La porta La porta

La porta

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È un rapporto molto conflittuale, fatto di continue rotture e difficili riconciliazioni, a legare la narratrice a Emerenc Szeredàs, la donna che la aiuta nelle faccende domestiche. La padrona di casa, una scrittrice inadatta ad affrontare i problemi della vita quotidiana, fatica a capire il rigido moralismo di Emerenc, ne subisce le spesso indecifrabili decisioni, non sa cosa pensare dell'alone di mistero che ne circonda l'esistenza e soprattutto la casa, con quella porta che nessuno può varcare. In un crescendo di rivelazioni scopre che le scelte spesso bizzarre e crudeli, ma sempre assolutamente coerenti dell'anziana donna, affondano in un destino segnato dagli avvenimenti più drammatici del Novecento.



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La porta 2022-10-12 21:15:51 Martina248
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Martina248 Opinione inserita da Martina248    12 Ottobre, 2022
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La porta: limite e confine

Una porta che è muro invalicabile, limite tra il mondo pubblico e l’inesplicabile privato. Una porta è, però, anche confine, fragile segmento che divide due individualità.
La porta che nasconde l’abitazione di Emerenc, una vecchia cinica travolta dalle tragedie del Novecento, cela una storia troppo difficile da raccontare, fatta di “piccole cose di pessimo gusto”, ricordi di una vita che nessuno può comprendere, una storia che non vuole raccontarsi. La dura vita di Emerenc si mostra in sacri oggetti nascosti, nei residui del dolore che ha lasciato, in un atteggiamento a tutto indifferente, incomprensibile a chi non ha vissuto quello stesso mal di vivere.
Della tragicità che il Novecento ha portato con sé non rimane ad Emerenc alcuna lezione, alcun insegnamento. La storia smette di essere magistra vitae e lascia soltanto un dolore da estirpare alla radice, in modo brusco.
L’ostilità e crudezza con cui Emerenc guarda alla vita e all’altro rimane per gran parte del romanzo incomprensibile alla narratrice, che dopo averla assunta come domestica rimane aggrovigliata nei misteri della vecchia. Lo stesso lettore è diviso tra l’umana compassione che la storia della domestica suscita e l’ostilità che genere la sua figura.
Se Emerenc è la donna della concretezza, delle cose, rifiutando spiritualità e ideali, Magda, scrittrice di successo e narratrice del romanzo, è, invece, colei che si nutre di parole, che attende con pazienza un sillabato racconto che riveli le ragioni sottese al comportamento della vecchia. Ma l’unica cosa che resta dell’attraversamento del Novecento di Emerenc è il dolore delle cose, che urlano un malessere ineffabile.
Queste due donne, pur rappresentanti di due mondi incomunicabili, si rincorreranno per tutto il romanzo, e noi con loro, cercando una comunicazione che non rompa l’ostacolo della porta ma lo attraversi.
“La porta” è allora il racconto dell’incomunicabile svelamento del grande dolore del secolo breve.

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Sto leggendo attualmente "Trilogia della città di K" e sto notando, forse per la comune origine ungherese delle due scrittrici, una sensibilità comune nella crudezza del racconto e dei personaggi
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La porta 2021-01-21 15:50:59 topodibiblioteca
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topodibiblioteca Opinione inserita da topodibiblioteca    21 Gennaio, 2021
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Dietro la porta di casa

Storia forte e intensa questa della Szabo, che attraverso un evidente simbolismo rappresentato da una porta invalicabile, da un accesso ad un’abitazione privata chiuso e interdetto a tutti tranne che alla legittima occupante, affronta temi importanti che riguardano i concetti di fiducia, fedeltà e amicizia. Perché accedere oltre quella porta significa entrare in una cerchia di esclusività mai concessa dalla proprietaria nemmeno ai parenti più stretti (“nessuno degli inquilini era mai riuscito ad andare oltre l’atrio davanti al suo appartamento”), ed allo stesso tempo significa accettare un “codice di comportamento” che implica il rispetto di regole ferree. Su questa sottile linea di confine l’autrice costruisce il romanzo che si snoda nel rapporto di “amore e odio” tra Magda, scrittrice improvvisamente baciata dal successo che assume in qualità di governante Emerenc, donna “tutto fare” dotata di grande carisma, conosciuta da tutto il vicinato per la generosità e l’abnegazione che mostra nel dedicarsi agli altri, ma allo stesso tempo inaccessibile e dal passato alquanto misterioso, talmente originale che è lei stessa a richiedere le referenze al proprio datore di lavoro prima di accettare un impiego (“Emerenc era imprevedibile, irresistibile, con lei non si poteva fraternizzare, fare amicizia né discutere, era coraggiosa, era dotata di un’intelligenza perfidamente affascinante, ed era di un’insolenza mortificante”). Attraverso la narrazione di Magda, una sorta di confessione a posteriori che viene percepita dal lettore come una catarsi necessaria, diventa così possibile non solo ricostruire progressivamente il passato di Emerenc, come se si trattasse di un puzzle che prende forma, ma soprattutto si definisce il rapporto tra queste due protagoniste a modo loro complementari. Due donne appartenenti a due mondi distanti ed apparentemente non comunicanti: Magda è una scrittrice di successo, una donna di cultura impreparata nelle faccende domestiche e poco incline a comprendere la psicologia altrui, mentre Emerenc invece appartiene ad un retroterra contadino che si realizza nello spirito di sacrificio e nel duro lavoro, poco capace di dimostrare affetto con le parole ma in grado di farlo invece attraverso le azioni quotidiane. Eppure, nonostante questi elementi di partenza, nonostante Emerenc non permetta a nessuno di entrare nella sua casa, di varcare quella porta che rappresenta l’accesso al suo mondo più intimo e segreto, tenendo a debita distanza vicini e consanguinei, riuscirà a stabilire un rapporto empatico con Magda spezzando quello strato di ghiaccio superficiale sotto al quale brucia un fuoco d’amore vivo (“Voi eravate la luce dei suoi occhi, la sua figlia”). Un legame forte che si alimenta nella quotidianità del rapporto tra le due donne, vissuto tra complicità e scontri, la cui “cartina al tornasole” è rappresentata dalla figura di Viola, cane maschio dal nome femminile (il romanzo rivelerà l’arcano), che sembra riconoscere però quale sola e vera padrona Emerenc anziché Magda.

Leggere quest’opera della Szabo è come vivere un’esperienza reale con una persona dalla quale ci sentiamo attirati e che allo stesso tempo non comprendiamo pienamente. Perché varcare la soglia di quella porta, entrare nella vita di Emerenc, rappresenterà per Magda (e forse per tutti i lettori), un avvenimento traumatico che causerà profonde ripercussioni nel rapporto tra le due donne, sollevando questioni che avranno a che fare con la fiducia, il perdono ed il tradimento. Stiamo quindi parlando di un libro che molto probabilmente meriterebbe il massimo dei voti, tanto per contenuto quanto per piacevolezza, ma che per quanto mi riguarda non è riuscito a toccarmi veramente nel profondo a causa di una mia difficoltà nell’accettare e comprendere fino in fondo la figura di Emerenc così come è stata tratteggiata dall’autrice: certi suoi comportamenti, certe sue affermazioni. Ma si tratta indubbiamente di un mio limite personale che però, inevitabilmente, influisce sulla valutazione complessiva di un’opera che rimane di grande spessore.

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La porta 2020-07-10 17:05:31 enricocaramuscio
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enricocaramuscio Opinione inserita da enricocaramuscio    10 Luglio, 2020
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Non aprite quella porta

"Voi eravate la luce dei suoi occhi, la sua figlia, - disse la moglie dell'artigiano, - domandatelo a chiunque nel quartiere, vi chiamava proprio così, «la figlia». Di chi credete parlasse fino alla nausea, quella poveretta, quando si sedeva a riposarsi? Di voi. Ma voi vedevate una cosa sola, vedevate soltanto che vi aveva rubato il cane, e non vi siete mai accorta che per lei voi eravate diventata Viola. Accompagnò le nostre vite per circa vent'anni, durante tutto questo tempo ci capitò sovente di trascorrere settimane, mesi, all'estero, lei ogni volta accudì la nostra casa, smistò posta e telefonate, prese in consegna il denaro che arrivava, non tenne mai con sé Viola nemmeno per un'ora, anche se piangeva, per non lasciare la nostra casa incustodita durante la nostra assenza". Magda ed Emerenc sono due donne ungheresi agli antipodi. Scrittrice priva di qualsiasi senso pratico e con la testa perennemente tra le nuvole la prima, popolana ferrea e infaticabile, schietta e pragmatica la seconda. Una appartiene all'elite culturale del Paese, l'altra al proletariato costretto a rimboccarsi le maniche per sbarcare il lunario. Macchina da scrivere, convegni, presentazioni da una parte, scopa di betulla, strofinacci, padelle dall'altra. Magda è un personaggio pubblico, ha una carriera in ascesa, una grande cultura, un marito devoto. Emerenc una forza inesauribile che le permette di svolgere il lavoro di cinque persone, un'intelligenza pratica fuori dal comune, una vita privata avvolta da un alone di mistero. La porta di casa sua è infatti inespugnabile. Nessun essere vivente, neanche quelli a lei più vicini, hanno mai oltrepassato quell'invalicabile confine, visto o saputo cosa nasconde in casa l'anziana signora. Così come nessuno conosce la sua storia personale. Due mondi che hanno una sola maniera di incontrarsi: il lavoro. Magda ha bisogno di qualcuno che badi alle faccende domestiche mentre lei è impegnata nella sua arte. Emerenc ha bisogno di lavorare più possibile per guadagnare i soldi necessari a realizzare il grande progetto di una sontuosa tomba di famiglia. L'accordo è presto fatto. Il rapporto tra le due parti si rivela però difficile. La domestica, impegnata in diversi altri lavori e punto di riferimento per l'intero quartiere, appare e scompare in casa a proprio piacimento, detta legge come fosse la padrona, critica la vita dei suoi nuovi datori di lavoro da cui, freddamente, mantiene le distanze. Solo il tempo e l'arrivo in casa del cane Viola riusciranno a stemperare la rigidità della vulcanica donna ed avvicinarla, prima con un senso di amicizia, poi con amore materno, alla scrittrice. Magda è l'unica a cui Emerenc confida episodi del suo passato, la sola ammessa a varcare la fatidica soglia e a conoscere i misteri custoditi nel piccolo appartamento dell'amica. Giura che mai svelerà l'arcano di cui è stata fatta partecipe. Però, alle volte, ci si trova a dover prendere decisioni importanti che spesso possono essere in contrasto con giuramenti fatti in precedenza. Allora cosa fare quando, giunti al bivio, la scelta è mantenere il segreto o salvare la vita all'amata domestica? Emerenc non è una donna che si accontenta di vivere. Lei vuole la sua vita, quella in cui tutto ciò che custodisce dietro la porta, negandolo agli occhi e alla conoscenza degli altri, è il punto cardine. Se ciò dovesse venir meno, meglio la morte. Questo Magda lo sa bene, ma il tempo stringe e aprire quella porta senza il permesso della proprietaria appare l'unica cosa da fare. Quale sarà la decisione giusta? È corretto intervenire nella vita degli altri, anche se in buona fede, contro la loro volontà? Siamo sicuri che, ciò che per noi appare palesemente, inequivocabilmente un gesto di bontà, di solidarietà, di amore, faccia realmente il bene, l'interesse dell'altro? Il bellissimo racconto di Magda Sazbò parte in sordina, quasi fosse soltanto il resoconto tragicomico di un rapporto subordinato in cui non è chiaro chi sia il superiore e chi il subalterno. Ma più ci si addentra nella lettura più ci si sente coinvolti, maggiore è la conoscenza delle due protagoniste maggiore è il livello di empatia, finché non ci si rende conto di essere stati irreparabilmente catturati dalla storia. A questo punto è impossibile uscire dall'incanto, complici anche una prosa delicatissima, un pizzico di gradevole ironia e una spiccata sensibilità nell'affrontare temi come l'amicizia, l'incomunicabilità, la diversità, l'amore in qualsivoglia forma si manifesti. Ma ciò che forse conta di più in questa toccante vicenda è il peso del passato, è il segno che gli eventi vissuti lasciano nell'animo umano quasi fossero dei marchi indelebili incisi con il fuoco e che, inevitabilmente, vanno a influenzare, nel bene e nel male, gli atteggiamenti, le abitudini, il modo di rapportarsi alle altre persone. È il passato che pesa su Emerenc, le morti, le delusioni, i tradimenti subiti, i sogni infranti. È per non soffrire più che la protagonista ostenta rigidità, durezza di sentimenti. È per non essere ancora vittima, succube, che tenta di imporre a tutti il suo carisma, la sua leadership. È dal rischio che ciò che è avvenuto si ripeta nel presente o nel futuro che lei si difende sbarrando la famosa, simbolica, metaforica, quasi mitologica porta. "Emerenc voleva abbandonare questo mondo dopo che le avevamo distrutto l'intelaiatura che reggeva la sua esistenza e la leggenda aleggiante intorno al suo nome. Era d'esempio per tutti, aiutava tutti, era un modello: dalle tasche del suo grembiule inamidato saltavano fuori caramelline di zucchero avvolte nella carta frusciante e fazzoletti di tela che stormivano come colombi, era la regina della neve, la sicurezza, la prima ciliegia dell'estate, il tonfo delle castagne che cadevano dai rami d'autunno, la zucca alla brace d'inverno, la prima gemma nella siepe d'estate: Emerenc era pura, invulnerabile, lei era ciò che tutti noi, i migliori di noi, avremmo voluto essere. Emerenc, con la fronte perennemente coperta, con il suo viso liscio come la superficie di un lago, non aveva mai chiesto niente a nessuno, bastava sempre a se stessa, si era accollata i pesi degli altri senza mai dire quello che pesava a lei e quando, finalmente, avrebbe potuto dirlo, io ero andata a fare il mio numero in televisione, lasciando che la smascherassero nell'unico momento umiliante della sua vita, lordata dalla malattia. Quali parole sarebbero state all'altezza per spiegare il suo essere, per l'anatomia della misericordia che la spingeva a popolare di animali la casa? Emerenc anarchicamente buona, sconsideratamente generosa, solo di fronte a un'altra orfana aveva svelato di essere orfana, non aveva mai confessato la propria immensa solitudine mentre si avventurava, come l'Olandese Volante al timone della sua nave, su acque sempre ignote, sospinta dal vento di relazioni sempre provvisorie."

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La porta 2019-12-02 08:42:21 ofranca
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ofranca Opinione inserita da ofranca    02 Dicembre, 2019
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Una porta, una vita

"Emerenc non ha bisogno di una vita qualunque. Emerenc ha bisogno della sua vita. Quella che ormai non c'è più"

Devo subito dire che questa lettura mi ha coinvolto tenendomi attaccata alle pagine. Inizialmente ho fatto fatica perché la scrittrice usa pochissimi dialoghi, tutto quello che i personaggi si dicono viene spesso riassunto come se non si trattasse di un dialogo bensì di une descrizione. Lasciata la titubanza iniziale, che dura qualche pagina, si entra immediatamente in intimità con il libro e non si potrà fare a meno di leggere e leggere per scoprire la storia e dissipare l'alone di mistero che imbriglia il lettore già con la prima confessione della voce narrante:

"Nella mia fede non esiste la confessione individuale, noi riconosciamo di essere peccatori per bocca del pastore e di meritare il castigo perché abbiamo infranto in ogni modo possibile i comandamenti. E riceviamo il perdono senza che Dio esiga da noi spiegazioni o particolare. Io invece li fornirò"

La confessione non è altro che la ricostruzione del rapporto complesso tra le due protagoniste: la scrittrice ed Emerenc. Un rapporto fatto di attacchi e gentilezze, di incomprensioni, di attenzioni ed allontanamenti di amore mai espressamente dichiarato.
Io stessa ho provato sentimenti ambivalenti per l'una e per l'altra, in modo alternato e mai univoco.
Mi sono lambiccata il cervello per comprendere il perché di alcuni comportamenti da una parte e dall'altra senza trovare immediatamente risposte. Così mi sono disposta con l'animo in ascolto per cogliere ogni sfumatura che l'autrice ci offre nelle pagine in cui emerge con prepotenza e delicatezza, in un gioco dei contrari, la figura di Emerenc, l'anziana signora, provata dagli eventi, con un segreto da tenere ben nascosto.

Emerenc arriva nella grande casa, dove si sono da poco trasferiti la scrittrice ed il marito, per occuparsi di tutte le attività domestiche, oltre a svolgere il lavoro di portierato nel quartiere in cui vive.

La Szabó costruisce con le parole uno splendido ritratto di Emerenc e subito appare chiaro al lettore che questo personaggio è scomodo. Emerenc ci obbliga ad uscire dalla comodità del nostro pensiero per condurci verso un mondo apparentemente incomprensibile ma che si rivelerà fedele a sé stesso, integro ed incredibilmente semplice:

"Si prese cura di noi per oltre vent'anni, ma i primi cinque stabilì una distanza di sicurezza che non potevano oltrepassare"

"Il mondo di Emerenc ammetteva solo due categorie di uomini, chi maneggia la scopa e chi non lo fa, e da chi non scopa ci si può aspettare di tutto."

"Emerenc era nata Mefistofele, negava tutto."

"Emerenc, con la fronte perennemente coperta, con il viso liscio come la superficie di un lago, non aveva mai chiesto niente a nessuno, bastava sempre a sé stessa, così si era accollata i pesi degli altri senza mai dire quello che pesava a lei."

In questo quadro un ruolo importante hanno gli animali che offrono al lettore una faccia dell'amore di Emerenc. Un cane trovato dalla scrittrice e dal marito in un giorno di neve che Emerenc chiamerà Viola, nonostante sia un maschio. Viola viene salvata dalla scrittrice, vivrà con lei ma sarà in simbiosi con Emerenc che lo educherà a modo suo. Viola è spesso l'oggetto di discussione tra le due e motivo di gelosia da parte della scrittrice, per la devozione incondizionata di Viola ad Emerenc.
Ed i gatti ben otto che vivono con Emerenc, la loro salvatrice, custodendo il segreto.

Perché Emerenc ha un segreto: non apre a nessuno la porta della sua casa, lo farà solo alla scrittrice, per cui proverà un amore forte, viscerale paragonabile a quello tra una madre ed una figlia e questo amore sarà la causa dell'evento drammatico che le colpirà involontariamente.
Il modo di amarsi di entrambe è sempre inconciliabile, mai armonico, ognuna con il proprio bagaglio di vita troppo ingombrante per farle avvicinare, che le tiene emotivamente distanti.

L'apertura della porta sarà la dichiarazione d'amore e di totale fiducia di Emerenc e la dichiarazione d'amore della scrittrice che si fa aprire per salvare l'anziana donna, che decide di varcare quella soglia e di entrare nel mondo di Emerenc ma senza averlo prima compreso pienamente.
Questo gesto che sembra l'unico momento di incontro tra le due sarà anche il punto di non ritorno, una linea immaginaria che divide in due il libro e ci da la chiara portata della splendida scrittura della Szabó.
La porta è un simbolo carico di significati che conduce il lettore a diverse riflessioni.
La porta chiusa è il simbolo del limite che non deve essere oltrepassato per evitare di perdere definitivamente il rispetto per l'altro.
La porta chiusa preserva la vita, la forma di vita che Emerenc ha scelto per sè.
La porta aperta, chiusa è il simbolo delle scelte che ognuno fa, per sè, per l'altro e che inevitabilmente portano ad un cambiamento, anche se la portata del cambiamento non è chiaro finché non si sceglie e sarà per le protagoniste devastante, sarà una sconfitta.
La porta divelta è il simbolo del fallimento di tante azioni fatte in nome di quell'amore che dovrebbe essere protetto, custodito, rispettato con delicatezza e profonda comprensione e non violentato, usurpato, devastato.
L' assenza della porta è il simbolo del tradimento che viene perpetrato in nome dell'amore.

"Emerenc voleva abbandonare questo mondo dopo che le avevano distrutto l'intelaiatura che reggeva la sua esistenza e la leggenda aleggiante intorno al suo nome."

Scoprire questa autrice mi ha reso più ricca. Un libro unico ed imperdibile scritto in modo impeccabile, di cui consiglio caldamente la lettura.

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La porta 2019-10-04 09:44:50 lapis
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lapis Opinione inserita da lapis    04 Ottobre, 2019
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Emerenc

A Budapest, una vecchia dal capo coperto spazza la strada in un burbero silenzio, per ripulirla dalla neve, che intanto continua a cadere. Lavora ogni giorno con energia sconfinata, vegliando sul quartiere con la sua bontà anarchica e lunatica, capace della più assoluta generosità così come delle più sgradevoli rudezze. E, a fine giornata, torna a rinchiudersi dietro la porta della propria casa, quella porta invalicabile a tutti che custodisce il segreto della sua solitudine.

È la vecchia portinaia Emerenc. Con il suo portamento regale e il suo viso liscio come la superficie di un lago, sembra quasi una figura biblica, che si accolla in silenzio i pesi delle vite altrui senza mai confessare i propri di pesi, di dolori, di desideri. Refrattaria alle chiese così come alle arti, il suo è un linguaggio d’amore senza precetti e senza poesia, fatto di piatti cucinati e gesti concreti, duri, sgarbati, sinceri. Eppure, il cuore di Emerenc è un cuore dolente, che cerca di difendersi attraverso una porta inespugnabile dal tradimento e dalla delusione che l’amore le ha sempre riservato. Solo alla scrittrice, voce narrante di questa storia, sarà consentito avvicinarsi e toccare quella solitudine indossata con dignità e fierezza. Sarà in grado Magda di non tradire quest’ultima speranza d’amore?

“Emerenc era venuta in città, la città l'aveva accettata, lei invece non aveva accettato la città, perché il suo unico mondo reale esisteva dietro una porta chiusa”.

Ogni tanto si incontrano, in letteratura, figure capaci di stagliarsi dalla carta e marchiarsi a fuoco in un ricordo che pulsa di vita e di emozione. Allora leggere diventa difficile, a tratti lacerante, perché ogni parola brucia la pelle e incide nel profondo. Magda Szabò ci regala la storia di un sentimento puro ed incondizionato, nella sua complessità, portandoci nel contempo a riflettere sulla patina di vuoti sorrisi ed eleganti buoni maniere dietro cui si nasconde a volte una generosità germinata dal dovere e addomesticata dall’etica, ma priva della stessa spontanea sincerità. E alla fine non si può che piangere perché, nonostante tutto, il destino non offre scampo alcuno, non importa a quante mandate si serri la porta. E ci sono esseri umani il cui destino è “di non trovare posto nella vita degli altri”. Un libro doloroso e indimenticabile.

“Ma chi non é solo, mi piacerebbe saperlo. È solo anche chi ha qualcuno e non se ne accorge”.

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La porta 2019-08-01 07:39:13 DanySanny
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DanySanny Opinione inserita da DanySanny    01 Agosto, 2019
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Invasione di spazio

Due donne, Magda ed Emerenc, intellettuale borghese l’una, donna del popolo, umile e concreta l’altra, mente contro mani, distanti e irragionevoli nelle loro pretese, dominano la scena alla ricerca di un equilibrio difficile, sofferto, di un’invasione di spazio che può salvare entrambe e rendere meno greve la solitudine della vita. Emerenc ha una forza insolita per la sua età, governa, decide, comanda, al sicuro oltre la soglia della propria casa, quella porta che separa, simbolicamente, il suo spazio dal resto del mondo, che si oppone all’apertura, alla condivisione più pura. Perché la donna sa bene che nella condivisione c'è la salvezza, ma anche che in ogni apertura si annida il rischio del dolore. Non si può soffrire quando si resta bardati nella propria autosufficienza. Cosa nasconde Emerenc in casa sua, quale segreto così impenetrabile da non poter essere condiviso, quale insolito incanto la vive e la anima? Nella rigida dicotomia di Emerenc il mondo è diviso tra “chi scopa e chi non lo fa”, e da questi ultimi “ci si può aspettare di tutto”. Solo col tempo Magda riuscirà a scalfire l’armatura inossidabile che la vecchia le oppone contro, solo col tempo, in una notte di tempesta e tuoni, un antico ricordo, un dolore insopportabile, torna a reclamare la sua dose di disperazione e solo lì, alle pendici della sofferenza, le due donne si riconoscono. Eppure a volte non basta, davvero non basta, sapere quello che è giusto per comportarsi in tal modo, talora non è sufficiente sapere cosa è giusto fare, per farlo, perché la vita accade, le decisioni si prendono e non sempre la realtà garantisce il tempo di riflettere. E il prezzo, il prezzo incandescente, è la fiducia tradita.

Magda Szabò costruisce una storia che nel suo movimento di tesi, antitesi e sintesi fallisce la risoluzione in una definitiva frammentazione etica, riflesso di una incomunicabilità senza scampo e della pretesa che ognuno ha di conoscere ciò che è bene per l’altro. Szabò fa cioè esplodere un dilemma morale non da poco: è giusto staccare la spina a chi non vuole altro o piuttosto bisogna persuaderlo e tenerlo in vita? Quanto conta la fiducia quando la situazione è disperata, quanto può essere facile rompere un rapporto che si pensava oramai solido? Il dramma, in questo libro, è che entrambi i personaggi hanno le loro ragioni e ogni schieramento, ogni simpatia del lettore, si trova contro la bontà dell’avversario. Non si può scegliere tra la madre e il bambino, non si può scegliere tra uccidere e morire, non si può scegliere tra la vita e la dignità della sopravvivenza. Il tutto nel grembo di un’amicizia tra donne che ha i contorni di una dura epopea. Manca forse all’autrice una certa fluidità stilistica ed è un peccato perché, nel primo capitolo, dimostra di saperlo fare meglio di come poi prosegue, come se il libro si facesse più una memoria che un romanzo, con una più piana progressione della scrittura. Il risultato è un libro doloroso, in cui pagina dopo pagina le fibre del testo raccolgono la sofferenza dei personaggi fino a esasperarla in un finale che porta con sé solo la cenere di quello che è stato.

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La porta 2018-04-11 04:33:18 siti
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siti Opinione inserita da siti    11 Aprile, 2018
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LA BRECCIA

Ci sono alcuni libri che hanno la capacità di toccare, sfiorandole appena, alcune corde dell’animo e di farle vibrare in modo quasi impercettibile, eppure il moto che provocano ha un effetto profondo che acquistando vigore imprime un indelebile ricordo. Sono i libri che emozionano; questo è uno di essi. Da tempo non mi capitava di piangere in seguito ad una lettura ed è stato un pianto liberatorio e necessario tale la tensione che pagina dopo pagina si era accumulata.

È una storia di reciproca e faticosa accettazione di due donne: una scrittrice e una donna tuttofare che anima un quartiere di Pest, essendone il punto di riferimento per molti dei suoi abitanti, e che ora diventa l’aiuto domestico anche della prima. I loro mondi sono opposti, non tanto per collocazione sociale, quanto soprattutto per predisposizione d’animo, per capacità di donarsi agli altri e per la qualità delle relazioni che riescono a intessere nella loro quotidianità. A prima vista parrebbe che la scrittrice sia colei che riesce meglio a stare al mondo, progressivamente il lettore ne conoscerà le più intime debolezze intrise di egoismo, quello che ti difende dai dolori, mentre Emerenc è abilmente strutturata come un personaggio scorbutico, ricco di fisime, impenetrabile e a tratti insopportabile. Di lei, aperta al mondo ma con un’abitazione inaccessibile a tutti, ne tiene sempre chiusa la porta, si sveleranno nel corso della narrazione gli insondabili misteri dell’animo di cui la casa è simbolo e metafora.

La casa, inaccessibile anche ai parenti, è il fulcro della sua intimità e della sua essenza, aprirla significherebbe accettare di darsi completamente agli altri: non sempre è utile e proficuo farlo, altre volte risulta dannoso per se stessi e per esperienza si preferisce gestire le relazioni in modo meno convenzionale. Emerenc sa ciò che è bene per lei, quello che ignora è però che nessuno sfugge alle relazioni sociali e alle loro maglie e che dentro di esse, seppur molto intricate, si può trovare chi davvero capisce la tua essenza facendone sostanza oltre le apparenze.

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La porta 2018-04-04 11:48:47 Laura V.
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Laura V. Opinione inserita da Laura V.    04 Aprile, 2018
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Accettazione dell'altro

“È molto facile accettare e amare chi è uguale a noi, ma con qualcuno che è diverso è molto difficile” (Luis Sepúlveda)

Non è poi così strano che, al termine di questa lettura, mi siano tornate spontanee alla mente le parole di Sepúlveda, che, a suo tempo, mi avevano già dato modo di riflettere, poiché “La porta”, nel grande turbinio di sentimenti che solleva, è un romanzo che parla di accettazione dell’altro, con tutte le difficoltà che essa comporta.
Magda ed Emerenc: la scrittrice e la portinaia, l’intellettuale e la popolana. Due donne, due vite lontane anzitutto per età, due storie molto differenti, di cui una, in particolare, intrisa di profondo dolore e solitudine. Tra loro, come a sancire un confine più mentale che fisico, una porta chiusa, imposta senz’appello dall’una e subìta malvolentieri dall’altra; una porta che diventa simbolo, struggente metafora di un’esistenza molto provata, se non di un cuore indurito dalle pietre degli anni. È un rapporto conflittuale quello che da subito lega le due donne, e tale resterà sino alla fine.
Pragmatica e sicura di sé, a tratti sfacciatamente indisponente, Emerenc si rivela uno di quei personaggi destinati a rubare la scena agli altri e a restare a lungo impressi nella memoria. In tutto il corso della narrazione, la presenza di questa vecchia domestica dal capo perennemente coperto che non lava i panni al primo che capita è costante, persino quando scompare dietro la sua porta chiusa per occuparsi del proprio piccolo mondo popolato di gatti clandestini o s’incammina lungo la via del quartiere insieme all’amato cane Viola.
Lapidari i suoi giudizi, incrollabili le sue convinzioni che la portano a dividere il mondo in due semplici categorie di persone: chi ha una scopa in mano e chi no, ovvero chi obbedisce e chi comanda. Statisti e intellettuali, uomini di chiesa ed educatori del popolo – tutti rientranti nella seconda categoria – non hanno alcuna presa su di lei che ha attraversato talmente tanti decenni di storia del proprio Paese da aver visto abbastanza ed esserne rimasta forse schifata fino all’indifferenza. Già, l’Ungheria: seppur discretamente, essa si staglia sullo sfondo del romanzo e non è da escludere, tra le righe, anche un significato sul piano politico-sociale (uno dei capitoli più interessanti, non a caso, s’intitola “Politica”). Del resto, l’assoluta mancanza di patriottismo di Emerenc non potrebbe esprimere una condanna della situazione vissuta da quello che era pur sempre – non dimentichiamo – uno degli Stati a destra della cortina di ferro? Ai lettori più ferrati in materia l’ardua conferma.

“Effettivamente lei non aveva bisogno di un paese, non desiderava stare dalla parte di quelli che ordinano di scopare, non pretendeva niente, ma non si rendeva conto che persino il suo eterno negare era un modo di fare politica.”

E dietro la porta chiusa, infine, che cosa c’è? Non molto, a parte l’estrema caducità della vita e la nostra incapacità a vivere e gestire i sentimenti, con l’assurda pretesa, per giunta, di voler cambiare gli altri. Una prosa coinvolgente, una storia narrata con grande maestria da cui, ho scoperto, è stato tratto un film alcuni anni fa di cui segnalo il link:

https://www.youtube.com/watch?v=fU5fgaWhfqQ

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La porta 2017-12-28 17:23:42 annamariabalzano43
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annamariabalzano43 Opinione inserita da annamariabalzano43    28 Dicembre, 2017
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Due donne, due mondi in contrapposizione.

Una narrazione incisiva, un’opera dura, difficile da definire romanzo, “La porta” di Magda Szabó fu pubblicata nel 1987. Due i personaggi principali al centro delle vicende raccontate, due donne forti e volitive, l’una l’opposto dell’altra. È il mondo del lavoro intellettuale della scrittrice Magda, che viene in conflitto con il mondo del lavoro manuale di Emerenc, domestica dal carattere scontroso e dispotico. Il rapporto individuo/società, vivi/morti, verità/ finzione, giustizia/ingiustizia è ampiamente affrontato e approfondito sullo sfondo appena accennato della drammatica storia dell’Ungheria del Novecento. Nelle parole di Emerenc, delusa dalle riprese del film alle quali aveva assistito, tutta l’amarezza di chi considera l’arte inganno e artificio: “Non c’era niente di vero, eravamo noi che muovevamo gli alberi, di cui si vedevano solo le chiome, usando dei trucchi, qualcuno aveva scattato le fotografie dall’elicottero che girava in tondo sopra il set, nemmeno i pioppi si muovevano, mentre lo spettatore avrebbe dovuto credere che l’intera foresta saltasse, ballasse, volteggiasse. Quella non era altro che menzogna, orrore.” Alla scrittrice l’arduo compito di spiegare la funzione dell’arte: “ Credeva forse che suscitare l’illusione della realtà non fosse arte?”
Nella personalità complessa e enigmatica di Emerenc il dualismo religiosità e ateismo trova una giustificazione nella sua spontanea attitudine cristiana di soccorrere il prossimo in difficoltà al di là di ogni professione di fede religiosa o politica, lei così scettica su una possibile vita dopo la morte, vuole tuttavia erigere una tomba monumentale per la sua famiglia: “Allora a che serve una tomba, Emerenc? Perché vuole riunire sua madre, suo padre, i gemelli in quella favolosa tomba? Se fosse come lei dice, basterebbe la malva sul bordo delle fosse. La gramigna.” “ Lei e la sua famiglia possono stare in mezzo alla malva, ma io e i miei morti no. I morti non sentono, ma pretendono rispetto e noi dobbiamo darglielo…”
In fondo, nonostante l’apparenza, è l’amore che muove Emerenc, che ne condiziona ogni azione, che ne scatena la passione e a tratti l’odio. È l’amore che la induce a chiudere il mondo fuori della sua porta di casa, a prodigarsi per tutti senza ammettere nessuno nella sua Città Proibita. Ed è proprio per aver troppo amato che si sente ripetutamente tradita, lei che alla base di ogni azione e ogni legame pone il concetto di lealtà e solidarietà.
Un libro profondo che indaga sugli enigmi dell’esistenza umana, nel tentativo di dare risposte agli interrogativi più inquietanti che da sempre affliggono l’umanità.

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La porta 2017-08-25 14:06:05 Mian88
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Mian88 Opinione inserita da Mian88    25 Agosto, 2017
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Emerenc Szeredàs

«Di una persona a volte si sente che fiore potrebbe essere se fosse nata sotto forma vegetale: e lei non era sicuramente una rosa, la rosa non è un fiore innocente, offre i suoi petali carminio in modo quasi impudico. Sentii subito quel che Emerenc non avrebbe potuto essere, ma non quel che avrebbe potuto essere, non sapendo ancora nulla di lei»

Due donne, due vite, due realtà lontane, apparentemente parallele ed inconciliabili, di fatto, destinate ad incrociarsi, fondersi, scontrarsi. Senza una ragione ben precisa, senza un’effettiva motivazione. Così, inspiegabilmente.
Una, la voce narrante, è una scrittrice, da sempre dedita alle sue storie, da sempre inadatta ad occuparsi della casa nonché della propria esistenza e dei propri affetti. E’ in attesa, questa donna, in attesa di un successo e di una notorietà che tarda ad arrivare e che forse, non arriverà nemmeno mai. Innegabile che, questa figura, rimandi a più riprese, alla stessa Szabo. Che sia lei stessa la enunciatrice della storia? Vive col marito, detta protagonista, il quale a sua volta è scrittore, il quale a sua volta conduce una esistenza isolata ed anche arida, vista la volontaria scelta di non avere figli.
L’altra è invece Emerenc, un’anziana donna votata al lavoro manuale, un’anziana donna che di parole ne spende pochissime, che non crede nella cultura ed ancora meno in quel lavoro consistente nel continuo battere a macchina, e che non si fa scegliere per essere assunta in una famiglia, è lei che, dopo aver ricevuto le giuste referenze, decide se accettare o meno quello stesso nucleo di persone quali datori di lavoro. Del suo passato ella è unica custode, è per lei impossibile rendere testimoni altri del suo vissuto. Quella porta che separa il suo appartamento dal resto del mondo, è riprova di questo quanto di altri misteri che si celano dietro il mito e la veste di questa domestica d’altri tempi.
E’ un rapporto che nasce e si sviluppa in salita, quello che lega le due donne. Ha inizio infatti con una serie di scontri frontali nonché con una moltitudine di incomprensioni che, soltanto una perpetrante, reiterata ed obbligata frequentazione riuscirà a smussare di quelle punte aguzze ed acuminate. Basti pensare che Emerenc, che esige molto e si offre incondizionatamente, che è di caritatevole e disposta ad aiutare tutti, è però incapace di perdonare. Quanti sforzi dovrà fare la narratrice per seppellire, in più occasioni, l’ascia di guerra e tentare di riappacificare gli animi? Quante volte Viola, motivo di litigio, finirà con l’essere l’unico espediente per riavvicinarsi a quella domestica così irreprensibile e fiera delle sue talvolta, incomprensibili, prese di posizione? Quante volte Emerenc dovrà puntare i piedi pur di far smuovere quella padrona così incapace e irrisoluta? Un legame, quello rappresentato, che è costantemente sul filo del rasoio, ma che, ciò nonostante, è imprescindibile. La presenza dell’una nella vita dell’altra è una costante a cui è impensabile rinunciare.
Perché, dietro la facciata, si cela il bisogno. Il bisogno affettivo, il bisogno di riscoprire la fiducia nell’altro, il bisogno dell’aspettativa, il bisogno di provare, per un’altra volta, dopo i tanti ferimenti, a confidare nuovamente di (e in) qualcuno, anche a costo di ricevere l’ennesimo tradimento. Perché la solitudine che le accomuna non è la soluzione, non è l’unica via di fuga prospettabile.
Gli anni passano e con il loro discorrere, la stessa confidenza muta. La scrittrice è tutrice del passato dell’anziana ma anche del suo più grande dei segreti. Varca quella porta, quella linea di demarcazione tra il dentro e il fuori. Ma quello di Emerenc non è un gesto fatto a cuor leggero, è un gesto che è sinonimo della sua irreprensibile moralità, che è riprova di più completa ed indissolubile fedeltà. E’ un atto, il suo, che ripercorre l’animo della donna, che è espressione della pura e più sincera umanità che le appartiene. Poiché, al di là di quel carattere scontroso e burbero, ella è uno spirito autentico, integro, onesto.
E’ quando è vinta dalla malattia, è quando dovrà affidarsi agli altri che verrà tradita, che verrà ferita da quell’unica persona di cui veramente si è fidata. Magda si dimostrerà fedele solo e soltanto a se stessa, mostrerà di essere detentrice di una moralità che non è genuina quanto frutto di ferrea disciplina, romperà quel trascorso inviolabile, infrangerà e sgretolerà l’esistenza della compagna tanto da privarla dell’unica cosa che concretamente le permetteva ancora di vivere e andare avanti in un presente e in un futuro che non sente appartenergli, che ormai, l’accompagna per abitudine più che per divenire.

«Emerenc voleva abbandonare questo mondo dopo che le avevamo distrutto l’intelaiatura che reggeva la sua esistenza e la leggenda aleggiante intorno al suo nome. Era d’esempio a tuti, aiutata tutti, era un modello. [..] Emerenc era pura, invulnerabile, era ciò che tutti noi, i migliori di noi, avremmo voluto essere. Emerenc, con la fronte perennemente coperta, con il suo viso liscio come la superficie di un lago, non aveva mai chiesto niente a nessuno, bastava sempre a se stessa, si era accollata i pesi degli altri senza mai dire quello che pesava a lei e quando, finalmente, avrebbe potuto dirlo, io ero andata a fare il mio numero in televisione, lasciando che la smascherassero nell’unico momento umiliante della sua vita, lordata dalla malattia.. [..] Emerenc era diventata qualcosa di assurdo di fronte all’intera comunità, tutto il lavoro di una vita era stato annientato da quel singolo episodio per cui sarebbe sempre stata ricordata»

Sarà, tuttavia, tardi che Magda capirà il suo errore, che comprenderà il suo tradimento. Una conclusione avverso la quale non vi sarà alcuna possibilità di appello.
Un romanzo forte, delicato, disarmante, è “La porta” di Magda Szabò, un elaborato che si insinua nel profondo, che fa soffrire, che arriva con una vigore inaspettato durante e dopo la sua discoperta. E’ ricco di amore, di condivisione, di dialoghi esilaranti e riflessivi, di amicizia, di altruismo, di religione (e riflessioni annesse), di desiderio di dolcezza, di aspettativa, di speranza, di abbandono di quella solitudine incessante, di dolore; è uno scritto che in ogni suo frangente, in ogni suo personaggio (a titolo di esempio basti pensare a Viola, un cane di sesso maschile che è la chiave con cui concretamente interpretare la figura dell’anziana) vive e si fa vivere. Coinvolgente, accorto, profondo, toccante.

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