è entrato nella cinquina dei finalisti del premio Strega. E’ stato finora il romanzo rivelazione dell’autrice Milena Agus, genovese di origini sarde che vive a Cagliari. Tutto il racconto verte sulla figura della protagonista, nonna paterna della giovane ragazza voce narrante del romanzo, e sul mal d’amore che qui si identifica con il “mal di pietre” cioè i calcoli renali. E’ proprio per curare questi ultimi alle terme che la nonna conosce il Reduce, protagonista della sua storia d’amore. Tutti i personaggi di questo libro non vengono mai chiamati per nome ma per appartenenza alla famiglia quindi nonno, nonna, prozia, mamma, papà, cugino ecc. fatta eccezione per la nonna materna di nome Lia. Il racconto è impostato in forma di diario della nipote in parallelo con il quaderno nero col bordo rosso della nonna che tanta importanza ha nella storia fino al non scontato finale.
Lo stile di questo libro è sì lineare ma anche infantile, semplice, quasi a voler sottolineare l’immaturità della nipote che invece scopriamo sta per sposarsi; non ci sono veri sprazzi di letteratura ma è una narrazione monocorde, nella quale tutto scivola senza traumi, anche le vicende tremende della guerra, la ricostruzione, l’emigrazione e gli accadimenti degli anni ‘50 ‘60 e ‘70. Ecco, secondo me tutto questo è narrato in poche pagine (110) a scapito di quello che poteva essere un bel romanzo familiare, non ci si affeziona ai personaggi anche se sono ben delineati, il finale sembra scritto quasi con la fretta di finire e lascia insoddisfatti. In tutta questa stringatezza di parole scritte ci sono invece lunghi brani con le descrizioni dei rapporti sessuali (secondo me di modi irrealistici per quei tempi “Gattopardo” docet) tra il nonno e la nonna assolutamente non necessari né funzionali alla storia.
Mi è piaciuta invece molto l’ambientazione in Sardegna, le descrizioni della città di Cagliari, delle sue strade, del Supramonte (che conosco benissimo) e anche le frasi in sardo, che per me non sono state un problema conoscendo il dialetto, sono in realtà la voce contadina a volte intraducibile di quella realtà e si integrano bene nel romanzo.
Pur essendo a mio avviso un libro “leggero” mi ha portato a fare una riflessione sull’amore: triste è quando inseguendo l’Amore dei sogni non ci si accorge del grande amore che si ha realmente.

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Mal di pietre 2013-09-11 12:36:00 luisa
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Opinione inserita da luisa    11 Settembre, 2013

MAL DI PIETRE

Questo romanzo di Milena Agus mi è piaciuto. È una storia con una trama variegata che mi ha interessato, con una forma di scrittura efficace, diretta e immediata; una specie di lingua parlata facile di capire.
La storia è come una saga familiare di tre generazioni che ha come protagonista la figura della nonna, una donna bella, appassionata ma con la testa piena di fantasie. Questa combinazione nei primi anni del Novecento non aveva nulla di buono e quindi, la nonna era considerata una che non ci stava con la testa. La vicenda si svolge a Cagliari (Sardegna) dominata dal sole e dal vento e in una Milano nebbiosa e triste. La storia è raccontata dalla voce narrante della nipote.
Per me, il tema principale del romanzo è l’amore, che sente questa donna in particolare per il Reduce ma anche l’amore come stile di vita. L’amore fa di lei quello che lei è, niente più.
Al di là della storia in sè si può capire (io capisco) un messaggio di libertà personale, di non piegarsi alla volontà degli altri, nonostante il rischio di essere considerato matto.
Mi ha veramente colpito la fine del romanzo, per me, un tocco di genialità. Consiglierei questo libro a coloro che a un certo punto non sanno cosa leggere e amano le cose semplici.

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Mal di pietre 2012-03-12 09:51:07 C.U.B.
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C.U.B. Opinione inserita da C.U.B.    12 Marzo, 2012
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Ho ingoiato un sasso.

Che delusione questo libro e che stile deludente quest’autrice.
Aveva per le mani un racconto splendido, un quadro famigliare amarcord, che poteva essere struggente, commovente e invece…Zero zero zero, sono anche un po’ arrabbiata, lo ammetto.
Una scrittura piatta, scontata , banale, ripetitiva (suvvia, 119 pagine in formato micro , possibile essere ripetitivi ?) Non mi ha emozionata, nessuna empatia eppure io mi commuovo anche leggendo Topolino.
E poi questo continuo ricorrere a citazioni in sardo. Per carita’ , io in primis amo i dialetti locali, ho appena letto un Erri DE Luca fitto di frasi napoletane, ma il napoletano e’ abbordabile all’orecchio estraneo, il sardo no. Il dialetto sardo e’ veramente difficilissimo e l’autrice lo sa.
Non rinuncia alle frasi nella sua lingua, anzi le stesse abbondano, ovviamente rigorosamente numerate e tradotte in didascalia. Il risultato e’ la mancanza di fluidita’, una lettura discontinua, zoppicante.
Poi saro’ una romantica, pensare alla nonna per me e’ leggere una favola in bianco e nero, le frequenti descrizioni della Agus sulle prestazioni sessuali a mo’ di bordello cui si sottopone la nonna durante il matrimonio levano del tutto la gia’ scarna poesia.

Sapete cosa salverei? Pagina 118 e pagina 119. Il finale .
Due paginette che mi hanno dato quello di cui poteva essere ebbra una trama simile se scritta con mano diversa.

Il mal d’amore, fa male al cuore e alla testa, quando ti contagia.

Insomma, concludendo,credevo di poter assaporare una fetta di un dolce sardo fatto in casa, invece... Ho ingoiato un sasso.

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Mal di pietre 2009-01-01 13:55:01 Virgoletta
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Opinione inserita da Virgoletta    01 Gennaio, 2009

Mal di pietre

Scarno. Un romanzo di un centinaio di pagine che non per questo risulta povero. La colpa è dello stile, della scrittura talmente elementare da avvicinarsi a quella parlata, dove ogni ripetizione, inflessione, stento linguistico è perdonato. L’ancoraggio al dialetto sardo, in cui l’autrice si rifugia di tanto in tanto, non lo reputo tra l’altro un artificio degno di nota. Il dover affidarsi alle spiegazioni a fondo pagina per comprendere i dialoghi, è persino seccante.

Veniamo al nocciolo del libro, la storia. Una nipote, sconosciuta al lettore, che descrive le tappe di vita della sua amata nonna, una donna strampalata, fantasiosa, passionale, costretta dai tempi, dalla famiglia, dal destino, a rinunciare per sempre all’amore. E che alla fine se lo inventa. Una signora con i reni ‘guasti’, che le provocano il terribile ‘mal di pietre’ enunciato nel titolo, che sopporta il dolore come una punizione irreversibile. Sullo sfondo, la fine di una guerra e l’inizio di un’altra, una Sardegna dignitosa e incerta, un sottobosco di convenzioni, piccole ipocrisie, privazioni, volgarità e prestazioni umilianti (ma come fa la nipote a conoscere certi particolari a luci rosse? Mah…).

L’originalità del racconto è nella conclusione, semplice, ma non ovvia. Per il resto calma piatta, noia, un’andatura regolare e scialba, un rapporto proibito, quello tra la nonna e il Reduce, che nell’intenzione della Agus dovrebbe coinvolgere ed entusiasmare il pubblico, ma che invece lascia distaccati e freddi.

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Mal di pietre 2008-07-01 22:13:57 Arcangela Cammalleri
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Arcangela Cammalleri Opinione inserita da Arcangela Cammalleri    02 Luglio, 2008
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Mal di pietre du Milena Agus

MAL DI PIETRE di MILENA AGUS

L’immaginazione e il sogno sono le porte per una realtà di là dalla ragione

In questo breve romanzo,”Mal di pietre”, scorre una vena narrativa fluente ed evocativa, in cui la scrittura dell’autrice, limpida, concreta ed essenziale, dà corpo ad una trama che, attraverso il filo dei ricordi, “Un quadernetto nero con il bordo rosso” e una lettera ingiallita, riverbera bagliori di luci ed ombre. La prima pagina del racconto enuncia, come un antefatto, il fulcro della storia: “ La Nonna conobbe il Reduce, anno 1950, da Cagliari per la prima volta in Continente alle terme per curare il mal di pietre” ( i calcoli renali, che minavano il suo fisico sin dalla più giovane età ).

L’io narrante, la nipote, con sguardo puro e commovente ripercorre la vita della nonna paterna, la Nonna ( l’iperonimo che include l’iponimo, il legame parentale forte sottrae il nome proprio, in una sorta di sineddoche sui generis ), donna sarda dall’indole passionale incline all’amore, “La cosa più bella per cui valga la pena di vivere”, affetta da un male misterioso- come lamentava, lei stessa- che faceva fuggire l’amore.

Nonna, la figura femminile intorno alla quale ruota tutta la storia, ha i tratti prorompenti e vitali e l’animo straziato da un male oscuro, che agli occhi degli altri appare come una forma di follia, quando il dolore esplodeva imperioso dal suo animo e prorompeva in gesti estremi, plateali, in quel suo grido disperante e reiterato - mancava la cosa principale – diceva – e si rinchiudeva in quel suo mondo della luna. Nonna si dibatte in una schizofrenia tra l’io reale e l’io immaginario d’amore ”Essere fuori della ragione (e per questo matta ) e dentro un sogno”. Il Reduce rappresenta l’amore inventato e rimpianto perché irrealizzato, le cose del quotidiano, i figli che non arrivavano sono le pietre dentro che implodevano nell’animo di Nonna. L’inventiva, l’immaginazione ( nella lettera- non smetta di immaginare-), la finzione letteraria diventano l’antidoto alle sue sofferenze esistenziali.

La Nonna è l’emblema del disordine; in ogni famiglia c’è sempre qualcuno che paga il proprio tributo perchè l’equilibrio sia rispettato, altrimenti il mondo s’irrigidisce e si ferma.

Al contrario aveva fatto la nonna materna, Lia, rimettere ordine ( una vita di cenere dopo quell’unica scintilla), ma aveva fatto più danno.

In fondo, forse, nell’amore, alla fine bisogna affidarsi alla magia, perchè non c’è regola, qualcosa da seguire per far andare bene le cose.

Sullo sfondo di questa storia interna, famigliare, scorre come un film, la storia esterna dell’Italia dagli anni dell’armistizio, 8 settembre1943...Radio Londra…Badoglio…alla disfatta dei Tedeschi, agli anni ’50 della ricostruzione e dell’emigrazione dei “Terun” a Milano, agli anni ’70 del terrorismo e delle lotte tre i neri e i rossi.

Questo è un racconto intenso, intessuto di note musicali, d’amore cercato e… forse, non riconosciuto, di forti legami affettivi dichiarati ( Mia nonna è stata tutto per me, quanto mio padre per la musica e mia madre tutto per mio padre)

Scrivere di qualcuno, come ha fatto la nipote, è un regalo, così come un regalo piccolo, ma prezioso è stato offerto a noi lettori con sommessa delicatezza quando un libro offre la condivisione di un minimo dell’immaginazione di chi ha scritto.

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per chi ama leggere, anche, gli esordienti con curiosità e cercare di capire il perchè di un certo tam tam pubblicitario e successivo successo...
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Mal di pietre 2008-04-18 06:47:30 Olivia Zilioli
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Opinione inserita da Olivia Zilioli    18 Aprile, 2008

IL MAL DI PIETRE

“Illusioni! grida il filosofo” recitava Foscolo. Il Mal di Pietre di Milena Agus gli fa eco con semplicità e delicatezza. Meglio morir d’amore che non amare del tutto. E se la realtà non aiuta, è lecito che subentri la fantasia.

In una Sardegna volutamente anacronistica, una nipote ripercorre la vita della nonna sulla base di percezioni e confidenze intimiste – talvolta intuite, talvolta rivelate. Ne emerge un passato di emarginazione per la particolare inclinazione alla passione ed alla ricerca quasi patologica dell’amore. Non è casuale che la struttura del romanzo richiami “Va dove ti porta il cuore” ma c’è un’amabile variante: la redenzione dalla colpa di “follia per amore” si respira in ogni pagina e non solo nell’epilogo. Il risultato è un delicato saggio sulla natura della passione e sulla necessità dell’idea (o dell’ideale?) dell’amore per esistere (e resistere).

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Va dove ti porta il cuore
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Mal di pietre 2008-03-28 09:55:58 Maristella
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Opinione inserita da Maristella    28 Marzo, 2008

Follia o creatività?

E’ certamente molto particolare, questa figura di nonna,raccontata da Milena Agus nel suo ultimo libro “Mal di pietre”. Una nonna, la cui vita, colorata soltanto dal desiderio inestinguibile, dall’immaginazione piu’intensa e da un’esagerata creatività interiore, scambiata per pura follia, si snoda in piani paralleli tra passato e presente, tra sogno fortemente agognato e realtà concretamente vissuta. La nipote, io narrante del romanzo, ricevendone le memorie segrete dalle mani del caso, decide di raccontarne le vicende, trasponendo sulla carta, non solo la storia di una donna, ma di intere generazioni di donne, colpite da un’incompletezza esistenziale che si nutre di insopprimibili fantasie che assecondano lo scorrere dei giorni, rendendo sopportabile la mancanza di amore e passione,la mancanza della “cosa principale”,l’unica e sola che puo’ muovere il mondo e rendere più lieve il passo del vivere. Veniamo così affascinati dall’immagine di questa donna che ci incanta, con i lunghi capelli neri che non si arrendono al tempo, i seni floridi, il corpo voluttuoso, una spiccata sessualità, con la testa “pren’e bentu”,un vento che confonde la mente,allontanando dall’anima ogni concretezza e risucchiando, dentro ogni fibra aneliti di fantasia fino a riempirla di un’ardente immaginazione che sfiora la dissennatezza.Un mal d’amore, un mal di vivere, assimilabile al “Mal di pietre”, una visione onirica che viene solamente lambita dalla realtà storica circostante, che pur entra prepotentemente in essa, a riprova che gli eventi esterni possono riuscire a mutare gli eventi intimi, fino a lasciare tracce profonde capaci di interrompere le idee piu’ immaginifiche. Ma, è anche vero il contrario, che l’inventiva può essere d’aiuto nell’attraversare la storia e la vita stessa, portando colore e luce laddove non esisterebbe che un grigiore uniforme e creando un contrasto tra fantasia e realtà che può essere immensamente salvifico o considerevolmente limitante.In uno scenario,che dipinge abilmente non solo Cagliari, ma anche città come Milano, Genova e una parte di Sardegna, in accurate e veritiere descrizioni che materializzano nella mente,non solo la visione, ma anche il profumo ed il sapore di quei luoghi, riaffiora un’evanescente sentimento di nostalgia, quella “ cosa triste ma anche un po’ felice” che,come una musica,accompagna questa donna la cui esistenza fu un attimo di estasi ma poi fu “tante altre cose”. E pagò per tutti, col proprio disordine interiore, non lasciandolo in eredità a nessuno, ma assumendolo completamente in sé, perché “in ogni famiglia c’è sempre uno che paga il proprio contributo perché l’equilibrio fra ordine e disordine sia rispettato e il mondo non si fermi”.

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Quando dorme il pescecane
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Mal di pietre 2007-08-23 22:31:36 Renzo Montagnoli
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Renzo Montagnoli Opinione inserita da Renzo Montagnoli    24 Agosto, 2007
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Benedetti calcoli renali!

Mal di pietre è quasi una saga familiare di tre generazioni e ruota tutto intorno alla figura della nonna, sofferente di calcoli renali, il cosiddetto mal di pietre, che però finisce con l’essere più un mal d’amore.

In questa storia c’è una freschezza, una lievità con cui si spazia dalla realtà al sogno in modo accattivante, raccogliendo l’immediata simpatia del lettore che corre sulle righe per arrivare a una conclusione, che non anticipo, ma che è un vero e proprio tocco di genialità.

La vicenda si svolge prevalentemente in una Cagliari dominata dal sole e dal vento, tranne un breve excursus in una Milano nebbiosa e di abitazioni degradate. In questa ambientazione regna sovrana la figura della nonna paterna (l’io narrante è la nipote), una bellissima donna che cerca l’amore in tutti gli uomini di cui viene a conoscenza, senza però che questi corrispondano al sentimento. Le delusioni, poco a poco, diventano ossessioni e la donna finisce, nei momenti di crisi, per rinchiudersi in soffitta, dove si strappa i capelli e si ferisce alle braccia, quasi a voler sfogare contro il suo bel corpo l’angoscia di non essere riamata.

Per quanto ovvio, nella gente che la circonda, incapace di discernere fra pazzia e sofferenza dell’animo, finisce per l’essere considerata una che non ci sta con la testa e quasi non par vero ai genitori della donna quando uno sfollato (siamo durante la guerra), vedovo, la chiede in sposa, per sdebitarsi dell’ospitalità ricevuta.

E’ un’unione senza amore, una sorta di vincolo di coniugio imposto dalla legge e dagli usi, con i due sposi che se ne stanno nel letto l’uno distante dall’altro. Il marito soddisfa le sue esigenze sessuali nel bordello e allora la moglie, al solo fine di risparmiare i soldi delle marchette per comprare il tabacco della pipa che lui fuma, si sostituisce alle prostitute, come loro senza amore.

Il gesto della donna non è inconsulto, ma una forma di ringraziamento per un uomo che la stima e la tratta nel migliore dei modi, ma ancora manca l’amore, quello che troverà, durante un periodo di cure termali sul continente, in un reduce, mutilato di una gamba.

Nove mesi dopo nascerà un bambino e ci si chiede giustamente di chi è figlio. Il legittimo marito non viene nemmeno sfiorato dal dubbio e riversa nel bimbo quell’amore che ha fatto mancare alla moglie, a cui arriva, tuttavia, per il tramite di quella creatura.

Il ricordo del reduce, però, è sempre nella mente della donna, una sorta di sogno che l’accompagnerà fino alla morte, quasi a voler significare che l’unico modo per accettare la realtà è quello di trovare una via di sfogo nell’idealizzazione di ciò che è il nostro massimo desiderio.

Quindi, la trama è quanto mai variegata e tale da interessare il lettore che, peraltro, si trova agevolato nella fase di assimilazione dalla particolare forma di scrittura dell’autrice, una specie di lingua parlata di grande efficacia, anche se, a mio avviso, può nuocere il frequente ricorso a vocaboli in dialetto sardo che, obbligando ad andare a vedere la nota esplicativa, finisce con il creare un po’ di fastidio.

E’ un po’ una moda quella di utilizzare ogni tanto il vernacolo, ma la logica dice che è da farsi solo quando la sua resa è sensibilmente migliore di quella della lingua italiana.

Ecco, questo è l’unico appunto che mi permetto di fare a un’opera che è un autentico gioiellino.



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