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Le rane
 
Le rane 2018-09-29 09:20:26 FrankMoles
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FrankMoles Opinione inserita da FrankMoles    29 Settembre, 2018
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Tra teatro e politica

Le Rane, portate in scena nel 405 nell'imminenza della sconfitta ateniese nella guerra del Peloponneso, sono una delle commedie più celebri e rappresentative della produzione di Aristofane.
Il dramma può considerarsi strutturalmente bipartito. La prima parte, ovvero la preparazione del viaggio con la visita ad Eracle e la discesa nell’Ade, ha una connotazione squisitamente comica: essa è infatti caratterizzata dalle dinamiche padrone-servo, dal motivo del viaggio di ricerca (che ha nobili modelli nelle discese agli inferi di Odisseo, Teseo, Orfeo, Protesilao e, ovviamente, Eracle), da travestimenti e scambi d’identità che alimentato la verve comica di Aristofane preparando il terreno alla sezione centrale della commedia.
Nella seconda parte, infatti, si svolge l’evento centrale del dramma, ovvero l’agone tra Eschilo ed Euripide: si tratta di versi per noi di fondamentale importanza nella ricostruzione della drammaturgia antica, nonché in merito alla ricezione immediata dei due tragediografi. È infatti fuor di dubbio che, nella strutturazione delle critiche che i due si rivolgono, Aristofane abbia attinto, oltre che all’aneddotica per le vicende biografiche sporadicamente evocate, a quello che era il punto di vista degli Ateniesi sui due poeti: ne sono prova la deviante interpretazione cui sono piegate tragedie eschilee come i Persiani (incentrati su motivi religiosi, ma nell’opinione pubblica divenuti un monumento poetico alla vittoria greca sul nemico barbaro), le considerazioni sulla difficoltà del linguaggio eschileo (ricco di neologismi e composti), il disprezzo per i degradati personaggi euripidei (è ben noto che Euripide non era un poeta particolarmente caro agli Ateniesi e che fu talora censurato in quanto scandaloso, come nel caso del primo Ippolito). Il commediografo, dunque, vestendo quasi i panni del critico letterario e comparando i due su contenuto e forma dei loro drammi, lascia trasparire il suo punto di vista sull’evoluzione che andava investendo la tragedia: fin dalla prima parte della commedia e poi nel corso dell’agone, appare evidente che le simpatie dell’autore sono rivolte alla solennità e nobiltà dei contenuti di Eschilo più che alla portata rivoluzionaria nei temi e nella forma di Euripide. A margine, è utile segnalare che Sofocle rimane pressoché estraneo alla vicenda per ragioni principalmente cronologiche: questi era morto, infatti, poco prima della rappresentazione delle Rane, il cui progetto era stato concepito e presentato ben prima; non potendo apportare significative variazioni alla trama in così poco tempo, ma non potendo nondimeno sorvolare sulla sua recentissima dipartita, Aristofane si limita quindi ad assegnargli un ruolo come riserva di Eschilo che rispecchia sostanzialmente il maggior tradizionalismo di un tragediografo amatissimo dagli Ateniesi, ma estraneo al divario ideologico che separa gli altri due grandi di V secolo.

Contrariamente a quanto potrebbe suggerire il focus sul tema della poesia tragica, le Rane non si riducono tuttavia ad una commedia di riflessione metaletteraria. Nelle battute dei due contendenti, ma soprattutto nelle parole degli altri personaggi e nel giudizio finale di Dioniso emerge con chiarezza il legame avvertito da Aristofane tra poesia e società. La preferenza accordata ad Eschilo, infatti, non si basa su ragioni estetiche, bensì su ragioni ideologiche: è infatti noto che quest’ultimo si facesse promotore nei suoi drammi di una religiosità tradizionale e di un’etica volta al rispetto delle istituzioni, inquadrando i personaggi delle sue tragedie nel loro contesto pubblico. Al contrario, Euripide è tacciato di essere motivo di disgregazione politica per aver portato in scena eroi degradati e donne dissolute, per aver dato dignità a tutte le categorie sociali indistintamente, per l’ampio ricorso alla retorica, sintomatico di un percepito legame col socratismo. Così facendo, egli non avrebbe portato alla rovina solo la tragedia come genere poetico, ma anche i suoi concittadini, indotti ad estraniarsi dalla compagine statale, a concentrarsi sulle loro pulsioni e sui loro interessi privati, perseguiti mediante un uso indebito dell’arte della parola come strumento di prevaricazione politica, fino a portare Atene sull’orlo del baratro. Nel 405, infatti, dopo la battaglia delle Arginuse e in piena instabilità politica, la disfatta appare ormai inevitabile e la morte a breve distanza degli ultimi due grandi tragediografi, Euripide e Sofocle, sembra siglare simbolicamente la fine della gloria ateniese.

D’altra parte, che il precipuo interesse di Aristofane sia il messaggio etico-politico, appare chiaro anche dalla parabasi, momento privilegiato di interazione autore-pubblico in commedia: essa verte sulla caduta dei valori etico-politici che avevano reso grande Atene e, a differenza del tono minaccioso che contraddistingue luoghi analoghi nelle commedie più antiche, qui la rabbia sembra cedere alla lucida rassegnazione e all’amaro disincanto. Più che un ultimo faro di speranza, il ritorno di Eschilo sulla terra sembra quindi rappresentare un’indicazione per il futuro, il punto da cui ripartire nella ricostruzione dopo una caduta che appare ormai inesorabile: persino i morti indicano, infatti, gli Ateniesi come "i morti di lassù".

Nello stesso senso si può interpretare anche la composizione del coro: gli iniziati, che richiamano i misteri eleusini, cui, tra l’altro, Eschilo era legato in quanto originario di Eleusi, nell’Ade godono di una posizione privilegiata in virtù del loro più stretto rapporto con gli dei. Ancora una volta, Aristofane manifesta così il suo conservatorismo, che si riflette nella politica, nella religiosità e nell’arte. Difatti, nel motivare la sua scelta di riportare in vita Eschilo, Dioniso mette esplicitamente in relazione l’arte e l’impegno civile: la più alta forma di poesia, quella cantata nel dibattutissimo intervento del coro secondario di rane – la cui importanza simbolica è garantita dal titolo e dalla completa superfluità nell’azione drammatica, oltre che dalla sua inusualità –, non è il virtuosismo delle forme di cui Euripide si vanta, ma l’arte eticamente e politicamente impegnata di Eschilo – nonché, verrebbe da aggiungere, dello stesso Aristofane.

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