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Arcipelago Gulag
 
Arcipelago Gulag 2021-02-19 14:25:55 anna rosa di giovanni
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anna rosa di giovanni Opinione inserita da anna rosa di giovanni    19 Febbraio, 2021
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"Tutto fu esattamente così"

ALEKSANDR SOLZENICYN (1918-2008), premio Nobel per la letteratura nel 1970, scrive ARCIPELAGO GULAG tra il 1958 e il 1968; riesce a farne pervenire clandestinamente un microfilm in Francia, dove l’opera viene pubblicata nel 1973 (in Italia l’anno dopo); nel 1974 Solzenycin è arrestato e costretto all’esilio, da cui rientra nel 1994.

Ecco la dedica:
Dedico questo libro
a tutti coloro cui la vita non è bastata per raccontare.
Mi perdonino
se non ho veduto tutto,
se non tutto ricordo,
se non tutto ho intuito.

Quando ho visto questo titolo in un negozio dell’usato, non mi ero resa conto che era il primo di tre volumi. Bene. Ora, se avete letto i Racconti della Kolyma di Varlam Salamov (potete eventualmente leggere la mia “opinione” in questo sito), sappiate che il primo volume di “Arcipelago gulag” si presta benissimo a introdurli poiché ricostruisce in modo, mi sembra, esaustivo e comunque preciso e ampio tutto quanto succede (e succedono molte cose) prima di finire in un campo di lavori forzati sovietici, un GULag appunto, dove “lag” sta per “lager”.
Trattandosi di un autore e di un’opera molto noti, mi limito qua a dire le mie semplici impressioni di lettrice. Ebbene, al di là del contenuto, mi hanno colpito il vigore e l’immediatezza che animano quello che a ragione Solzenicyn definisce nel sottotitolo “SAGGIO DI INCHIESTA NARRATIVA”. Un saggio di inchiesta che attraverso una parola tesa fra la nuda cifra e il battito d’ali della poesia ricostruisce fatti dati e destini di un’epoca forse non ancora finita:
“Da una all’altra isola dell’Arcipelago sono tesi sottili fili di vite umane. S’intrecciano, si sfiorano una notte, magari in uno di questi strepitanti vagoni semibui, poi si allontanano per sempre: porgi l’orecchio al loro fievole ronzio e all’uniforme rumore delle ruote. E’ il fuso della vita che batte”.
Un saggio, che però dà l’impressione di un racconto di viva voce, e di una voce che racconta con sapienza artistica, per cui giustamente l’autore dice la sua inchiesta “narrativa. D’altra parte, quando racconta vicende che ha appreso, è la sua immaginazione di artista che gli consente di colmare il vuoto fra le parole della testimonianza raccolta e la palpitante realtà degli accadimenti.

Io non sono in generale molto sensibile alla poesia vera e propria, ma sempre mi commuove profondamente un poema di André Chénier, rivoluzionario ghigliottinato da altri rivoluzionari (la storia si ripete …), che comincia col verso “Quand au mouton bêlant la sombre boucherie ...”: anche Chénier come Solzenicyn vuole testimoniare l’ingiustizia fatta agli “agnelli” immolati sull’altare del Terrore, anche lui soffre di sentirsi dimenticato da quelli che sono fuori e però si sforza di giustificarli conoscendo il rischio ... La differenza è che nelle segrete del Terrore della Francia del 1793 non si restava 10, 20 anni né si era sfruttati come mano d’opera gratuita a perdere nei vasti deserti siberiani. Nè quel Terrore stritolò milioni di persone e per decenni. Insomma, anche nel Terrore ci sono gradazioni diverse. Ecco, se queste ultime parole le dicesse Solzenicyn, le pronuncerebbe con l’amaro sarcasmo in cui nel tempo si è stemperato il grido di Chénier.

Ecco alcuni brevissimi passaggi:

1. “Anche ammettendo che la natura umana cambi, non cambia molto più rapidamente dell’aspetto geologico della terra” (p. 557 dell’edizione Mondadori del ‘74)

2. “La memoria sia il tuo tascapane da viaggio. Ricorda, fissa nella memoria. Soltanto quegli amari semi germoglieranno forse un giorno (…) E parla meno: udrai di più.” (p. 514) ;

3. “Dove esiste la legge, esiste anche il delitto” (p. 83): ovviamente si riferisce al fatto che le leggi possono essere fabbricate apposta per perseguire chi compie le azioni che quelle leggi configurano come delittuose. Un esempio vicino a noi è il reato di clandestinità: si stabilisce che è reato entrare nel nostro paese senza documenti per poterlo perseguire come atto criminale.

4. “E quella minuscola tempesta delimitata da lastre di acciaio viaggia pacificamente tra sei file di macchine, si ferma ai semafori, segnala le svolte” (p. 528) (le lastre d’acciaio sono quelle del furgone cellulare che trasporta detenuti, la minuscola tempesta è quella tempesta emotiva vissuta da uno dei detenuti durante il viaggio verso la prigione): com’è facile nascondere il sopruso! basta renderlo invisibile! basta mimetizzarlo nella normalità.

5. “… mentre voi vi occupavate a piacere dei misteri, scevri da pericolo, del nucleo atomico, dell’influenza di Heidegger su Sartre e collezionavate riproduzioni di Picasso, partivate in villeggiatura in comode carrozze ferroviarie o finivate di costruirvi una dacia nei dintorni di Mosca, i furgoni carcerari scorrazzavano senza posa per le strade e gli agenti della KGB bussavano e suonavano alle porte” (p. 107): come non pensare al silenzio complice dell’intellighenzia e delle élites culturali in tante occasioni? ma anche e soprattutto al fatto che alla nostre vite “normali” ne scorrono innumerevoli altre segnate dalla sofferenza?

Indicazioni utili

Lettura consigliata
Consigliato a chi ha letto...
I racconti della Kolyma ( racconti nel senso di cose narrate, non di "fabulae") di Viktor Salamov, Memorie dalla casa dei morti (Fedor Dostoevskij), Se questo è un uomo (Primo Levi), tutte le testimonianze dai "campi".
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