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Tutti i particolari in cronaca
 
Tutti i particolari in cronaca 2024-02-08 09:43:35 Bruno Izzo
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Bruno Izzo Opinione inserita da Bruno Izzo    08 Febbraio, 2024
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Dura lex, sed lex

La cronaca nera attrae lettori, anche quelli che leggono poco, forse per curiosità morbosa innata, un sentimento per quanto innaturale però comune a tanti, fatto sta che i grandi delitti stimolano il cittadino medio, lo incitano a saperne di più, a scendere nei dettagli, un utile stratagemma per invogliare l’acquisto è l’ indicazione precisa, direi tassativa: tutti i particolari in cronaca.
”Tutti i particolari in cronaca”, per inciso, è anche il titolo dell’ultimo romanzo di Antonio Manzini, il noto autore creatore delle storie seriali poliziesche che hanno per protagonista il vicequestore romano Rocco Schiavone, trapiantato a forza in servizio presso la questura di Aosta.
Questa volta però il vicequestore non c’è, non perché l’autore ha voluto prendersi una pausa distaccandosi dalla sua creatura, o forse perché le ultime prove non hanno pienamente convinto gli appassionati, Antonio Manzini ha già dato in precedenza prova di sé senza necessariamente basarsi solo sulle storie seriali del personaggio che gli ha dato la notorietà.
Questo romanzo non è un poliziesco, in senso stretto, non di solo questo ci parla, va oltre, più a fondo, è un racconto di giusti e di giustizia, di sentimenti e di offese, di più, direi che è l’eterno dibattere del bene e del male. Perché il pregio di Manzini non sta nella sua abilità di tessere detective stories, ciò sarebbe riduttivo del suo talento, anche stavolta il nostro scrittore, anche se ha edito nei tipi di una casa editrice dall’inconfondibile color limone che contraddistingue il genere, come con Schiavone tutto fa, di tutto scrive, ma di ben altro racconta, non solo di guardie e ladri, ma di tipi umani, di persone, di soggetti, a prescindere dalla professione che svolgono e dal contesto in cui agiscono, le loro estasi ed i loro tormenti, le loro vite, che poi sono come le nostre.
Se il romanzo racconta un omicidio, un giallo, un delitto, e prende la deriva per un poliziesco, questo è solo un dettaglio, Antonio Manzini è per prima cosa un buon scrittore, inventa belle storie e ce le presenta anche meglio. Manzini è uno scrittore accurato, ha un suo stile discorsivo, a modo suo intenso ed introspettivo, visualizza al meglio le anime delle sue creature, più che le loro sembianze, alle fattezze fisiche ci pensano le fiction tratte dalle sue storie, racconta scene ed atmosfere nella loro essenzialità, soprattutto eccelle, lo ripetiamo, nel caratterizzare i tipi umani reali, tormentati e sofferti, idealisti o sognatori, che sempre popolano i suoi racconti.
Scava nel cuore dei suoi personaggi, di più, nel fondo della loro umanità, che non è mai unica ma sempre binaria per natura, quindi lecita o meno, decorosa o disdicevole, diritta o illegale, sempre fermamente bene intenzionati a schierarsi dall’una e dall’altra parte di due opposti, tra due estremi.
Uno rappresenta ciò che è ipoteticamente etico, giusto, corretto, l’altro invece è quanto praticamente attuabile, comunemente ammissibile, facilmente realizzabile, anche se talora, o spesso, indebito.
All’atto pratico, finiamo invece sempre o quasi tutti a dibatterci, ad affannarci, ad industriarci per mantenere un minimo di coerenza, letteralmente cerchiamo alibi inconsciamente o meno per il nostro tenerci a galla in un mare di transazioni, accomodamenti, cedimenti, e la zattera per l’emersione, quale che sia, lascia sempre qualcuno scontento, deluso, frustrato.
Carlo Cappai, il protagonista principale di questa storia, è un uomo ordinario, abitudinario, metodico: è anche un uomo solo, banale, insignificante, con un suo vissuto con cui si barcamena nel gestire le sue giornate. Cappai è integerrimo di per sé, scrupoloso, con una memoria di ferro, un proprio senso diamantino della giustizia, accentuatosi ancor di più in seguito alla perdita delittuosa del suo primo amore in gioventù; perciò, nell’esplicare le sue funzioni, gestisce l’archivio penale presso la cancelleria del locale tribunale, ha una conoscenza approfondita dei casi archiviati di omicidi irrisolti, spesso, troppo spesso, giunti al termine dei gradi di giudizio senza colpevole. Sentenze chiuse con un nulla di fatto non tanto perché il responsabile vero o presunto non sia mai stato individuato, ma più spesso i processi si chiudono per l’impossibilità legislativa di condannare il sospettato al di là di ogni ragionevole dubbio. Cappai lo comprende, legge e giustizia non sono la stessa cosa, anzi lo sono, ma in maniera diversa. Legge e Giustizia corrono su due binari differenti, sempre paralleli, che perciò non si incontreranno mai: di più, esistono ben distinti in due universi lontanissimi tra loro. L’una, la vera Giustizia, è un precetto morale assoluto, tuttavia per applicarla serve la legge, che è la giustizia applicata, quella corrente, comunemente usata. La legge la scrivono gli uomini, quindi di conseguenza non è perfetta, ma fallace, oppugnabile, come si suole dire, fatta la legge, trovato l’escamotage per eluderla. Magari avvalendosi delle giuste amicizie e conoscenze: giacché mancando prove certe, indizi inoppugnabili, evidenze conclamate, nessuno può subire l’ira della Giustizia. La legge è la giustizia concretamente esercitata dagli uomini, e gli uomini vivono in società, si incontrano, si conoscono, spesso quelli dello stesso livello si aiutano, si scambiano favori, si accordano, minimizzano, mistificano, negano la Giustizia. Cappai tutto questo lo vede ogni giorno, ieri come oggi e anche domani, ne è permeato, e lo sa: un tribunale può sentenziare che qualcuno è innocente, anche se per la Giustizia è colpevole come il demonio.
Dura lex sed lex, la legge, per quanto talora iniqua è spesso così attuata, e a Cappai, come a chiunque di noi, la giustizia negata lacera, strazia, tormenta e avvelena l’esistenza.
La legge è un genuino cronista, cerca e riporta i nudi fatti, e non le intenzioni malefiche, applica i codici, i commi, le eccezioni, non è la Giustizia astratta, che è di per sé una chimera.
Le chimere sono sogni, non cavilli del codice, perciò non ammessi dalla Corte.
Il tormento e l’estasi: i particolari in cronaca riportano i tormenti, altrimenti non si vendono copie. L’estasi è per quelli come Cappai, per i sognatori, per i puri di cuore, che però non fanno audience.



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Antonio Manzini
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Bellissima recensione, se non avessi letto ormai (con moltissima fativa ben cinque libri e mezzo della serei Schiavone) sarei tentata di leggere anche questo titolo.
Manzini non è proprio nelle mie corde purtroppo.
In risposta ad un precedente commento
Bruno Izzo
09 Febbraio, 2024
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Grazie, davvero grazie di cuore per avermi letto. Quanto al gradimento del romanzo...Ma ci sta, ci mancherebbe! Io credo che i libri siano come le persone: qualcuno ti piace, qualche altro no. Di qualcuno ti innamori, altri non li digerisci, altri ancora ti sono cari, o indifferenti, e via così! Manzini ha scritto anche altro oltre romanzi seriali con Schiavone, e di questi diciamo così "autonomi" il migliore a mio parere resta: "Gli ultimi giorni di quiete". Un cordialissimo saluto!
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