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La banalità del male
 
La banalità del male 2014-09-16 20:22:36 Ale96
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Ale96 Opinione inserita da Ale96    16 Settembre, 2014
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Tutto diviene il contrario di tutto

11 maggio 1960: a Suarez, periferia di Buenos Aires, Ricardo Klement, operaio, viene rapito dai servizi segreti israeliani e tradotto in carcere a Gerusalemme. Perché Israele ha violato la sovranità dello stato argentino per rapire un anonimo lavoratore immigrato? Perché Ricardo Klement non è mai esistito. Dietro quel nome si nasconde Adolf Eichmann, membro dell' RSHA (Ufficio centrale sicurezza del Reich, un organo che aveva accorpato SS e Gestapo), esperto di questioni ebraiche, che ha avuto un ruolo rilevante nella attuazione pratica della Soluzione Finale e il cui nome era apparso regolarmente negli atti del famoso processo di Norimberga.
15 dicembre 1961: dopo un processo di ben centoventuno udienze, che si era protratto per mesi perché il pubblico ministero Haustner ( e il primo ministro israeliano) voleva concentrare l'attenzione del pubblico sullo sterminio degli ebrei tout court più che sui singoli crimini dell'imputato, viene emessa la sentenza di morte della corte.
31 maggio 1962: emessa la sentenza definitiva della Corte suprema e respinta la richiesta di grazia da parte del primo ministro, Adolf Eichmann viene frettolosamente impiccato.
1963: la filosofa tedesca Hannah Arendt, inviata del New Yorker al processo Eichmann, pubblica un'opera che, benché inondata e sommersa da pesanti critiche, presto si impone nel panorama internazionale fino a diventare un classico della riflessione sull'orrore del XX secolo: “Eichmann in Jerusalem:A Report on the Banality of Evil”

Adolf Eichmann è un uomo mediocre nato in Austria da una famiglia benestante. Studente pigro, lavoratore ancor più pigro, trova un'occupazione stabile grazie ai parenti ebrei della matrigna ma ben presto si stufa. Uomo privo di idee proprie, fanfarone che va avanti con frasi fatte e conformismo, su consiglio di un amico, entra nel 1932 nel partito nazista senza conoscerne l'ideologia e successivamente nel Servizio di Sicurezza delle SS, specializzandosi in questioni ebraiche ed espulsioni. Ben presto fa carriera, diviene tenente-colonnello (grado non eccezionale) e capo della sottosezione IV-B-4 dell' RSHA “Affari Ebraici, espulsione ed evacuazione”. Quando nel 1941 Hitler procede alla Soluzione Finale della questione ebraica, ovvero allo sterminio fisico, Eichmann diviene una rotella abbastanza importante della grande macchina burocratica. È lui che organizza la deportazione degli ebrei del Reich e dei territori conquistati nei vari campi di concentramento e si occupa dei rapporti con i vari consigli ebraici. Infatti, nel momento di annessione di un territorio, i nazisti entravano in contatto con questi consigli i cui funzionari trattati con i bianchi guanti distribuivano le stelle di David e redigevano l'elenco dei deportati, consegnavano cioè i loro fratelli al macello. Eichmann, “cittadino ligio alla legge” smanioso di promozioni, mostrò in questo suo lavoro grande zelo che non calò neppure alla fine.

Quello che emerge dall' argomentazione approfondita e serrata della Harendt è il ritratto non di una bestia inumana, sadica e perversa, inebriata dal sangue e dall'orrore, ma di un uomo normale. È propria la sua normalità a fare paura: Eichmann è un grigio burocrate privo di di iniziativa, di spessore culturale e morale. Non odiava affatto gli ebrei e non riusciva nemmeno a entrare in un campo di concentramento e ad avvicinarsi ad una camera a gas. Era interessato solo a statistiche, rapporti e avanzamenti di carriera e non si preoccupava che dietro quei numeri vi erano 5 milioni di ebrei massacrati. E la sua coscienza? Mai toccata da una crisi perché quando sei circondato dal crimine non ci fai più caso. Nel Terzo Reich l'illegalità era divenuta legalità, l'ammazzare il comandamento. Il bianco era passato per nero, e il nero per bianco e il criminale divenne un automa, inconsapevole del proprio crimine. Il male è banale e per questo più terribile: un uomo mostruoso e demoniaco non sarà mai imitato mentre c'è empatia con un uomo uguale a noi. In futuro la probabilità di un altro genocidio peggiore del proprio precedente è alta perché i servitori del male sono del tutto simili al nostro vicino di casa, ai nostri parenti, ai nostri amici, a noi stessi.

La banalità del male è un'opera densa, piena, complessa che ci svela l'enorme ragnatela del Terzo Reich, lo spirito di una nazione in cui il totalitarismo aveva fatto del paradosso la legge, della follia la normalità, senza che l'autrice si discosti mai dal processo, da Eichmann, dalla Corte. Buona lettura!

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Commenti

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Complimenti Alessandro, per la qualità delle tue letture e per questa recensione che, come sempre, è bellissima e molto interessante.
Sono letture che fanno riflettere e aiutano ad ' aprire gli occhi ' .
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Ale96
17 Settembre, 2014
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Grazie Emilio. L'analisi di Hannah Harendt è sconvolgente nella sua eccentricità, specie quando tratta dei rapporti tra nazisti e consigli ebraici. Interessante poi la questione degli ebrei in Italia che furono nonostante le leggi razziali comunque protetti e salvati dalla Soluzione Finale. Perché questo comportamento? Per la naturale ospitalità di un" popolo di antica civiltà". Frase che commuove e fa riflettere molto.
Ottimo commento, Alessandro, di un libro che purtroppo non ho letto... non ancora.
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Ale96
18 Settembre, 2014
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Te lo consiglio calorosamente Rollo. È un'opera complessa ma estremamente chiarificante.
Bella segnalazione e recensione Alessandro, di un testo che non ho letto e che, al di là del suo valore di testimonianza storica, affronta un tema che da un po' mi intriga e cioè quanto il male non sia necessariamente concentrato in pochi "cattivi" ma sparga i suoi veleni molto estesamente.
Totalitarismi, populismi e fanatismi di varia natura fanno affidamento proprio a quella parte oscura presente in ognuno di noi.
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Ale96
21 Settembre, 2014
Ultimo aggiornamento:
21 Settembre, 2014
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Allora caro Pierpaolo ti invito spassionatamente a leggere il saggio della Arendt anche se se ti avverto che l'argomento della banalità del male non occupi tutto il libro ma sorattutto l'epilogo e l'appendice
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