Narrativa straniera Romanzi L'uccello che girava le viti del mondo
 

L'uccello che girava le viti del mondo L'uccello che girava le viti del mondo

L'uccello che girava le viti del mondo

Letteratura straniera

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In un sobborgo di Tokyo il giovane Okada Toru ha appena lasciato volontariamente il suo lavoro e si dedica ai lavori di casa. Due episodi apparentemente insignificanti riescono tuttavia a rovesciare la sua vita tranquilla: la scomparsa del gatto di casa e la telefonata anonima di una donna che con voce sensuale gli chiede un incontro. Toru si accorgerà presto che oltre al gatto, a cui la moglie Kumiko è molto affezionata, dovrà cercare Kumiko stessa. Lo spazio limitato del suo quotidiano diventa il teatro di una ricerca in cui sogni, ricordi e realtà si confondono e che lo porterà ad incontrare personaggi sempre più strani.



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L'uccello che girava le viti del mondo 2014-12-17 13:28:32 Riccardo76
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Riccardo76 Opinione inserita da Riccardo76    17 Dicembre, 2014
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UNO SPECCHIO MULTIDIMENSIONALE

Una realtà a meta tra sogno e introspezione, come se la vita fosse uno specchio multidimensionale. Il romanzo è una storia tra le storie, difficile individuare cosa è reale e cosa è onirico, anche perché ritengo che i fatti realmente vissuti dal protagonista non siano poi così normali e consueti. I personaggi sembrano usciti dalla fantasia di un cantastorie, l’ambientazione e i luoghi sono a tratti vividi e a tratti evanescenti. Il protagonista vive tra: l’angoscia, della perdita e la ricerca, e l’interesse nel conoscere i vari personaggi, reali o immaginati che siano. Una ragazzina con la quale affronta discorsi surreali, storie nella storia appartenenti quasi ad una “realtà” introspettiva piuttosto che realmente accaduta.
Murakami introduce nella storia un pozzo che, nell'interpretazione dei sogni assume un significato introspettivo e di analisi dell’inconscio. Per vederla in un’ottica freudiana, il protagonista ritiene indispensabile scandagliare il proprio più intimo Es mettendo a tacere momentaneamente il proprio Io, alla ricerca di ciò che ha perduto nella vita e alla quale è molto attaccato.
Leggere questo libro è come vedere un film di Fellini, storie oniriche, simboliche e reali che conducono il lettore da una scena all'altra, la bravura di Murakami sta proprio nel riuscire mantenere il controllo di una storia non sempre lineare e semplice.
Il primo libro di Murakami che ho letto, inutile dire che mi ha colpito particolarmente e, come per “Norwegian Wood”, ho portato con me i suoi personaggi per giorni, mi hanno stimolato e interrogato. A distanza di qualche anno dalla lettura, non mi sento più “perseguitato”, ma un senso di piacere per questa opera e per il suo autore sono rimasti in me.
So che Murakami possa anche non piacere, difficilmente però lascia indifferenti.

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L'uccello che girava le viti del mondo 2014-06-27 10:20:24 Giovannino
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Giovannino Opinione inserita da Giovannino    27 Giugno, 2014
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Tanto fumo, poca carne.

Era passato quasi un anno dal mio ultimo libro di Murakami, "Nel segno della pecora", e così ho deciso di prenderne un altro, perché devo essere sincero, finora non lo ho mai apprezzato a pieno (tranne in Norwegian wood) però il suo modo di scrivere dopo un pò mi manca. Proprio questo, lo stile, è quello che apprezzo di più in Murakami, sono convinto che con il suo dire e non dire, con le sue descrizioni accurate, con il suo segmentare la realtà, riuscirebbe a farmi leggere con piacere anche 2000 pagine di istruzioni di un qualsiasi robot da cucina. Ma allora perché prima ho detto che non mi convince a pieno se il suo stile riesce a coinvolgermi così? Semplice, perché nel 90% dei casi non dice nulla. Un romanzo, di base, è una storia che viene raccontata ai lettori, e, come tutte le storie ha un inizio, un corpo e una fine. La bravura dello scrittore sta proprio nel riuscire, tramite artifizi letterari, stile o quant'altro, a raccontare questa storia nel miglior modo possibile. Il problema, a mio avviso, sta proprio nel fatto che spesso Murakami non sa dove vuole andare a parare con quello che scrive, e non è infatti un caso se, secondo me, Norwegian wood è il libro che ho più apprezzato. Il motivo è semplice, Norwegian wood parla prevalentemente di fatti concreti e non di onirico. Va bene il realismo magico, va bene la libertà di interpretazione postmodernistica che fa si che ognuno legga in quello che scrive ciò che più lo/la aggrada, ma forse in alcuni casi esagera. Cioè, alla fine di questo libro la prima cosa che ho pensato è stata "Cosa voleva dirci?", e la risposta è "Tutto e niente". Il punto è che da l'idea di essere stato scritto senza una linea iniziale, e che quindi nel corso della scrittura non sa neanche lui dove andare a parare. La trama è semplice, il protagonista è il classico uomo di mezza età di Murakami, che si trova a fare i conti con se stesso e con la sua vita (già visto in "Nel segno della pecora"). Un bel giorno gli scompare il gatto e improvvisamente inizia anche a ricevere telefonate misteriose da una donna sensuale. Poco dopo scompare anche la moglie. Da quel giorno il nostro Toru inizia la sua ricerca, che è prevalentemente statica, infatti nel corso del romanzo raramente esce dal suo quartiere, però all'interno della sua vita entrano decina di personaggi bizzarri, ognuno che porta qualcosa al racconto e così, tutti insieme, non portano nulla (scusate la contraddizione). Cento pagine per raccontare una guerra di 50 anni prima che poi viene abbandonata dalla storia per poi essere ripresa. Bello il simbolismo dell'uomo nel pozzo, metafora della ricerca in se stesso, ma ripetitivo. Lettere assurde di un'adolescente morbosa che non trovano mai risposta che vengono proposte e riproposte. Personaggi che entrano nel racconto e ne escono senza apportare nulla se non la loro presenza, ad un tratto la stessa adolescente di cui sopra dice al protagonista "Lei ha troppe donne, signor Toru". Ecco, precisamente, troppo. Amo lo stile di Murakami, come riesca a sezionare ogni attimo del racconto, anche aprire una birra ha una programmazione implicita, prendere la birra, prendere il cavatappi, gettare il tappo nella spazzatura e così via. Sembra analizzare ogni cosa che fa e lo stesso fa con i sentimenti, li vive e racconta in maniera distaccata, da spettatore, riuscendo a discernere il dolore dalla compassione, l'infatuazione dall'amore. Però come già detto, magari è solo un mio gusto personale, lo preferisco quando è meno onirico e più reale. Questo alla fine un pò come 1Q84 è un libro che parte benissimo, come un potenziale capolavoro, ma poi si perde prima della metà. E proprio come in 1Q84 il finale è semplice e banale, e dopo aver letto 800 pagine ci si aspetta (anzi, si desidera) qualcosa di più. Rileggerò Murakami perché amo il suo stile ma questo mi ha convinto a metà.

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L'uccello che girava le viti del mondo 2014-02-13 12:29:26 Renato Pinturo
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Opinione inserita da Renato Pinturo    13 Febbraio, 2014

Murakami o Checov?

Su questo romanzo si potrebbe dire quello che normalmente si legge riguardo a un libro di Checov: dentro, c'è tutto. Volendo riassumere la trama in pochissime parole, si potrebbe dire che racconta la storia di un uomo che è lasciato da sua moglie e, nel tentativo di riconquistarla, comincia un metaviaggio spirituale. Affronterà molte avventure ed entrerà - dal fondo di un pozzo - in un mondo parallelo. Sono presenti richiami a Hard-boiled Wonderland and the End of the World (le ombre degli uomini come esseri separati), a Kafka on the Shore (il rapporto coi gatti). E' sicuramente un libro che sorprende e commuove.

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L'uccello che girava le viti del mondo 2013-07-28 15:10:49 Todaoda
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Todaoda Opinione inserita da Todaoda    28 Luglio, 2013
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Ma lui si è capito?

Una narrazione netta, pulita ed uno stile sincero, sobrio e tuttavia profondo fanno di questo libro un capolavoro... mancato. Mancato ineluttabilmente e desolatamente, poiché se dal lato tecnico/stilistico Murakami fa sfoggio di tutta la sua classe riuscendo con maestria a mischiare la consuetudine con la desuetudine, il realismo con l'onirismo e in definitiva il fisico con il metafisico, conferendo una solida credibilità ad un personaggio che schematicamente ridotto ai minimi termini sarebbe improbabile quasi quanto un fantozziano puffo pervertito, se da un lato riesce in tutto ciò, dall'altro lato, quello contenutistico, fallisce miseramente. L' affascinante vena letteraria dell’autore infatti si esaurisce dopo pochi capitoli relegando lo spunto e l'ispirata innovazione a pochi sparuti paragrafi (per lo più riconducibili alla realistica cronistoria del Giappone durante gli ultimi mesi della seconda guerra mondiale.) Il piattume che circonda quei brevi fogli purtroppo è epidemico e neppure gli svolazzi fantastico/fantasiosi (da veggente telefonica o cartomante televisiva) servono a risollevare una trama che sprofonda sempre più nel ridicolo e nel fumoso iperbolico.
Eppure il libro è solido! Eppure avvince! Pagine e pagine di insulsi contenuti, eppure diletta! Come è possibile? A cosa è riconducibile questo stridente paradosso? Sì, la parte storica è interessante ma slegata e povera, gli spunti filosofici sono adeguatamente profondi e per certi aspetti anche peculiari, ma pur sempre fini a loro stessi e "già conosciuti", dunque come è possibile?
L'unica teoria che si può chiamare in causa a supporto di una plausibile spiegazione di questo contrasto fenomenico è ancora quella, la sola e la solita: l'abilità tecnica dell'autore (anche se in questo caso più che di tecnica si dovrebbe parlare d’ arte) che, pur con qualche caduta di stile e pericoloso capitombolo di ridondanza, riesce a creare un testo perfettamente bilanciato in tutte le sue componenti, in equilibrio costante tra il concreto cronico e l’acuto astratto, tra il reale e il metaforico, tanto che tutte le ottocento e più pagine sembrano quasi un pretesto, un pretesto per poter dire qualcosa di diverso, di nuovo.
Un'unica grande parabola per poter svelare ai lettori una profonda verità altrimenti inenarrabile, questa è l’impressione che si ha fin dal principio leggendo l’Uccello che girava le viti del mondo, questa è la sensazione: che tutto sia metaforico, scritto con un preciso obiettivo, con un intendimento finalistico di grande importanza che verrà svelato solo al concludersi della vicenda. Ma qual è dunque questo obiettivo? Qual è la profonda verità che l’autore esorta a scoprire conducendoci per mano fino alla conclusione dello scritto? Qual è l’insegnamento che soggiace a questa apparente metafora di ottocento pagine?
Non è chiaro, forse è volutamente incomprensibile in modo che ognuno possa trarne… be quello che vuole, forse è involontariamente fumoso poiché ad un certo punto neppure lui si ricordava più quello che voleva dire, ma in conclusione una cosa di tutto il libro rimane: “L’uccello che girava le viti del mondo” è un sorprendente esercizio di stile da parte di uno scrittore dal potenziale incommensurabile ma dalla vena creativa, in questo romanzo, totalmente esaurita.
Murakami come al solito ha scritto un libro in maniera stupefacente, ma si è reso conto di quello che ha scritto?

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L'uccello che girava le viti del mondo 2013-06-25 14:36:16 Mario Inisi
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Mario Inisi Opinione inserita da Mario Inisi    25 Giugno, 2013
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Mah!

E' un tipo di scrittura che non riesce a prendermi. Non è una favola, non è un fantasy. La trama è troppa e troppo arzigogolata. Fatico a seguire la storia e non riesco a interessarmene più di tanto. Mancano le immagini. Questa romanzo mi sembra un manga mancato. La descrizione è così fitta e serrata, è tutto così iper-spiegato che non resta spazio alla fantasia. E' una lettura per me faticosa. Forse mi manca qualche tasto per cui non riesco proprio ad apprezzare Murakami.

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L'uccello che girava le viti del mondo 2013-05-10 08:32:31 gracy
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gracy Opinione inserita da gracy    10 Mag, 2013
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Le cronache di un uccello-giraviti

Ci sono fiabe che raccontano di uccelli incantatori, uccelli di fuoco, uccelli d’oro, cigni e anatroccoli e c’è la fiaba di Murakami che racconta dell’incantesimo dell’uccello che girava le viti del mondo.
Per più di 800 pagine Murakami, con lo stile mellifluo, cadenzato e coreografico mi ha incantata, è lo stile Murakami, che semplicemente appartiene solo a lui, oserei dire unico nel suo genere, perché penso che finora un autore così originale, per come pone e racconta le storie con una prosa senza pretese e ricca di dedizione, personalmente finora non l’ho letto.
Sfoglio le sue pagine, mi abbandono e ascolto la sua musicalità, senza nessun disappunto.
Leggere questo libro è stato come lievitare, attraversare a piedi nudi e al buio un mondo fantastico, fatto di storie che si intrecciano, buffe, scollegate e improbabili e poi trovarmi nella tela che è stata intessuta e scoprire un mondo fatto di collegamenti e giri di pensieri e parole che hanno un filo logico quasi reale, quasi di appartenenza, di grandiosa ricchezza che a parole non so spiegare.
La lettura scorre soave, semplice e con tutte le perplessità, ma Haruki si sa, ci ha ormai abituati a questi mondi fantastici....orecchie di ragazze pelose, modi di concepire e fare sesso che appartengono ad altre dimensioni, un uomo che si licenzia dal lavoro per motivi che solo un giapponese potrebbe spiegare, un gatto che scompare e che misteriosamente diventa il fulcro di telefonate strambe, una cravatta a pois dimenticata in lavanderia e poi Kumiko che scompare nel nulla.

“Qualcuno chiamava qualcuno.
Qualcuno cercava qualcuno.
Una voce che non si faceva voce.
Parole che non si facevano parole."

Malta e Creta che si incuneano nella vita del vero protagonista Toru Okada, uomo-chiave che trascina tutte le altre storie come incantato, Toru impersona l'uccello-giraviti, perchè ad ogni cinguettio segue una vita che gira e che lo coinvolge nelle storie di questi personaggi quasi eterei, che compaiono e scompaiono senza tanti preamboli e particolari atteggiamenti empatici.
Case abbandonate, May sedicenne sola e in balia di una vita fuori dagli schemi, una vita coniugale senza slancio, un profumo di Dior di troppo, pozzi prosciugati che si intervallano dietro l'angolo della sua casa e in una lontana Manciuria nel corso della guerra e l’abbattimento di uno zoo....coincidenze?

Uccello giraviti….dove sei?

Intanto si ascolta in sottofondo un orchestra che suona ad intervalli “La gazza ladra” e “Il flauto magico”.

“Le lacrime cadevano rumorosamente una dopo l’altra nella pozza di luce bianca della luna, e vi si mescolavano come se in origine fossero venute di lì.
Cadendo,brillavano nei raggi lunari, come cristalli meravigliosi. A un certo punto mi sono accorta che anche la mia ombra stava piangendo.
L’ombra delle lacrime era nitidissima.
Hai mai visto l’ombra delle lacrime,signor uccello-giraviti?”

Ed io rimango lì da sola, in un pozzo che dapprima era prosciugato e che pian piano si è riempito travolgendomi, quasi soffocandomi.

Grazie Haruki.

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