E tu non sei tornato E tu non sei tornato

E tu non sei tornato

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1944: Marceline, 14 anni, viene deportata insieme al padre ad Auschwitz-Birkenau. Lei si salva, lui no. Oggi ottantasettenne, in queste memorie in forma di lettera al padre, Marceline ricorda con straordinaria chiarezza gli orrori subiti, ma soprattutto rivela l'amore incondizionato che la lega al genitore. Le sue frasi brevi, concise, ci presentano i fatti accaduti man mano che le ritornano alla memoria, e ci raccontano anche il "dopo": il ritorno a casa, la difficoltà di tornare a una vita normale, il matrimonio con l'intellettuale francese Joris Ivens. Un flusso di ricordi breve ma torrenziale, pieno di pathos, animato da un'incrollabile voglia di sopravvivere, rende impossibile staccare gli occhi dalle pagine di una delle testimonianze più forti consegnateci dalle vittime della Shoah.



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E tu non sei tornato 2015-05-09 15:57:00 Mario Inisi
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Mario Inisi Opinione inserita da Mario Inisi    09 Mag, 2015
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L'olocausto

Il libro (100 pagine) è scritto in prima persona da Marceline che si rivolge a un ascoltatore che non è il lettore ma il padre morto ad Auschwitz. Il libro è intriso di nostalgia come si può ben intuire dal titolo. Ma Marceline non è donna da piangersi addosso, da lasciarsi abbattere dalla violenza altrui. La testimonianza colpisce per la sua forza e anche per la ferrea volontà dell'autrice di rimozione. I suoi ricordi non sono precisi e dettagliati come quelli di Primo Levi. Marceline descrive alcuni episodi ma senza l'intento di ricordare le violenze subite. Quelle la sua mente ha bisogno di cancellarle. Si attacca invece ai ricordi dei gesti di umanità e di solidarietà. Stranamente tra i ricordi che la tormentano ci sono le violenze di cui si sente lei stessa colpevole come quando ha dovuto spingere una ragazza assieme alla quale trasportava un oggetto pesante e la ragazza è morta, non certo per colpa sua.
Marceline nella sua lunga prigionia si attacca alla vita, così tanto da non sopportare quasi le parole d'amore di suo padre che la feriscono perchè minano la sua capacità di tagliare tutto il mondo fuori per resistere al male. Il libro, questa specie di lettera, la riesce a scrivere solo a distanza di anni, anni, e anni quando la rimozione si allenta e alcuni ricordi tornano a galla. Colpisce il risentimento verso la Francia colpevole di aver dato agli ebrei il bacio di Giuda per poi consegnarli al loro terribile destino. Colpisce la difficoltà del ritorno a casa dove nessuno vuole accettare il suo carico di ricordi nè sentire parlare dei campi, il senso di colpa di chi non è stato lì e cerca la morte perchè incapace di sopportare di non aver condiviso il destino dei cari. Stranamente anche per Marceline (due tentativi di suicidio) sopravvivere è più difficile a casa che nei campi. Come non pensare anche a Primo Levi? Di fronte a una testimonianza simile i criteri di giudizio sul testo letterario crollano. Dico solo che ne consiglio la lettura e che il testo non vuole essere strappalacrime anche se alla fine fa quell'effetto proprio perchè è molto diretto e sincero.

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