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Dodici rose a Settembre
 
Dodici rose a Settembre 2020-04-15 16:14:39 Bruno Izzo
Voto medio 
 
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Stile 
 
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Contenuto 
 
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Bruno Izzo Opinione inserita da Bruno Izzo    15 Aprile, 2020
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Ditelo con i fiori

Gelsomina Settembre, protagonista di questo romanzo di Maurizio De Giovanni, è un personaggio relativamente nuovo, avendo già compiuto delle brevi comparsate in racconti precedenti dello scrittore napoletano.
De Giovanni è oramai un autore di chiara fama, noto al grande pubblico in particolar modo per i suoi romanzi seriali, aventi a protagonisti eroi trasportati anche in fortunate fiction cinematografiche, o in procinto di esserlo.
La fortuna di De Giovanni gli è data dall’abilità con cui, ad esempio, ha saputo creare Luigi Alfredo Ricciardi, originale figura di commissario della Regia Questura di Napoli durante il ventennio fascista.
Un commissario di polizia inconsueto a dir poco, molto sui generis, perché all’aspetto da bel tenebroso fa da contraltare una spiccata sensibilità personale, una struggente e malinconica, misteriosa qualità, un “fatto” al limite dell’inverosimile, e che poi altro non è che un particolarissimo “sentire” le atmosfere lugubri dei tempi, foriere di futuri lutti e sventure.
Ricciardi non è un sensitivo, è un sensibile, non è un medium, è un sensate, quello che “recepisce” non è qualcosa di utile alle indagini sugli assassini su cui è chiamato ad investigare, anzi, è più spesso fuorviante.
Semplicemente il nostro commissario “sente” perfettamente le persone, le strade, gli umori, la mentalità e il modo di vivere della città in cui opera, Napoli da sempre miserevole e miseranda, ancor di più sotto la dittatura, da sempre vittima e carnefice di se stessa.
Dove ancora c’è gente che muore letteralmente di fame o per i motivi più tragici e ingiusti, e Ricciardi è come un medico che sente il polso alla città, ne capta gli umori e i veleni, le vanità e sopratutte le più manifeste ingiustizie. Gli travagliano l’anima, e assumono parole e sembianze degli ultimi momenti di vita delle vittime della tragedia di vivere di questa città.
Analogamente, funzionano i romanzi di De Giovanni con protagonisti i Bastardi di Pizzofalcone.
Nonostante il nome dispregiativo, si tratta di poliziotti, e di bravi agenti dopo tutto, un’intera squadra investigativa volta a reggere le sorti di un commissariato di Polizia, in uno dei quartieri più insoliti e variegati di Napoli, Pizzofalcone, appunto.
Un quartiere vasto e disparato, posto in posizione strategica e delicata, tra la collina, il mare e il centro antico e fatiscente, misterioso e coinvolgente.
Ricco di monumenti e opere d’arte e di obbrobri impronunciabili, dove puoi trovare piccoli delinquenti e camorristi d’alto bordo, ricchi imprenditori e affaristi sull’orlo del fallimento, famiglie ricchissime e immigrati alla fame.
Dove vivono frammisti e a contatto di gomito, quasi stratificati in poco spazio l’uno sull’altro i ceti sociali estremi e disparati, dove s’incontra la Napoli antica e anticata del centro storico, affascinante, ammaliante e pericolosa per definizione più che per fattiva realtà abitativa, con la Napoli bene e meno bene, la Napoli dei volgari nuovi arricchiti e dei vecchi benestanti per nobiltà presunta o vantata.
Come Ricciardi esercita a Napoli e osserva e sente Napoli, e, il suo umore, così nella Napoli moderna del giorno d’oggi anche qui i poliziotti indagano, scandagliano Napoli e i suoi abitanti, tastano con mano il suo umore, ne “sentono” suoni, rumori, armonie, strida.
Poiché ciascuno di loro è una persona a sé stante, è come se tutti insieme componessero un puzzle, costituito dai pezzi della città, piccoli frammenti dell’essere senziente denominato “Napoli”, ciascun pezzetto unico, perchè mediato dalle personali esperienze di vita dei poliziotti.
Ne viene fuori un ritratto vero, reale, figurato, vissuto, una panoramica della città, con tutte le sue continue stridenti contraddizioni e contrapposizioni, ciascun pezzo del puzzle va così a incastrarsi perfettamente con gli altri, decantando la soluzione dell’arcano su cui indagano.
Gelsomina Settembre non è da meno, è la sorella minore dei personaggi di De Giovanni che l’hanno preceduta nel parto della fantasia dello scrittore napoletano.
Come in quei romanzi, anche qui la vera protagonista assoluta non è Mina Settembre, assistente sociale, che sbarca il lunario tentando disperatamente di far funzionare un presidio sociale in uno dei quartieri più sgangherati della città.
La vera signora del libro è Napoli.
La Napoli dove la gente non va dall’assistente sociale per avere sussidi, ma per chiedere che le istituzioni scolastiche la smettano di infastidirli, pretendendo che i piccoli di casa frequentino la scuola: forse non è chiaro a quegli sfaccendati operatori di cultura che a casa loro sono i piccoli a procacciare i mezzi di sostentamento. In quale modo, non è essenziale saperlo.
Una città dove deve essere non un adulto, sotto qualsiasi veste, anche di un vicino di casa o di un parente, di un prete o di un insegnante, ma una bambina di pochi anni a preoccuparsi, a prodigarsi, a industriarsi, a cercare il modo di evitare il più spietato dei femminicidio, quello della propria madre.
Una città dove le amiche si premurano di cercarti un partner, ti criticano per la vacuità della tua vita sociale e affettiva, ti aggiornano con certosina precisione su futilità e pettegolezzi vari, ma non esitano a prodigarsi generosamente a proprio rischio e pericolo, in tuo soccorso, collaboranti e collaborative senza indugio e senza freni.
Il tutto, condito con ironia, sarcasmo, umorismo involontario o meno, costante arte di arrangiarsi, abitudini deleterie, giornate all’insegna di…rifiuti umani, commenti salaci e battutine sul decolleté della giovane assistente sociale, della sua onnipresente e ossessiva madre pseudo invalida, sulla timidezza dei medici corteggiatori di Mina, ammaliati da lei, anche a loro insaputa.
De Giovanni è un giallista, per definizione, etichetta in verità alquanto risibile: c’è quindi qui anche un mistero, e un serial killer, legato alla consegna di rose rosse, un mistero enunciato effettivamente in codice grazie alla regolare consegna dell’omaggio floreale, come dire, un classico ditelo con i fiori.
Se poi l’enigma è simile a quello ideato nel romanzo prequel della serie dei Bastardi di Pizzofalcone, ebbene…poco male.
Il format di Maurizio De Giovanni è quello, come la protagonista di tutti i suoi libri, Napoli.
La città che ama, che come tutte le donne di cui ci s’innamora, ci esalta e ci fa dannare insieme.
Resta sempre bellissima, stupenda, merita rose rosse. A gambo lungo.

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Consigliato a chi ha letto...
Maurizio De Giovanni, e a chi conosce Napoli, o vorrebbe conoscerla.
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