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La vergogna
 
La vergogna 2023-04-26 04:51:24 enricocaramuscio
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enricocaramuscio Opinione inserita da enricocaramuscio    26 Aprile, 2023
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Mi farai prendere sciagura

"Era normale provare vergogna, come se si trattasse di una conseguenza insita nel mestiere dei miei genitori, nelle loro difficoltà economiche, nel loro passato da operai, nel nostro modo di essere. Nella scena di quella domenica di giugno. La vergogna era ormai il mio stile di vita. Di fatto, non la percepivo neanche più, mi era entrata sottopelle." È apparentemente una domenica come tante, il 15 giugno del 1952, nella casa-bottega di Yvetot, in Normandia. La piccola Annie è tornata a casa dalla messa domenicale portando con sé i dolci della pasticceria del quartiere commerciale e finalmente, chiusa la drogheria, la famiglia si riunisce a tavola per pranzare ascoltando una trasmissione comica alla radio. L'aria però si fa sempre più pesante, la madre è di cattivo umore e continua a dare addosso al padre, che non replica ma si scalda a sua volta, finché non si alza, fremendo convulso, soffiando rabbia, afferra la moglie e la trascina via, urlando con una voce che non è più la sua. Il primo istinto della ragazzina è di scappare in camera, rifugiarsi nel letto, nascondere la testa sotto il cuscino. Ma quel "figlia mia!" strillato da sua madre la costringe a reagire, a precipitarsi sul luogo dell'orrore urlando a squarciagola "aiuto!". Scesa in cantina, le si presenta agli occhi una scena raccapricciante, l'uomo brandisce con una mano una roncola, pronto a colpire la consorte che nel frattempo tiene prigioniera stringendole la spalla con l'altra mano, come fosse una morsa. Urla, singhiozzi, terrore, tutto si annebbia, finché i tre si ritrovano in cucina, ansimanti, piangenti, cercando di tornare normali, e Annie pronuncia una frase, rivolta a suo padre: "Mi farai prendere sciagura". Una sorta di profezia, perché davvero da quel momento in poi, per la ragazza niente sarà più come prima. La dolcezza che fino a quel momento ha pervaso la sua vita, la sensazione di positività verso il futuro, la leggerezza con cui si dilettava a cantare Mexico e Voyage à Cuba, scompaiono per sempre lasciando il posto alla vergogna. Da quel giorno, Annie sembra guardare la vita attraverso un filtro che le fa percepire tutto ciò che la circonda in maniera differente, la fa giocare, leggere, comportarsi come al solito, ma come se fosse staccata dalla realtà, come se tutto fosse artificiale, la noncuranza che fino a quel tragico evento le permetteva di vivere con leggerezza, di riuscire con facilità nello studio, diventa un'ipercoscienza che le rende tutto pesante, difficile, insormontabile. Questa nuova condizione mentale mette la ragazzina di fronte ad una presa di coscienza che si trasforma presto in vergogna. Annie si rende conto che lei e i suoi genitori non sono quello che pensava, che non appartengono alla categoria delle brave persone, "che non bevono, non alzano le mani, si vestono come si deve quando vanno in centro. Potevo pure presentarmi con un grembiule nuovo a ogni primo giorno di scuola, avere un bel messale, essere la prima in tutto e recitare regolarmente le preghiere: ormai non somigliavo più alle altre ragazzine della classe." Annie ha visto ciò che non doveva vedere, sapeva ciò che non doveva sapere, faceva ormai parte di chi per violenza, alcolismo, follia, era protagonista di quei pettegolezzi che finivano sempre con quel biasimevole "mette sempre tristezza vedere queste cose". La vergogna prende il sopravvento, si espande al di là dell'episodio, travolge la volgarità del linguaggio domestico, la sciattezza del vestire (emblematica la camicia da notte sporca di urina con cui la madre apre la porta a lei e alle sue accompagnatrici di ritorno da una gita scolastica), la condizione di ex operai, le difficoltà economiche derivanti da un'attività commerciale con l'acqua alla gola, la trivialità della clientela. La vergogna cresce, uscendo dalla cerchia famigliare, invadendo l'intero ceto sociale cui si rende conto di appartenere, diverso, inferiore, lontano da quello delle sue compagne alla scuola privata cattolica cui è iscritta ma della cui perfezione, eccellenza, non si ritiene più degna. Per Annie Ernaux non è stato facile parlare di un evento autobiografico come questo, un episodio che non è mai riuscita a mettere per iscritto, neanche sul suo piccolo diario, come se fosse impossibile farlo, come se fosse un gesto proibito che meriti una punizione, quasi che, dopo averlo raccontato ai suoi lettori, non avrebbe più potuto scrivere altro. Un gesto che invece si rivelerà, a suo dire, quasi catartico, derubricando l'accaduto a episodio banale, frequente in quasi tutte le famiglie normali. Anche il terrore che la cosa si potesse ripetere, che ha accompagnato i sentimenti della bambina per diversi anni, si è per fortuna rivelato infondato. Ma la vergogna, quell'ineluttabile compagna di vita che l'ha accompagnata per un'intera esistenza, quella rimane, quella non si può cancellare, derubricare, ignorare. "Forse tutto ciò è solo un'illusione, ma non posso mettere in dubbio quel che ho provato. Anche il ricordo è un'esperienza. (Shoehi Ooka, La Guerra del soldato Tamura)"

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Bella presentazione, Enrico.
Non ho letto questo libro. Questa autrice non è molto nelle mie corde.
Grazie Enrico per la recensione, mi piacerebbe leggerlo.
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