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L'ultimo gesto d'amore
 
L'ultimo gesto d'amore 2016-11-22 08:50:17 Mian88
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Contenuti 
 
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3.0
Mian88 Opinione inserita da Mian88    22 Novembre, 2016
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La buona morte.

Mina Welby e Pino Giannini ci invitano mediante questo piccolo elaborato a riflettere su quella che è una tematica attualmente ancora fortemente discussa; l’eutanasia, o anche detta “buona morte”, e vi riescono mediante l’ausilio di tre punti di vista: quello proprio di Piergiorgio Welby, quello di Luca Coscioni ed infine quello della moglie ed il suo inno, almeno iniziale, alla vita.
Con perizia e dovizia vengono ricostruiti in queste pagine, non solo i progressi di una malattia ed il conseguente desiderio di essere lasciato andare, ma anche e non di meno, quelli che sono gli aspetti più propri di una patologia invalidante, dal dover ricorrere a strumenti di comunicazione con il mondo esterno a quelli atti ad interloquire con i propri cari e/o amici (tra questi spicca indubbiamente l’ausilio della tecnologia informatica, indubbio è il significativo ruolo che i pc hanno avuto in questo corollario), al mutare dell’alimentazione, al necessitare dell’ausilio altrui, al variare delle attività quotidiane proprie di ogni individuo.
Ma non è solo questo “L’ultimo gesto d’amore”. E’ anche il ripercorrere quei giorni passati che non sono stati solo sofferenza, è ascoltare la voce di una donna che si è inventata di tutto pur di mantenere attivo lo spirito del marito, che si è dilettata nella ricerca di ogni attività possibile (pittura, lettura, fotografia) pur di incrementarne la voglia di vivere, è il pianto raccolto di una moglie che alla fine si è dovuta arrendere all’evidenza abbandonando la presa di posizione iniziale per abbracciare quella del compagno. Ed è anche un’analisi che maggiormente raggiunge il suo scopo grazie alle parole destinate al Presidente della Repubblica da Luca Coscioni venuto a mancare nel 2006. A tal proposito, un breve estratto:

”Quando affrontiamo le tematiche legate al termine della vita, non ci si trova in presenza di uno scontro tra chi è a favore della vita e chi è a favore della morte: tutti i malati vogliono guarire, non morire.[..] Tra desideri e speranze, il tempo scorre inesorabile e, con il passare del tempo, le speranze si affievoliscono e il desiderio di guarigione diventa desiderio di abbreviare un percorso di disperazione, prima che arrivi a quel termine naturale che le tecniche di rianimazione e i macchinari che supportano o simulano le funzioni vitali riescono a spostare sempre più in avanti nel tempo. Per il modo in cui le nostre possibilità tecniche ci mantengono in vita, verrà un giorno che dai centri di rianimazione usciranno schiere di morti-viventi che finiranno a vegetare per anni. Non tutti probabilmente dobbiamo continuamente imparare che morire è anche un processo di apprendimento, e non è solo il cadere in uno stato di incoscienza”. P. 64

Dopo il ricordo la conversazione si sposta su quello che è giunto a seguito della morte di Piergiorgio, quali sono state cioè le conseguenze, gli effetti, le considerazioni maturate a seguito della venuta meno. E se in passato il rapporto era con la morte, oggi questo è con il morire in quanto il “vivere e il morire” sono due concetti collegati. Tanto è importante vivere, altrettanto lo è l’allontanarsi dal piano della vita perché «noi non viviamo per sempre. Qualche volta bisogna limitarsi nelle proprie azioni, bisogna lasciare qualcosa di sé per accettare qualcosa degli altri, a volte un rimprovero… Anche questo è un po’ morire». P. 56
Ed è così che, attraverso la forma di una breve intervista, si riaffronta una questione fortemente dibattuta, atta a dare adito a più voci, favorevoli e non, ma anche desiderosa di spiegare i motivi di una scelta dettata da una condizione vissuta in prima – e per interposta – persona.
Se dunque il testo si dimostra ricco di contenuti e capace di far ponderare il lettore, dal punto di vista stilistico il linguaggio si presenta – anche troppo – conciso, diretto, schietto, caratteristica questa che mantiene sempre attivo uno “schermo” di distanza tra scrittore e destinatario delle parole. Infine, eccessivamente sintetico quando la tematica consentiva maggiori approfondimenti nonché osservazioni.

«L’ultima settimana gli ho detto, in lacrime:”Piero, non ho più nulla da inventarmi…”
"Non c’è più niente da inventare, abbiamo avuto tutto dalla vita e adesso dobbiamo capire che è finita”» p 26

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