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Dopo Infanzia e Gioventù, ecco il terzo capitolo dell’acclamata trilogia di Copenaghen di Tove Ditlevsen, che chiude in bellezza la sua opera autobiografica toccando vette d’intensità ancora mai raggiunte. Tove ha soltanto vent’anni, ma è già una poetessa conosciuta, sta scrivendo il suo primo romanzo ed è la moglie di un editore molto più grande di lei. Il suo cammino nella vita sembra indirizzato verso la felicità, eppure qualcosa scricchiola: a pensarci bene, suo marito non l’ha mai presa tra le braccia; la notte dorme sul divano perché lui non è disposto a condividere il letto e a colazione non può rivolgergli la parola mentre lui legge il giornale. La prima esperienza matrimoniale non è certo idilliaca, ma la giovane non ha idea delle battaglie che ancora l’aspettano: relazioni amorose tormentate, fallimenti artistici, gravidanze indesiderate. Soprattutto, però, l’uomo davvero sbagliato non ha ancora incrociato la sua strada. Dal momento in cui lo farà, niente sarà più come prima: mano nella mano, quest’individuo subdolo la trascinerà in un baratro profondo, dal quale sarà molto difficile riemergere. Con il passare degli anni, la tensione centrale della vita di Tove viene dolorosamente messa a fuoco: il terribile richiamo della dipendenza, in tutte le sue forme. Considerato il capolavoro dell’autrice, Dipendenza completa l’indimenticabile, bruciante ritratto del viaggio di una donna attraverso l’amore, l’amicizia, l’ambizione.



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Dipendenza 2023-04-14 01:53:51 68
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68 Opinione inserita da 68    14 Aprile, 2023
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Rovinosa caduta

Continua Il viaggio di Tove nel cuore della giovinezza, una vita che sembra ben indirizzata, l’amata scrittura nella quale perdersi, sentirsi felice, dimenticare, la stesura del primo romanzo, il matrimonio con Viggo F, editore quarantenne.
Eppure l’ amore ancora non le appartiene, forse il matrimonio aiuterà la sua carriera letteraria, di certo il marito non le restituisce affetto, tenerezza, vicinanza, abbandonata a se’ stessa e ai luoghi dell’ infanzia, a una solitudine obbligata, la lettura e la scrittura i soli momenti in cui riconoscersi.
Una pesante quotidianità non può che sfociare nel desiderio di altro, passioni fugaci in cui perdersi, il divorzio fuga e accesso a un futuro diverso.
La solitudine si riveste di fragilità, il desiderio affettivo cede a ricatti emotivi, la dipendenza dall’amore la incatena a relazioni tossiche, nel recente passato una certa inquietudine rivolta al futuro, l’ insicurezza di

…”non essere più una donna sposata che andava a fare la spesa e preparava la cena ogni giorno”….

E allora Tove rivisita quella bambina dall’esistenza incerta e transitoria, l’unione con Ebbe potrebbe restituirle serenità e una vera famiglia allargata, un marito e una figlia, ciò che desidera sin da bambina, una normalità a cui aspirare, la certezza di essere, oltre il talento per la scrittura, una persona piuttosto ordinaria, che sogna

…’ un giovanotto ordinario con un debole per le ragazze dai capelli biondi e lunghi”….

Ebbe è infedele, inconcludente, beve come una spugna, un uomo da mantenere, a Tove, indipendente e famosa, non resta che scrivere, un’astensione dal reale in un stato di comfort per dimenticare.
Nella solitudine dei giorni incontrerà Carl, una vicinanza malata che si insinuerà nelle sue debolezze riducendola a uno stato di dipendenza fisica e mentale. Quando il dolore si fa insopportabile l’ analgesia del presente impone la fuga da un male ormai cronico e onnipresente, unica strada per tollerare la vita con il rischio della dipendenza e allora…

…”nello specchio un volto segnato, invecchiato, estraneo, dalla pelle grigia desquamata con gli occhi rossi, sembro una settantenne”…
.
Il disagio psichico e la richiesta di anestetici trasformano Tove in una tossicodipendente, bugie, furti, torpore, estasi, la separazione da chi ama, dai propri figli, da se’ stessa, dalla scrittura.
Cure, ricoveri, forza di volontà, un vortice di precarietà in una sospensione apparente, l’ incubo di una ricaduta, un nuovo amore, Victor, forse per sempre, l’ adattamento alla vita per sopravvivere al flusso dell’ esistenza.

…” Ero stata salvata dalla mia annosa tossicomania ma ancora oggi si desta in me quell’antica brama, non appena mi capita di farmi fare un prelievo di sangue o di passare davanti alla vetrina di una farmacia non morirà mai del tutto, finché vivo”….

L’ ultimo capitolo della “ Trilogia di Copenaghen “ svela l’ essenza più tragica della protagonista, quella dipendenza psichica e fisica che sembra innescarsi improvvisa ma che ha origini lontane..
Fama e gloria sospese, l’ ispirazione letteraria dissolta, Tove, sopraffatta da un desiderio imprescindibile di amore e di vita, precipita in un vuoto autodistruttivo, sospensione da un reale invivibile in attesa di un quid inafferrabile.
È una dipendenza da combattere, con cui convivere, nella quale perdersi, mai del tutto sopita, un male di vivere che può segnare per sempre.
A conclusione della trilogia riconosciamo un’ anima profonda, malinconica, arguta, dotata di dolcezza e sensibilità smisurate, che sfoglia e racconta gli angoli più spigolosi e fragili della propria esistenza, di bambina, di adolescente, di donna, di scrittrice, di moglie e di mamma.
Una donna che ha desiderato intensamente il riconoscimento e la realizzazione della propria dimensione artistica in un contesto storico-socio-culturale avverso e poco amorevole riuscendovi faticosamente, che ha cercato una versione personale dell’amore per cedere a uno stato di non amore, schiava di sentimenti non ricambiati, un’ anima fragile esiliata nel proprio desiderio di normalità.
La scrittura limpida, diretta, a tratti poetica di Tove Ditlevsen coglie nel segno, l’ autrice poco ci parla della propria versione e visione letteraria, di quella musa ispiratrice che l’ha accompagnata e preservata ma, probabilmente, lo scopo dell’ opera era un altro, trasmettere se’ stessa all’ interno di una quotidianità così difficile da affrontare e da tollerare.

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