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Longbourn House
 
Longbourn House 2015-09-25 10:22:46 lapis
Voto medio 
 
3.0
Stile 
 
3.0
Contenuto 
 
3.0
Piacevolezza 
 
3.0
lapis Opinione inserita da lapis    25 Settembre, 2015
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Per vincere facile si finisce per perdere

Nella galleria di romanzi di ispirazione austeniana si colloca Longbourn House. L’idea in questo caso è di dare voce e vita al mondo della servitù di casa Bennett: la cameriera, la governante e il valletto diventano così protagonisti della scena con le proprie attività quotidiane, difficoltà, sentimenti.

Sono molti i romanzi che nel tempo hanno preso in prestito nelle proprie storie i personaggi di Orgoglio e Pregiudizio con risultati in genere molto deludenti non solo per le situazioni proposte, talvolta al limite del ridicolo, ma anche perché il presentare i personaggi fuori dalla loro realtà letteraria porta a snaturarli, trasformarli, renderli irriconoscibili. Bisogna invece dare atto a Jo Baker che, pur avendo fatto muovere i suoi servitori non in una qualunque casa inglese di fine Settecento ma proprio in quella della famiglia Bennett, tuttavia non ha tradito il contesto e i personaggi originali.

Longbourn House ha una sua valenza e una sua trama che va oltre Orgoglio e Pregiudizio ma ne sfrutta furbescamente l’ambientazione, impreziosendo lo sfondo della propria storia con rimandi a vicende e personaggi così noti e cari al lettore. Mossa furba ma anche pericolosa perché porta inevitabilmente a un confronto con l’originale, evidenziando limiti e debolezze del romanzo della Baker. Se è vero che anche in Orgoglio e Pregiudizio la trama non risulta particolarmente originale o avvincente, lì è la qualità della narrazione, dell’ambientazione e della caratterizzazione dei personaggi a fare la differenza. In Longbourn House, invece, la semplicità della storia d’amore tra cameriera e valletto si accompagna a un ritmo narrativo piuttosto pesante, con lunghe descrizioni e digressioni sul passato che dimostrano sì una certa documentazione storica da parte dell’autrice ma che ne inficiano la piacevolezza. I personaggi sono inoltre piuttosto deboli, a tratti anacronisticamente moderni per alcune scelte di vita, ispirate da un presunto tumulto interiore e una speranza di riscatto non meglio identificati e approfonditi. E poi manca il brio dell’ironia, purtroppo.

Il giudizio sarebbe cambiato senza il pesante paragone? In parte forse sì. In fondo è un romanzo fine, di belle maniere e buoni sentimenti, che offre uno sguardo onesto su chi ha come unica prospettiva una vita sfiancante di lavoro durissimo fatta di panni da lavare, piatti da servire e mani rovinate dal gelo e dalla fatica, una vita malinconica in cui non ci si possono permettere comodità e desideri, una vita invisibile che fa della discrezione e dell’assenza di sogni il proprio tratto distintivo. Interessanti quindi gli spunti di riflessione sul tessuto sociale dell’epoca, soprattutto a confronto con la nostra egocentrica e individualistica attualità.

Una lettura nel complesso gradevole che forse ha tratto più svantaggi che vantaggi dall’avere citato Jane Austen.

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