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Un caso maledetto
 
Un caso maledetto 2021-07-14 13:37:47 Bruno Izzo
Voto medio 
 
3.0
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Bruno Izzo Opinione inserita da Bruno Izzo    14 Luglio, 2021
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Ddl Zan ante litteram

Questo è un altro romanzo seriale di Marco Vichi che ha per protagonista il suo personaggio oramai noto ai più, almeno per sentito dire anche dai non affezionati lettori dello scrittore fiorentino, il commissario di Polizia Franco Bordelli, dirigente la Squadra Omicidi presso la Questura del capoluogo toscano.
Le avventure del commissario Bordelli spaziano in un arco temporale di un quarto di secolo, che decorrono dall’immediato secondo dopoguerra fino al 1970 circa, quando il nostro, compiuti i 60 anni di età, dovrebbe accomiatarsi dalle file della Pubblica Sicurezza, ma certo non necessariamente dai suoi lettori, per godersi la beata pensione per raggiunti limiti d’età.
Come prescritto nei bei tempi andati, quindi relativamente giovane rispetto agli standard pensionistici odierni, alquanto spostati in età più avanzata, ma bisogna anche tener conto delle differenti aspettative di vita nel corso del tempo trascorso.
D’altra parte, il personaggio Bordelli è descritto aver vissuto una esistenza piena e tribolata, partecipando con assiduità, nel pieno della sua gioventù, a rischio e pericolo di lasciarci la pelle spesso e volentieri, al disastroso ultimo conflitto mondiale, sempre come marò inserito in prima linea tra le file del Battaglione San Marco, prima in guerra giocoforza al fianco dei tedeschi e poi decisamente contro di loro, per una precisa e deliberata scelta di campo, meglio consona ai suoi ideali di vita.
Nel settembre del 1943, dopo l’armistizio, Bordelli fa il suo passo avanti, si riprende il suo libero arbitrio, schierandosi nella guerra di liberazione con lo scaglione del suo battaglione San Marco aderente alla resistenza contro il nazifascismo.
Bordelli è quindi un uomo normalissimo, come tanti altri, che in virtù di dure esperienze vissute in proprio, è cresciuto divenendo un uomo pacato, maturo, riflessivo ma anche curioso, ancora esuberante ed affascinato dall’esistenza e dai suoi piaceri, proprio perché troppe volte ha rischiato di perdere la vita ed i suoi annessi.
Reso inoltre saggio, tollerante, paziente con i propri simili dalle sue crudeli, sanguinose e tragiche vicende di vita vissute. Inizialmente per indole ed educazione, poi come militare, come fidato commilitone, ha sviluppato fortissimo specialmente il senso dell’amicizia, della compartecipazione, della convivialità dell’esistenza; ha innato il valore della lealtà, dell’onestà, dei piaceri semplici ed essenziali, la buona cucina, le donne, l’amore, e di converso anche l’amore per i libri e la buona lettura, che dalla vita copiano e prendono ispirazione, senza mai uguagliarla perché si sa, la realtà supera sempre ogni fantasia.
Per questo nei racconti di Vichi la professione del commissario è un pretesto per giustificare i suoi giri, le sue domande, le sue conoscenze, le sue indagini sono spesso e di frequente occasioni per considerazioni sui tipi diversissimi di varia umanità esistente, dall’ex colonello dei carabinieri divenuto funzionario dei servizi, all’ex prostituta delle case di tolleranza a cui è legato da affetto fraterno, puro, scevro da ogni riferimento al sesso ed impronta alla genuina correttezza.
Conta tra i migliori amici il suo fido vicecommissario Piras ed il medico legale Diotivede, ma anche l’ex ladro Ennio Bottarini con il pallino per la cucina, oppure Totò, stavolta un autentico cuoco di professione della rinomata trattoria “Da Cesare”, orgoglio della gastronomia toscana, che insieme ai manicaretti gli propina con nonchalance racconti della sua giovinezza in pure stile gran guignol.
Inoltre, incontriamo spesso nelle sue avventure tante altre figure sui generis, un piantone appassionato di enigmistica, oppure un insolito e strampalato inventore da fumetto, un Archimede Pitagorico perennemente rinchiuso nel suo laboratorio, e altri personaggi tanto comuni quanto originali ciascuno a suo modo. Il racconto del quotidiano di Bordelli è diviso tra la professione che certo, con urgenza, richiede il suo apporto, il suo acume, il suo saper cogliere oltre le apparenze; e però è pregno di tanto altro, serate conviviali con gli amici nella sua casa alle porte della città, in campagna, dove è d’obbligo per ognuno degli invitati sdebitarsi per la lauta cena con un racconto di vita reale o inventata
È questo novellare, il raccontare, il fornire ad altri commensali una storia che concerne l’esistenza propria o altrui che tanto rivela sul cuore degli uomini, il vero piatto forte, la pietanza ricercata delle cene a casa Bordelli, su questo Marco Vichi basa la sua originalità di valente affabulatore.
Lo fa con un suo stile, un periodare a capitoli alterni tra pubblico e privato, tra lavoro e svago, tra città e campagna, Marco Vichi è uno scrittore di schietta, pura fiorentinità.
Con linguaggio diretto, semplice, descrittivo abilmente tanto di luoghi che di persone, tanto di fatti quanto di introspezioni, ci offre sempre un prodotto semplice ma genuino, forse scontato, a tratti forbito, ma sempre squisitamente e letterariamente valido e gradevole.
Accanto alla convivialità, la lettura, l’amore per la sua donna Eleonora, il suo cane Blix, il rispetto per la natura in cui spesso e volentieri si immerge nelle sue passeggiate sui colli intorno alla città, tutto questo si accosta spontaneamente a Bordelli, lo riporta ad uno stile di vita semplice ed intenso ad un tempo. Marco Vichi con i suoi romanzi con protagonista Franco Bordelli ci offre un’elegia dell’esistenza a misura d’uomo, e di converso, un elenco delle brutture, dei crimini che purtroppo accadono, delle nefandezze dell’animo umano in grado di lordare il creato, e come tali da bandire dalla quotidianità del consorzio civile, consegnandone i colpevoli, riconosciuti certamente tali, alla Giustizia, perché la stessa faccia il suo corso, mediata dalla tolleranza ma sempre inflessibile quando senza appello alcuno, nei casi di malvagità fine a sé stante, la più abietta.
Se il vivere civile è qualcosa di stupendamente compiuto nella sua semplicità, letteralmente divino e idilliaco, allora magari nelle violazioni più gravi come le violenze di ogni tipo, e l’omicidio è la più grave delle violenze esistenti, serve anche un’esemplare punizione manu propri.
Questa non si sostituisce alla Legge, che deve comunque fare il suo corso senza iniquità, ma va, come dire, talora a sottolineare con opportune umiliazioni il male fatto ai responsabili dello stesso, e questa punizione impartita brevemente di persona dai servitori della Legge, comunque sanzioni mai solo fisiche, devono servire ed essere atte solo a rivelare brutalmente agli stessi malfattori la proprio spregevole essenza, estrinsecandola a forza ai loro occhi, perché ne abbiano motivo di riflessione, seppure tardiva. Bordelli non è nuovo a ricorrere a questi mezzi ad uso di insegnamenti, nel corso della professione, e anche in questo romanzo finirà per ricorrerne. Giustamente, come vedremo.
Perché questo è uno dei casi più assurdi della carriera del commissario, un delitto tanto inutile quanto mostruoso, una violenza gratuita esercitata tanto per fare, senza alcuna motivazione di lucro o altro, un caso ignobile, quello che si dice un delitto senza movente, e proprio per questo un caso maledetto, che richiede giustizia immediata, severa, esemplare, perché sia di monito e di riparazione alla stortura dell’atto, una screziatura profonda nell’armonia della mutua e solidale esistenza umana.
Franco Bordelli, da poco reduce da un triplice successo professionale nel romanzo precedente a questo, “L’anno dei misteri”, con cui pensava di chiudere alla grande il suo curriculum di operativo di Polizia, è chiamato invece ad investigare su un ennesimo, brutale, atroce delitto.
Un aristocratico, un conte, un membro della vecchia e antica aristocrazia fiorentina, un uomo ricchissimo, ma in fin dei conti, altro non è che un povero vecchio, debole, inerme, indifeso, assai avanti negli anni, viene barbaramente assassinato del suo palazzo nobiliare, senza nessun indizio.
Perché l’indizio è sempre legato al movente, ed il movente in questo caso è unico, ed inutile ad un tempo, per questo assurdo e maledetto: l’uomo era un noto omosessuale dichiarato, un uomo che viveva serenamente da sempre il proprio orientamento sessuale senza fare del male a nessuno, portando con fierezza, trasparenza, onestà la sua condizione “diversa”, dati i tempi.
Ma i tempi non lo permettevano, e forse, chissà se lo permettono davvero oggi:
“…noi finocchi…dobbiamo vivere nascosti come carbonari…costretti a nascondere una parte di noi…la più vera…non è piacevole.”
Erano tempi quelli in cui un omosessuale per la società, per la chiesa, per la legge, per l’etica corrotta ed ipocrita corrente era un frocio, un finocchio, un invertito, un pederasta, un depravato, un immorale, senza nemmeno chiedersi chi, come, quando ed in nome di che cosa, avesse ritenuto corretto, giusto, umano, definirli dispregiativamente in questo modo.
Solo per questo, il Conte, l’omosessuale, l’uomo per bene che è, viene insultato, deriso, picchiato a mani nude, barbaramente trucidato.
Senza altro motivo.
Erano altri tempi, anni di ipocrisia, di bigottismo, di apparenze, di falsità, quando il termine “omosessuale” era un’invettiva, un’offesa grave, un marchio di infamia.
Anni in cui sarebbe stato necessario un decreto di legge Zan ante litteram, approvato nell’ordinamento dalla società senza ulteriore indugio, ad applicazione immediata, perché unico riconosciuto e indispensabile monito, riparo e rimedio contro la bestialità, contro l’odio gratuito, l’ignoranza, l’intolleranza becera, il mancato riconoscimento della diversità che rende speciale ed unico ciascuno di noi. Franco Bordelli indaga, e assicura alla giustizia chi si è maledetto di tale offesa al genere umano, un tipo di offesa pari a quello per cui ci si era impegnati in un conflitto mondiale.
“…In quella città era stato commesso un sopruso che prendeva forza dall’idiozia del pregiudizio e gridava vendetta. Era un omicidio più o meno nazista, e come tale andava trattato.”
Il commissario non agisce perché è un eroe buono letterario, o tanto moderno e sagace da essere all’avanguardia dei tempi: si muove invece con assoluta normalità, con comune buon senso, con sdegno genuino, in sintesi si muove con un solo sprone, la sua umanità, il comune sentire che spesso troppi non avvertono da soli, forse perché necessitano appunto dell’approvazione di un opportuno decreto-legge, confermato mai troppo presto. In mancanza di meglio.






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