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La mala erba
 
La mala erba 2022-10-23 13:23:49 cesare giardini
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cesare giardini Opinione inserita da cesare giardini    23 Ottobre, 2022
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La vendetta di una ragazza disperata.

Colle San Martino è un paesino sulle colline laziali, trecento anime circa, una vita grama e tanta solitudine. Le famiglie tirano avanti alla meno peggio, con lavori saltuari, rapporti sociali ridotti al minimo, corrosi da sordidi segreti e speranze ormai sopite. Su tutti e tutto dominano due personaggi: il boss del posto, Cicci Bellè, un signorotto prepotente e volgare, padrone indiscusso e temuto di ogni cosa, chiuso per lo più nel suo palazzo con i suoi servitori ed un figlio trentenne minorato con un cervello da bambino, e il parroco del paese, padre Graziano, un’ambigua e losca figura di prete che vive a sbafo, ospite di una famiglia del posto, ha un’amante segreta e un figlioletto, predica come gli conviene e razzola malissimo. Protagonista indiscussa è Samantha, una ragazza diciassettenne, liceale, ansiosa di evadere da un ambiente troppo ristretto e soffocante; è molto legata a suo padre, Enzo, un tipo burbero, solitario, amante della caccia, incapace di farsi strada nella vita e di trovare un lavoro stabile, vittima di continui ricatti da parte di Bellè per il mancato pagamento di affitti arretrati della casa. Samantha è una ragazza tenace, volitiva, in camera ha un poster raffigurante una donna lupo, capelli scompigliati, occhi gialli, corpo mozzafiato e lunghi artigli al posto delle mani. Eventi avversi le sconvolgono la vita: scopre di essere incinta, il ragazzo responsabile l’abbandona, si innamora di un altro che, sapendola in attesa di un figlio, la lascia, disperata e incompresa. Non c’è limite al peggio quando la madre accetta come ultima risorsa per sopravvivere una singolare proposta di Bellè, quella cioè di favorire il matrimonio tra il figlio deficiente, invaghitosi della ragazza, e Samantha. I vantaggi per la povera famiglia senza soldi sono tanti: un vitalizio, l’annullamento dei debiti, la dimora nel palazzo. Samantha si sente trattata come merce, fugge, urla il suo rifiuto, ma poco a poco, la voglia di sopravvivere ad ogni costo prende il sopravvento: convola a nozze, prende possesso del palazzo e detta, fredda e vendicativa, le sue leggi. Nuovi eventi si susseguono, il suicidio di Enzo, la fuga dell’amante russa e del figlioletto del prete, l’assassinio del figlio di Bellè, la tragica morte di padre Graziano: la mala erba (Bellè e Graziano) ormai non è più in grado di nuocere, ma al suo posto c’è una lupa affamata e determinata, che esige, ben determinata e senza dilazioni, gli affitti degli immobili del posto, non ripristina giustizia ma perpetua un altro tipo di mala erba, relazioni perfide, cattiverie e malignità. La vittima diventa carnefice, è la vita che costringe a diventare lupi, disperati e solitari, e ad imporre la legge del più forte.
E’ un paese di provincia quello di cui narra la storia Antonio Manzini, un paese in cui viviamo un po’ tutti, con le nostre speranze, i nostri risentimenti, le nostre solitudini, un paese in cui hanno buon gioco i poteri forti di ogni genere, quelli che tarpano le ali, impongono la loro prepotenza con tutti i mezzi, anche i più subdoli e imprevedibili. Padre Felipe, il successore di Graziano, sembra mite e sprovveduto, ma già ha iniziato a scroccare i pasti presso famiglie locali ed a preannunciare l’arrivo dal lontano Perù di una fantomatica sorella (l’amante?) con figlio al seguito: la storia si ripete, immutabile, tutto può cambiare purchè tutto resti come prima.
Lo stile narrativo è apprezzabile come sempre, i personaggi sono innumerevoli, ben delineati, con connotazioni precise e calzanti. Solo nel finale, la storia appare un po’ dispersiva, come se l’autore volesse affrettarne la conclusione, saltando da un personaggio all’altro a discapito della fluidità del racconto.
Leggendo il romanzo, mi sono venuti alla mente due riferimenti. Il primo è letterario, ed è una bella e notissima poesia di Quasimodo (”Ognuno sta solo sul cuor della terra – trafitto da un raggio di sole – ed è subito sera”) che mi fa pensare alla esasperata solitudine, quasi da emarginati senza spiragli di luce né speranze, dei personaggi di Manzini, arroccati in una sorta di limbo isolato dove il potente prevarica ed il debole è costretto a soccombere. Il secondo è cinematografico, ed è il celeberrimo giuramento di Rossella O ‘Hara in “Via col vento”, che ben si adatterebbe alla Samantha del romanzo di Manzini: “Giuro davanti a Dio che…non mi batteranno. Supererò questo momento e quando sarà passato non soffrirò più la fame né io né la mia famiglia, dovessi mentire, truffare, rubare o uccidere…”.
Qualche attinenza c’è, non vi pare?


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Altri romanzi di Antonio Manzini.
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