L'amico ritrovato L'amico ritrovato Hot

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GioPat Opinione inserita da GioPat    29 Settembre, 2021
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Entrò nella mia vita per non uscirne più

Konradin von Hohenfels è un ragazzo di famiglia nobile che si aggrega alla classe di Hans Scwarz, un ragazzo proveniente da una famiglia ebraica. Dal primo momento che i due passano insieme ha inizio una storia d’amicizia destinata a durare nel tempo, nonostante gli avvenimenti poco piacevoli del 1932, anno in cui si svolge la storia, nonché l'anno che precede l'avvento del nazionalsocialismo.

Ho apprezzato questo libro perché l’ho trovato molto leggero: la trama non è lunga e si riesce a seguire bene. I personaggi sono pochi e delineati, anche quelli che non si vedono ma di cui si parla. Inoltre emergono bene le differenze caratteriali dei due protagonisti, con i pensieri e le preoccupazioni di essere un sedicenne.

Lo stile è semplice: la storia è raccontata in prima persona da Hans e nonostante gli avvenimenti all’interno del racconto non siano molti, vengono narrati bene anche attraverso le descrizioni di paesaggi e città. I dialoghi presenti sono pochi e avvengono perlopiù tra lui e Konradin, scelta che ho apprezzato poiché in essi vi ho trovato il senso di questo libro.

Personalmente è un libro che consiglio perché lo si legge rapidamente, complice il numero esiguo di pagine, ed è inoltre un bel racconto di amicizia in crescendo tra due ragazzi di origini differenti, che raggiunge il culmine nelle ultime righe del racconto. Sono incuriosito da ciò che ha riservato l’autore nel sequel di questo libro.

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Anna_ Opinione inserita da Anna_    09 Luglio, 2021
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Non un amico qualsiasi

In una Stoccarda degli anni '30 in cui il vento del Nazismo non ha ancora cominciato a soffiare impetuoso, nasce l'amicizia tra due adolescenti sedicenni: Hans, figlio di un medico ebreo "rispettato sia dagli ebrei che dai gentili" e decorato con la Croce di Ferro, e Konradin von Hoenfels, appartenente a una ricca famiglia aristocratica che vanta un glorioso passato.

Hans - nella cui figura si ritrovano elementi autobiografici - ha "un'idea romantica di amicizia" e una prospettiva ancora incerta sul suo futuro, sicuramente meno pratica di quella che tanti suoi compagni di classe hanno del loro avvenire; pur simpatici, in nessuno di essi riesce a scorgere quell'amico che risponde al suo bisogno di fiducia, di lealtà e di abnegazione.
Konradin con un volto fiero, un portamento elegante, una "figura che, trasudava agio e distinzione" suscita ammirazione e al tempo stesso agitazione, non soltanto in Hans.

Entrambi timidi e solitari, si scoprono uniti dalla comune passione per le monete, per i libri e la poesia, per l'arte e il teatro, discutono di religione, di Dio e di ragazze.
Ma "l'occhio del tifone" non è così lontano, così esterno al loro "cerchio magico".

Tanti favorevoli giudizi di critica e di pubblico ne hanno fatto un piccolo grande classico da leggere senza esitazione.
Aspettarsi che il libro (di cui conoscevo il successo ma che non avevo ancora letto) restituisca, per il suo particolare contesto storico, in modo più compiuto e diretto una testimonianza di questa pagina nera della Storia del Novecento può in qualche modo 'guastare' la lettura.
In realtà, "questo smilzo volumetto" è da apprezzarsi in quanto, prima di tutto, storia di un'amicizia - narrata a distanza di anni dallo stesso Hans - nella quale si ritrova ciò che in ogni tempo, pur con sfumature diverse, contraddistingue quelle tipiche dell'età adolescenziale.

C'è, prima di ogni cosa, il bisogno stesso di amicizia - e per Hans non di un amico qualsiasi (ma lo stesso è per Konradin che lo confermerà poi anche in "Un'anima non vile", secondo libro della "Trilogia del ritorno" di Uhlman: "cercavo così disperatamente l'amicizia", "tutto quello che volevo era abbattere ogni barriera sociale che ci separava").
Ci sono poi l'ammirazione e il senso di inferiorità ("Cosa potevo mai offrire io, che ero figlio di un medico ebreo... a quel ragazzo dai capelli d'oro il cui solo nome bastava a riempirmi di tanta rispettosa ammirazione?"); l'affetto e la rabbia ("ora scoprivo con ripugnanza che, a causa di Konradin, mi comportavo come un piccolo snob idiota", "Per la seconda volta in meno di un'ora provai un sentimento di odio nei confronti del mio innocente amico"); il voler essere accettato ma non umiliato ("preferisco la solitudine alle umiliazioni. Valgo quanto tutti gli Hoenfels del mondo."); i pregiudizi ("E mia madre non solo detesta gli ebrei, ma li teme... Se stesse per morire e non ci fosse nessuno, tranne tuo padre, in grado di salvarla, dubito che si deciderebbe a chiamarlo."); la delusione, la vulnerabilità, la nostalgia, un amaro 'ritorno'.

E, in questo caso, sullo sfondo - ma non così tanto - lei, la Storia, che Uhlman ci consegna qui non attraverso i 'fatti grandi' bensì attraverso gli occhi di Hans e Konradin e delle rispettive famiglie, in un misto e in una contrapposizione tra forte attaccamento alla patria, lingua e cultura tedesca ("Eravamo prima di tutto svevi, poi tedeschi e infine ebrei"), un'impotente rassegnazione ("Il lungo e crudele processo che mi avrebbe portato a perdere le mie radici era iniziato e già le luci che avevano guidato il mio cammino si stavano affievolendo"), atavici pregiudizi e ingenua fiducia in un'ideologia.

Da leggere anche "Un'anima non vile", in cui Uhlman, a completamento della narrazione, ci restituisce sì la stessa storia ma stavolta la affida alla voce di un Konradin von Hoenfels anch'egli ormai adulto e prossimo a quell'epilogo, inaspettato, con cui lo si ritrova nelle ultime pagine del racconto di Hans.

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martaquick Opinione inserita da martaquick    02 Mag, 2021
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BREVE MA INTENSO

Quando scrittori e lettori descrivono questo romanzo come capolavoro minore, fanno bene a specificare che minore è attribuito solo per la brevità del libro.
Eh si, perché di minore da altri punti di vista non è.
Ho letto L’Amico ritrovato in poco più di qualche ora ma, seppur siano poco meno di cento pagine, mi ha letteralmente lasciato con qualcosa dentro.
Vale la pena leggere questo piccolo romanzo solo per il tema toccato, l’olocausto, un argomento che mi ha sempre attirato anche se con timore, ma anche per i sentimenti di amicizia, amore per la patria, innocenza giovanile, tutto questo comprare nelle poche pagine di Uhlman.
Ma più di tutto, la conclusione è quella che ti rimane, io l’ho trovata davvero toccante.

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mariaangela Opinione inserita da mariaangela    10 Giugno, 2020
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“Ora ero risvegliato alla vita.”

“Entrò nella mia vita nel febbraio del 1932 per non uscirne più.”
“…fonte della mia più grande felicità e della mia più totale disperazione.”
Mi sembra di sentirlo il tono elegante e rispettoso mentre pronuncia il suo nome…”Konradin, conte di Hohenfels, nato a Burg Hohenfels”…

Siamo a Stoccarda, Germania, inizi degli anni 30 e quella tra Hans Schwarz, ragazzo ebreo di famiglia borghese e Konradin, di famiglia aristocratica, è più di una amicizia e di un comune amore per la letteratura e l’arte.

Gli eventi ci vengono raccontati direttamente da Hans in prima persona.

Quando si incontrano per la prima volta hanno sedici anni.
“Studiavo il suo volto fiero e sono certo che nessun innamorato guardò mai Elena di Troia con altrettanta intensità…”.
Konradin risponde all’idea romantica e anche ideale che Schwarz ha dell’amicizia, come nessuno aveva fatto mai, e realizza che per lui e solo per lui, avrebbe potuto dare la vita.

L’amore non conosce età né religione né sesso né scopo e niente potrebbe essere più vero; chi pensa che siano frasi di una banale ovvietà dovrebbe leggere questa lunga novella, lasciare andare le proprie certezze e paure. E percepirà la felicità negli attimi, il profumo della primavera, la poesia dello sbocciare dei fiori e i loro colori e l’entusiasmo per l’attesa delle passeggiate che verranno, e sapere che anche domattina i due amici si attenderanno reciprocamente.

Amicizia che con l’andar degli anni verrà ripetutamente messa alla prova. Toccherà a Konradin quando andrà per la prima volta a casa dell’amico e conoscerà i genitori di lui. Il padre di Hans, medico ebreo, fortemente tedesco nell’animo, ha combattuto nella guerra con onore, e ritrovandosi in casa Konradin si comporterà in modo da sorprendere e umiliare Hans; quest’ultimo ripenserà alla figura di quel padre, di cui ha tuttavia tanta stima e affetto arrivando a provare un irresistibile senso di avversione nei confronti di quell’amico capace di far nascere in lui sentimenti così contrastanti. Eppure Konradin supera per entrambi l’umiliante momento, ponendo la sua attenzione unicamente ai libri e dando così il tempo ad Hans di liberarsi in lacrime e un sorriso. E’ un attimo nel racconto degli eventi a cui spesso sono tornata con la mente, di una dolcezza e sensibilità difficile da tradurre in parole, eppure l’autore ci riesce, e lo fa con poche frasi che si trasformano in struggenti immagini in me che leggo….l’amicizia… travalica l’amore puro.

Hans e i suoi dubbi… il sentirsi non completamente accettato, forse indesiderato, è una dolorosa sensazione sempre viva; trova conferma in quell’invito tanto anelato a casa dell’amico, che quando finalmente arriverà sarà sempre, inspiegabilmente, in assenza dei genitori di quest’ultimo.

Avanza il nazional-socialismo e precipitano gli eventi e anche l’amicizia.

La perfetta intesa appare un puzzle smembrato.
Delusione, sconcerto, rabbia. Grande dolore.
E quell’assurda ammirazione nei confronti di Adolf Hitler…

Sarò stata l’unica al mondo a non sapere cosa ha riservato la sorte ai nostri amici e dunque ho tanta pena, mi fermo indecisa e stupita e Uhlman mi fa scoppiare il cuore e mi libera, proprio quando penso di non aver capito nulla… mi lascia commossa e indifesa, ancora e ancora e ancora e sempre, dopo diciassette lunghi anni.

Buone prossime letture.

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cristiano75 Opinione inserita da cristiano75    30 Ottobre, 2019
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T'ho fregato!!!

La fine del racconto sembra proprio dire questo: "t'ho fregato, amico mio"
Se c'è un racconto classista, questo è il più eclatante.
I ricchi sono cattivi e intolleranti. Gli umili buoni e altruisti.
E' sempre difficile riuscire a dare un giudizio su un libro, che si professa storico e tratta il tema dell'Olocausto.
In questo breve romanzo si incontrano e scontrano due mondi diametralmente opposti.
Da una parte un giovane ebreo che deve fare i conti con l'inizio dell'onda antisemita, dall'altra un solitario figlio di sangue blu che ha una famiglia simpatizzante per baffetto.
In mezzo a questo casino, si dirama l'inizio della fine della Germania nazista.
Il testo è gradevole, qua e la ripetitivo, con un velato sentimento di angoscia e di rassegnazione che pervade gran parte della narrazione.
Il finale è la parte più interessante, frizzante e per certi versi inattesa di tutto il racconto.
Solitamente i libri che trattano il secondo conflitto mondiale, sono dei polpettoni indigeribili, questo testo invece scorre via leggero e velocemente, mantenendo sempre un tono abbastanza gaio in relazione al tema trattato, forse perchè il vero conflitto non è ancora scoppiato quando i due giovincelli si conoscono e per certi versi sembrano anche essere attratti l'un con l'altro....nel loro rapporto infatti si supera un po quel sottile limite che divide un amicizia da un qualcosa di più affettuoso e intimo. Poi parliamo di un secolo fa, quindi certe cose era meglio celarle oppure magari etichettarle come "amicizia".

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Martina248 Opinione inserita da Martina248    01 Gennaio, 2019
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Lode all'amicizia e non solo

Era tempo che non mi capitava eppure mi sono ritrovata a piangere come una disperata leggendo questo libretto carico di verità e di durezza velata, raccontato con una finezza estrema.
Amicizia, Storia e ingiustizia si intersecano. Un ciclone invade senza che se ne possano accorgere un'amicizia pura, sincera, limpida. La storia universale e umana, per non dire disumana, schiaccia la storia personale di due ragazzi così intrinsecamente uguali e così esteriormente diversi.
Un libro che racconta la storia vista non da lontano, come grandi avvenimenti definiti e determinati, ma da vicino, dagli occhi delle persone che hanno visto la loro vita ribaltata da un giorno all'altro, dagli occhi di chi non poteva nemmeno immaginare la crudeltà e la spietatezza del genere umano. Un libro che fa nascere la paura oggi, perchè la storia ricorda come l'uomo sbagli sempre e non impari mai dai suoi errori. Un libro che racconta quanto l'uomo sia cieco, perché il ciclone, che ci sembra tanto lontano, che ha travolto Konradin e Hans potrebbe colpire noi, oggi, sotto altre mille forme.
E se, per il suo tono tenue in contrasto con l'immensa tragedia del '900, "L'amico ritrovato" non passerà alla storia per il suo sfondo storico sarà sicuramente ricordato come la più vera e sincera storia d'amicia: di un'amicizia alta e degna, orgogliosa e sincera ma soprattutto che sa darsi in tutto e per tutto perché la vera amicizia è pronta a dare ogni cosa:
"Sono convinto che non si trattasse di un'esagerazione e che non solo sarei stato pronto a morire per un amico, ma l'avrei fatto quasi con gioia".

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viducoli Opinione inserita da viducoli    26 Agosto, 2018
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Un’opera minore che non ci aiuta a capire

'L’amico ritrovato' è senza dubbio l’opera più celebre di Fred Uhlman, autore tedesco naturalizzato britannico, sorta di scrittore dilettante (la sua professione principale essendo quella di avvocato) attivo nella seconda metà del secolo scorso.
Nato nel 1901 a Stoccarda in una agiata famiglia della borghesia ebraica, Uhlman lasciò la Germania pochi mesi dopo l’avvento al potere del nazismo, approdando dopo varie peripezie a Londra nel 1938, dove tra l’altro fondò una associazione culturale tedesca di cui fecero parte tra gli altri anche Oskar Kokoschka e Stefan Zweig, associazione da cui si discostò quando assunse connotati comunisti. Fu anche un apprezzato pittore e grande collezionista di arte africana. L’amico ritrovato uscì nel 1971, divenendo negli anni un piccolo classico della narrativa inerente il nazismo: è un breve romanzo, o meglio una lunga novella, primo capitolo della 'Trilogia del ritorno', comprendente anche 'Un’anima non vile' e 'Niente resurrezioni, per favor'e.
Va subito detto che il mio giudizio critico sull’opera è forse monco, perché essa andrebbe probabilmente letta e valutata insieme al secondo capitolo della trilogia, che narra le stesse vicende viste con gli occhi del secondo protagonista, Konradin von Hohenfels.
La novella narra dell’amicizia tra due ragazzi sedicenni nella Stoccarda del 1932: Hans Schwarz, figlio di un medico ebreo, e appunto Konradin von Hohenfels, giovane rampollo di una delle più nobili ed antiche famiglie tedesche. Hans, dietro il quale è facile scoprire l’autore, narra in prima persona della sua amicizia giovanile con Konradin, quando negli anni ‘60 ormai da decenni vive a New York essendo diventato un affermato avvocato.
Nel febbraio del 1932 Konradin entra nella classe del liceo frequentato da Hans. Entrambi i ragazzi sono timidi e non legano con gli altri compagni di classe, troppo rozzi o troppo affettati per suscitare il loro interesse. Hans è affascinato da ciò che Konradin rappresenta, dalla storia quasi millenaria della sua famiglia, e cerca di attirare in vari modi la sua attenzione: finalmente un giorno fanno insieme la strada verso casa e diventano amici, scoprendo di condividere la passione per il collezionismo di monete e reperti antichi. Per alcuni mesi i due ragazzi si limitano a vedersi a scuola, poi un giorno Hans invita Konradin a casa sua: mentre la madre di Hans accoglie l’amico del figlio con una spontanea tenerezza materna, il padre, veterano e decorato della prima guerra mondiale, si rende ridicolo trattando Konradin con un inopportuno cameratismo militaresco da cui traspare un evidente senso di inferiorità sociale e gerarchica nei confronti del rampollo della famiglia illustre.
Intanto sulla Germania si fanno sempre più cupe le nubi politiche, anche se a Stoccarda, vivace capitale del ricco e culturalmente avanzato Württemberg, la vita scorre apparentemente tranquilla e delle prevaricazioni naziste giungono solo echi attutiti. Anche nella famiglia di Hans sono convinti che il nazionalsocialismo rappresenti una malattia passeggera, e che il popolo di Schelling, Hölderlin, Hegel e Beethoven non possa cadere preda della barbarie nazista: Hans si sente ”prima svevo, poi tedesco e infine ebreo”, la sua famiglia è di fatto agnostica e come detto il padre ha combattuto valorosamente per la sua patria, senza mai sentire la sua origine ebraica come elemento di differenziazione sociale, tanto da disprezzare il movimento sionista.
Hans però nota che Konradin per lungo tempo non ricambia l’invito ad andare a casa sua, salutando sempre l’amico sulla soglia dell’arcigno palazzo Hohenfels; quando infine viene invitato dall’amico a entrarvi i genitori di Konradin sono assenti, e così pure le volte successive.
In quello che si può considerare il capitolo centrale della novella, Hans si reca a teatro con i suoi genitori, dove scorge Konradin con la famiglia, oggetto dell’attenzione generale: nel foyer Konradin, che sfila accanto ai genitori per salutare regalmente gli astanti, ignora Hans. Nella drammatica spiegazione tra i due che segue, Konradin confessa che sua madre, di origini polacche, odia gli ebrei, e che anche suo padre non vede di buon occhio la sua amicizia con Hans.
Gli eventi intanto precipitano: nel liceo arriva un professore antisemita, ed anche molti compagni iniziano a tormentare Hans in quanto ebreo. I genitori di Hans, ormai consci della gravità della situazione, ritirano il figlio dal liceo e nel gennaio del 1933 Hans parte per New York, dove potrà studiare e vivere presso alcuni parenti. Prima di partire riceve una lettera nella quale Konradin gli dice di aver aderito al nazismo come argine al comunismo, minimizzando ciò che sta accadendo agli ebrei.
Molti anni dopo Hans, ormai affermato professionista che ha fatto di tutto per dimenticare il suo passato, riceve a New York una richiesta di donazione da parte del suo vecchio liceo per l’erezione di un monumento funebre agli allievi morti in guerra, accompagnata dalla lista dei caduti. Dopo avere represso il primo istinto di gettare subito tutto nel cestino, Hans inizia a scorrere la lista, scoprendo che moltissimi suoi compagni di classe, compresi i nazisti della prima ora, sono morti: non ha però il coraggio di leggere cosa ne sia stato di Konradin, il cui tradimento gli fa ancora molto male al cuore. Finalmente l’occhio si posa sulla lettera H… e qui lascio al lettore di scoprire come termina la novella.
Nella sua brevissima introduzione all’edizione londinese del 1977, quella che decretò il successo internazionale de L’amico ritrovato, Arthur Koestler – scrittore e giornalista ungherese naturalizzato britannico dalla parabola umana e politica simile, benché molto più drammatica, a quella di Uhlman – definisce la novella dell’amico un capolavoro minore, specificando che l’aggettivo ”si riferisce alle dimensioni ridotte dell’opera”. Personalmente credo che l’aggettivo minore debba essere invece esteso al giudizio complessivo che si può dare della novella di Uhlman, sia per quanto concerne il suo contenuto sia per ciò che riguarda gli aspetti formali.
Ho ritrovato infatti in questa novella tutti i difetti che avevo riscontrato negli scritti di un altro scrittore tedesco di origini ebraiche costretto a fare drammaticamente i conti con il nazismo: Stefan Zweig - che peraltro come accennato Uhlman frequentò nei suoi primi anni londinesi - difetti aggravati da almeno due elementi: dal fatto che L’amico ritrovato sia stato scritto nel secondo dopoguerra, quando la riflessione sul nazismo, anche in ambito strettamente letterario, aveva già fornito prove di ben altro spessore, e dallo stile di scrittura di Uhlman, ancora più dimesso e piano (per non dire convenzionale) di quello del già moderato Zweig.
Al fondo della novella di Uhlman c’è infatti a mio avviso, analogamente a quanto accade in molte delle opere di Zweig, un’operazione di nostalgia per il mondo di ieri che si può comprendere solo tenendo presente il milieu sociale cui Uhlman/Hans apparteneva; vi ho scorto inoltre una sottile opera di rimozione delle cause del nazismo, che finisce per limitare fortemente la valenza complessiva dell’opera. Molte pagine sono spese per descrivere la dolcezza del territorio svevo, la vivacità culturale della Stoccarda dei primi anni ‘30, la dolce vita che vi si conduceva, fatta di teatri, musei e trattorie sulle colline di cui Uhlman ci descrive con puntiglio le specialità gastronomiche. Se da un punto di vista umano, considerato sia l’esilio cui l’autore fu costretto sia il fatto che quella Stoccarda fu di fatto rasa al suolo dalla guerra, la nostalgia che gronda dai primi capitoli del libro è comprensibile, non altrettanto si può dire riguardo alla sua oggettività. È infatti una nostalgia che tende a farci apparire Stoccarda e la Svevia come una sorta di isola felice in una Germania nella realtà attraversata da un drammatico scontro sociale e politico, iniziato con la sconfitta nella prima guerra mondiale, con le tremende condizioni di pace imposte dai vincitori e proseguito con la grande inflazione e quindi con i tragici effetti della crisi del ‘29, la disoccupazione di massa e le politiche di austerità del cancelliere Brüning. Di tutto questo non c’è traccia nel mondo ovattato di Hans, se non l’apparizione improvvisa di muri deturpati tanto dalle svastiche quanto dalla falce e martello, sorta di esposizione di una teoria degli opposti estremismi che non ci fa fare alcun passo in avanti nella comprensione di ciò che stava accadendo e che costituisce, come vedremo, a mio avviso una delle tesi di fondo dell’opera. Il nazismo è una malattia, che per di più viene da fuori, dalla Prussia, come emblematicamente rappresentato dal prussiano Herr Pompetzki, il nuovo professore di storia antisemita: da sottolineare che qui tra l’altro Uhlman compie (anche se non so dire quanto consapevolmente) una vera e propria operazione di rimozione, visto che la culla del nazismo non sono stati i freddi e lontani lidi baltici, ma la Baviera, assai più vicina geograficamente e culturalmente prossima al Württemberg.
Konradin von Hohenfels rappresenta, per Uhlman, il distillato di una storia millenaria fatta di gloria e di coraggio, che ci viene descritta analiticamente in uno dei primi capitoli, e che si affianca alla grande tradizione culturale tedesca, anch’essa oggetto di culto da parte del giovane Hans (per la verità accanto alla grande cultura europea). Anche rispetto agli Hohenfels e al loro retaggio storico il nazismo, di cui la novella coglie gli aspetti aberranti esclusivamente in relazione all’antisemitismo, è un fattore esterno: la prima nazista della famiglia è infatti emblematicamente la madre di Konradin, polacca, mentre il padre è più indifferente alla questione, e tradizionalmente solo preoccupato di mantenere alto il buon nome familiare. Quando poi Konradin scrive la lettera con la quale comunica ad Hans di essere diventato nazista si giustifica con la necessità di fermare il comunismo, e significativamente, a mio modo di vedere, Hans non commenta in alcun modo questa scelta, conferendole una sorta di legittimazione che ritroveremo nel finale. Traspare infatti, nei pochi passi esplicitamente politici della novella, una sostanziale equiparazione tra nazismo e comunismo, ad esempio quando Hans ricorda che la madre ”aveva troppo da fare per preoccuparsi dei nazisti, dei comunisti o di altra gente di quella risma”, locuzione che di fatto equipara i due opposti schieramenti.
In sostanza, ci dice Uhlman, esisteva una Germania colta e tollerante, della quale gli ebrei erano da secoli parte integrante, e di cui la Svevia era la punta di diamante. All’improvviso, non si sa bene perché, questa Germania felix fu infettata dai virus del nazismo e del comunismo, entrambi distruttivi seppure contrapposti, ed in qualche modo la società, anche nella sua parte più nobile, si trovò costretta a scegliere tra due mali assoluti, spesso senza rendersi conto del vero volto del nazismo, scoperto quando ormai sarà troppo tardi, come dimostra la vicenda di Konradin. Sappiamo invece come le cose siano andate in modo sostanzialmente diverso, e come le classi dominanti tedesche non si siano trovate a scegliere, ma abbiano attivamente sostenuto il nazismo come strumento per il superamento a destra della crisi e di annientamento del movimento operaio ai fini della conservazione dello status-quo economico, analogamente a quanto avvenuto in Italia una decina di anni prima.
Non sorprende quindi a conti fatti l’unanime entusiasmo con cui 'L’amico ritrovato' è stato accolto in occidente, entusiasmo del quale la quarta di copertina dell’edizione Feltrinelli da me letta dà conto citando fonti come il New Yorker, il Financial Times o Le Monde, ovvero il clou della stampa internazionale ufficiale, liberal o conservatrice: 'L’amico ritrovato' è infatti l’opera perfetta per acquietare le nostre coscienze borghesi, che ci permette di esecrare il nazismo senza fare davvero i conti con le vere cause della sua ascesa, cui non furono affatto estranee le classi dirigenti che più tardi, ma solo molto più tardi, gli si scagliarono contro per distruggerlo; anzi, va sottilmente più in là, ammiccando quasi ad una sua giustificazione di fondo, almeno iniziale, in funzione anticomunista, esattamente quella che sposarono quelle stesse classi dirigenti.
Resta da dire che anche dal punto di vista formale 'L’amico ritrovato' è un’opera minore: lo stile di scrittura di Uhlman è infatti come detto piatto e convenzionale e, a mio avviso, non riesce a trasmetterci appieno né l’atmosfera della Stoccarda anteguerra né le vere emozioni dei protagonisti, perdendosi a volte in descrizioni verbose (gli antenati di Konradin, le specialità culinarie di Stoccarda, gli oggetti delle collezioni dei due ragazzi): se da un lato la scrittura di Uhlman facilita la lettura (non per nulla Le Monde lo consiglia dai dodici anni in su) dall’altro è l’espressione formale della sensazione di superficialità che mi ha lasciato questa novella, tipica rappresentante di una buona parte della letteratura mainstream del secondo dopoguerra.

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La Lettrice Raffinata Opinione inserita da La Lettrice Raffinata    09 Luglio, 2018
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Ricordo dolceamaro

Ho più volte sentito definire questa novella come una lettura imprescindibile per il genere dei romanzi storici basati sul periodo della Seconda Guerra Mondiale, e più nel dettaglio dell’Olocausto. Terminata la lettura, posso finalmente dirmi pienamente d’accordo - ora con cognizione di causa.
Pur non brillando particolarmente per lessico o stile, questo volume è senza dubbio una delle maggiori e più forti testimonianze della Storia, e al contempo il racconto di un’amicizia tanto salda da sfidare le convenzioni sociali e lo stesso destino.
A qualcuno sembrerà stonato l’accenno alla testimonianza in un romanzo, ma è sufficiente leggere l’interessante introduzione a cura di Arthur Koestler per intuire più di qualche accenno autobiografico nell’opera di Uhlman.
La novella si concentra principalmente sulla Svevia dei primi anni ’30; in particolare, la storia inizia in un liceo dove Hans, figlio di uno stimato medico ebreo, incontrerà Konradin, erede di una nobile e ricca famiglia ariana.
I due ragazzi sono entrambi solitari e riservati, ma sentiranno subito una forte connessione che li porterà in poco tempo a diventare amici inseparabili, a discapito di ogni pronostico fatto dai loro compagni e, soprattutto, della volontà della famiglia di Konradin che disprezza gli ebrei e dimostra apertamente il proprio supporto al neonato governo nazionalsocialista guidato da Adolf Hitler.
Grazie all’amicizia di Hans, Konradin inizierà a porsi delle domande sulla sua fede, sia religiosa che politica; e se pure all’apparenza si manterrà fermo nei suoi principi originari, al lettore viene concesso di scoprire fino a che punto le parole dell’amico lo abbiano segnato.
Dal canto suo, anche Hans otterrà un importante insegnamento -essere fieri della propria famiglia e non temere il giudizio degli estranei-, ma forse sarà in grado di comprenderlo appieno solo anni più tardi.
Il romanzo ripercorre poi la partenza di Hans per quello che era allora un lido sicuro per gli ebrei europei, gli Stati Uniti, per poi concludersi con il ricongiungimento all’amico, promesso nel titolo.
Data la brevità del libro e il suo focus diretto al rapporto tra Hans e Konradin, ai personaggi secondari viene dato ben poco spazio. Nonostante ciò, il dottor Schwarz riesce a conquistare l’attenzione e l’affetto del lettore, distinguendosi per la fiera appartenenza allo Stato tedesco; e se inizialmente pare essere miope di fronte alle violenze contro gli altri ebrei, poi dimostra la sua lungimiranza. E uno straordinario coraggio.
Tra i due protagonisti invece, ho scoperto a poco a poco di preferire Konradin: sebbene la storia segua sempre il suo POV, Hans si rivela un mero narratore, mentre Konradin gioca un ruolo ben più attivo e affronta una difficile evoluzione, sempre in modo discreto ed onesto.
Per dei protagonisti tanto positivi ed apprezzabili dal lettore, Uhlman introduce una schiera di antagonisti di prim’ordine, a cominciare dagli immancabili bulli a scuola. Ben più pericoloso il ruolo giocato dalla madre di Konradin e dal loro insegnante di storia, deciso ad inculcare nelle giovani menti dei suoi allievi gli ideali di superiorità della razza ariana.
Il volume in sé non è un vero romanzo: per la sua brevità lo si può giustamente considerare una novella, ma più nel dettaglio è una serie di ricordi che il narratore ormai adulto ripercorre con la memoria. Questo si evidenzia maggiormente per la presenza di dettagli chiari solo in alcuni episodi e per la quasi totale assenza di dialoghi.
Come già accennato, l’autore propone uno stile abbastanza semplice; è però importante notare l’attenta scelta dei colori da usare nelle descrizioni. Con questo espediente, l’Uhlman pittore riesce a palesare la propria natura d’artista.
L’elemento che più mi ha affascinato nella novella è sicuramente il ritratto vivido e reale della vita a Stoccarda negli anni ’30, ma soprattutto la speciale percezione di quel momento storico e sociale filtrata attraverso gli occhi a volte ingenui, a volte fin troppo consapevoli, di un adolescente.

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Antonella76 Opinione inserita da Antonella76    28 Gennaio, 2017
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Piccolo e immenso



Sono tante le parole che possono essere usate per parlare della pagina più buia e triste della storia dell'umanità, eppure io ne ho davvero pochissime...
Lascio volentieri la parola ai libri.
Libri come questo, piccolissimi nell'aspetto, immensi nel contenuto.
Ogni volta penso di essere pronta, di essere ormai "corazzata"...ed ogni volta mi scopro fragilissima, impreparata ed impaurita.
Questo libro, come anche "Una bambina e basta" di Lia Levi, letto pochi giorni fa, non tocca con mano l'orrore dell'olocausto, ma lo sfiora...ce ne dà una visione "periferica", non entriamo dentro i campi di sterminio, non assistiamo direttamente alla ferocia della malvagità umana nella sua più riuscita realizzazione, ma non per questo ci scombussola di meno.
L'orrore è solo più sottinteso.
Il dolore è solo apparentemente "attutito" da un racconto genuinamente adolescenziale.
Eppure in queste poche, intense pagine, basta una parola, l'ultima del libro, a capovolgere tutto, a ridare un filo di luce e di speranza nel nero di un orrore inimmaginabile.
La gioia di scoprire di non essere stati completamente traditi da chi si è amato molto si scontra con l'amara consepevolezza che tale "sentimento ritrovato" sia comunque troppo troppo...tardivo.

"Bisogna fare attenzione prima di concedere la propria fiducia a un tedesco.
Come si fa ad essere certi che l'uomo con cui si sta parlando non abbia immerso le mani nel sangue dei vostri amici o dei vostri parenti?"

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Giulia Lisa Opinione inserita da Giulia Lisa    27 Agosto, 2015
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Il gioiello di Fred Uhlman

Scrivere un romanzo sugli anni dell’olocausto potrà essere un’impresa notevole, ma condensare ciò che di più puro e commovente si possa immaginare in una smilza novella ambientata negli anni più atroci della storia umana, ha dell’impossibile.
Ebbene, Fred Uhlman ci riuscì.
Tutto ebbe inizio nella Germania degli anni trenta, a Stoccarda. Hans è un adolescente ebreo della media borghesia tedesca, piuttosto annoiato dalla solita vita e dalla solita gente. In classe non c’è nessuno che corrisponda alla sua idea romantica di amicizia, nessuno per cui dare volentieri la vita. C’era “il Caviale", un gruppetto di ragazzi dotti e simpatici fieri della propria superiorità intellettuale, gli aristocratici orgogliosi dei loro nomi e una serie interminabile di visi poco interessanti e dalle aspirazioni troppo pratiche.
Poi un giorno, senza preavviso, arrivò. Il sorriso appena accennato, lo sguardo vagamente altezzoso, i capelli dorati e quella naturale eleganza che ammutolì la classe intera. C’era qualcosa di diverso in lui, “non ricordo esattamente quando decisi che Konradin avrebbe dovuto diventare mio amico, ma non ebbi dubbi sul fatto che, prima o poi, lo sarebbe diventato.”
Ma come conquistare l’amicizia del ragazzo che, con estrema grazia, aveva già rifiutato quella del Caviale o degli aristocratici? Come far comprendere al discendente di una delle stirpi più nobili e antiche dell’intera Germania, di essere diverso da tutti gli altri e di meritare attenzione? Probabilmente si trattava di destino e infatti, neppure tre giorni dopo, sarà lo stesso Konradin ad avvicinarsi a lui e da quel momento iniziò tutto.
Sarà una di quelle rare amicizie che ogni uomo spera di ricevere dai suoi giorni, un idillio lungo una vita, ma Hans è un ragazzo ebreo e Konradin un nobile tedesco, nell’epoca in cui il mondò impazzì. Nonostante i tentativi di Konradin di nascondere più a lungo possibile la realtà, Hans scoprirà le tendenze antisemite della famiglia dell’amico. Konradin lo pregherà di non accusarlo per le colpe dei suoi genitori, per circostanze del tutto indipendenti dalla sua volontà e Hans non lo farà, ma entrambi i ragazzi lo sanno bene, sanno che la loro vita e la loro amicizia non sarà più la stessa.
Hans partirà per l’America, prima che sia troppo tardi, ma l’idea che Konradin possa aver preso parte a quegli orrori, lo tormenterà per il resto della sua vita.
La fine del romanzo, che lo consacra a vero e proprio capolavoro, svelerà ad Hans la sorte del suo amico, concedendogli, in un certo senso, di ritrovarlo.

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Vita93 Opinione inserita da Vita93    22 Giugno, 2015
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Classico senza tempo

“L’amico ritrovato”, celebre opera datata 1971 dello scrittore tedesco Fred Uhlman e appartenente alla cosiddetta “trilogia del ritorno”, è uno dei pochi romanzi che solitamente vengono fatti leggere agli studenti negli anni delle scuole medie o superiori.
Ciò è dovuto in parte alla ridotta lunghezza del testo, ma principalmente per l’importanza ed universalità dei temi che l’autore affronta in sole 92 pagine.

Hans Schwarz è un timido sedicenne di origine ebraica. Vive a Stoccarda con il padre e la madre e passa le sue giornate immerso nella lettura o alla ricerca di antiche monete greche.
Un giorno, nella stessa classe di Hans, arriva Konradin, coetaneo proveniente da un’antica e aristocratica famiglia tedesca, che colpisce i compagni per la propria eleganza ed il portamento fiero e distaccato.
Hans scopre presto che anche Konradin è un ragazzo timido come lui, e tra i due, entrambi figli unici, nasce una profonda amicizia che lega i due adolescenti in modo indissolubile. Fino a che non si diffonde, in tutta la Germania, l’ideologia nazista portata avanti da Hitler, che trova convinti seguaci proprio tra i membri della famiglia di Konradin.

Uhlman è maestro nella descrizione di Stoccarda, i cui viali, fiumi e odori si imprimono poeticamente nella mente del lettore grazie a rapidi e incisivi scorci paesaggistici che fanno da sfondo alla vicenda, narrata da Hans.
Il tema principale del romanzo, intuibile già dal titolo, è l’amicizia.
Hans ne ha una visione romantica, e quando conosce Konradin sembra risvegliarsi da un torpore causato da anni di solitudine. È un’amicizia che si muove a piccoli passi, dai primi inevitabili momenti di imbarazzo e scoperta reciproca fino agli interminabili pomeriggi passati insieme a divertirsi e a riflettere.
“L’amico ritrovato” ci ricorda quanto sia puro il valore dell’amicizia, un sentimento forte e spesso sottovalutato, ma per certi aspetti ancora più sincero ed incondizionato dell’amore.
“Entrò nella mia vita nel febbraio del 1932 per non uscirne più”.

E infine c’è la Storia, quella studiata sui libri e che non dimenticheremo mai, che mette i bastoni fra le ruote ad Hans e a Konradin, come a milioni di altre persone. Un capitolo talmente orrendo da connotarsi di assurdità.
Emblematico il pezzo in cui Hans vede, a casa di Konradin, un ritratto fortemente somigliante al volto di Hitler. Tiene la cosa per sé e ingenuamente si vergogna per aver pensato, anche solo per un istante, che l’amico e la sua famiglia potessero avere qualcosa a che fare con l’ideologia del dittatore.

Nel 1989, per la regia di Jerry Schatzberg, è stata tratta una versione cinematografica, seppur connotata da alcune differenze rispetto al libro.

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MAZZARELLA Opinione inserita da MAZZARELLA    03 Marzo, 2015
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L'amicizia

Ci sono dei legami che né il tempo né la distanza né la rabbia né il rancore possono scalfire. Uno di questi legami si chiama: Amicizia.
Nell’età dell’adolescenza la famiglia la si vede come un qualcosa distante anni luce da sé e l’amore è ancora qualcosa di irraggiungibile. All’età di 15 anni c’è solo una persona a cui si riesce a donare il proprio cuore e la propria anima: il migliore amico.
Non solo si è pronti a dare tutta la propria vita all’altra persona ma si desidera ardentemente che l’altra persona faccia altrettanto. La vita è fatta di sogni fragili soprattutto per gli adolescenti, ed il fatto di poterli condividere con un'altra persona, fortifica il proprio “io” e gli fornisce un senso di completezza.
Ecco su cosa si basa la storia di Hans e Konardin i due protagonisti di questo bellissimo libro: sulla nascita della loro amicizia sotto lo sfondo della seconda guerra mondiale. Con l’avvento del nazismo, l’odio cresceva e si diffondeva tra la gente, eppure delle anime immacolate e pure superavano anzi, ignoravano gli eventi che sovrastavano il cielo europeo. La loro amicizia aveva reso possibile che il cuore andasse oltre i pregiudizi, oltre l’odio, oltre il colore della pelle, ma soprattutto, oltre la razza.
Hans ebreo e Konardin di razza ariana non potevano essere più che diversi, eppure allo stesso tempo, più che uguali ed affiatati. All’inizio ognuno dei due aveva paura di non essere all’altezza delle aspettative dell’altro, quando in realtà, entrambi rappresentavano l’uno per l’altro la primavera per il presente, e la speranza per il futuro.
Una storia che oserei dire commovente e semplice allo stesso tempo, con un finale che fa restare letteralmente “a bocca aperta” e fa capire che l’amicizia, per quante discussioni e diversità di opinioni possa incontrare, se è vera, vive in eterno. L’amicizia di Hans e Konardin fa capire che anche nel buio infernale del nazismo, una luce di speranza mossa dalla caparbietà di cuori puri e dalla forza di volontà, porta alla vittoria del bene ed alla sconfitta del male. Soprattutto ci ricorda che, un amico non lo si perde mai: si è destinati sempre e comunque a ritrovarlo, anche se solo nel nostro cuore.

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Valerio91 Opinione inserita da Valerio91    09 Dicembre, 2014
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La densità d'un seme

Come racchiudere in poche pagine, in limitate parole, un’enorme profondità di significato? Credo che, se fosse ancora vivo, me lo farei volentieri spiegare da Fred Uhlman. Piccolo capolavoro di contenuti, “L’amico ritrovato” prende come pretesto il nazismo e l’antisemitismo per trattare svariati temi di grande profondità. Amicizia, pregiudizi e diseguaglianze razziali sullo sfondo di una Germania prenazista in tutti i suoi nascenti orrori. Sarà proprio questa Germania a ospitare l’amicizia tra Hans Schwarz, ebreo figlio di un medico, e Konradin Von Hohenfels, figlio di un conte tedesco, appartenente a una famiglia importantissima e dalle nobili origini.

Un piccolo seme può dar vita a un’enorme pianta. Un seme fu piantato da Hitler in innumerevoli cuori nella terribile prima metà del ventesimo secolo, trovando tanti terreni fertili per la crescita di una pianta malefica che ha oscurato il mondo per anni, con la sua ombra mortifera.
Un piccolo seme è quello che ha dato inizio all’amicizia tra Hans e Konradin, ragazzi così diversi sotto tanti aspetti all’occhio del cieco razzista, eppure così compatibili e legati da un affetto incommensurabile, che oltrepassa le barriere delle origini e che non conosce pregiudizi. Un amicizia indistruttibile fino a quando le infezioni morali dell’età adulta non si affacciano alla mente fanciullesca. Perché avrebbero dovuto considerarsi diversi? Cosa rendeva Hans inferiore a Konradin? I due giovani amici non ne erano a conoscenza, finché gli adulti, con la loro stupida e immotivata “saggezza” ed esperienza, non gli hanno reso nota una menzogna spacciata per solenne verità, creando divisione e dolore anche dove non ve n’è. Come se nel mondo non avessimo già abbastanza sofferenza, per cui v’era l’impellente bisogno di distruggere anche ciò che rende il mondo un posto migliore, come quell’amicizia spensierata tra quei giovani innocenti, in nome di ideali e pregiudizi senza capo né coda.
Semi maligni e semi benigni. Nonostante a prevalere siano i primi, nei cuori alberga ancora un fondo di speranza e di bontà, un terreno divino. Se il seme benigno riesce a trovare posto nella giusta parte del cuore, seppur piantato in compagnia della sua antitesi, riuscirà a prevalere. Sempre. Quel seme è lo stesso piantato da Hans nel cuore di Konradin, il seme piantato da un “piccolo” ebreo che riuscì a scalzare il seme piantato dal """"grande"""" Hitler. Sarà quel seme a farci piangere sui nostri orrori.

“Valgo quanto tutti i Von Hohenfels nel mondo. Nessuno ha il diritto di umiliarmi, te l’assicuro, re, principe o conte che sia.”

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Mancini Opinione inserita da Mancini    30 Luglio, 2014
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Un'amicizia lunga una vita

Come un quadro dipinto con poche pennellate decise e dai colori saturi, così questo racconto riesce, in poche pagine, a raggiungere la sua completezza in una storia che ci regala sensazioni che ho trovato appaganti e profonde.
E del resto l'autore, Fred Uhlman, per un periodo della sua vita si è dovuto guadagnare da vivere proprio vendendo i suoi quadri, pur non essendo un pittore di professione, ma per necessità.
E di professione, a ben vedere, non è stato nemmeno uno scrittore perché nasceva avvocato.

Ma le vicende di una vita travagliata e una condizione disagiata quale l'appartenenza ad una famiglia ebrea in terra tedesca ai tempi del nazismo sono riuscite ad imprimere a questo "avvocato" una forza tale da fargli esprimere l'essenza di una vita di sofferenze in un piccolo capolavoro che pare debba rimanere per sempre nel panorama della letteratura mondiale.

Protagonista il sedicenne Hans, appartenente ad una famiglia tedesca di origine ebrea sempre vissuta in Germania e che sente vivamente, soprattutto nella figura di suo padre, il senso di appartenenza a quella terra, alla parte nobile di quella terra, patria di "Goethe e di Schiller, di Kant e di Beethoven".
Un'amicizia che d'improvviso esplode con il coetaneo Konradin, figlio di nobili, anch'essi legati visceralmente alla loro nazione, ma a quell'altra faccia, quella "nazionalista", quella marcia che stava prepotentemente costruendo se stessa per mano di un singolo che attirava folle e plagiava menti.
Se da una parte Hans si dimostra un libro aperto agli occhi del nuovo amico aprendogli la porte di casa e presentandolo alla propria famiglia orgoglioso di quell'amicizia, Konradin si mostra sempre un po' più riservato e distante tenendo lontana la sua famiglia da Hans.
Questi inizialmente non ne comprende il motivo che invece diventa manifesto durante un evento pubblico, in un teatro, dove Hans tragicamente intuisce quella enorme distanza tra la famiglia di Konradin e la propria, specchio del contrasto storico tra nazisti ed ebrei.
E il conseguente cambiamento di atteggiamento, il distacco del fidato amico Konradin fanno da chiusura temporanea del rapporto tra i due che in realtà non si rivedranno mai più, perché figli di ideologie troppo distanti.
Ma è alla fine, nelle ultime righe del racconto che Hans, ormai adulto e stabilitosi in un altro continente, leggendo uno stralcio di una comunicazione del vecchio Liceo frequentato da ragazzo, trova il senso di quell'amicizia che trent'anni prima sembrava essere terminata per una divergenza di idee.
È qui che quell'amico da "perduto" diventa "ritrovato"!
L'amico ritrovato si legge in poco meno di un paio d'ore e rimane nel cuore, immagino, per sempre.

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Marco Caggese Opinione inserita da Marco Caggese    21 Luglio, 2013
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Emozionarsi

Una perla. Questa è la sensazione che sento nei confronti di questa novella. Uhlman, con un minimalismo ed una discrezione inizialmente quasi spiazzanti, ha finito con il porre tutte le mille domanda che continuo a farmi da quando ho la ragione riguardo alla follia nazista. A questo autore bastano poche parole, poche descrizioni essenziali per colpire allo stomaco come un maglio. Quello che mi sconvolge è la dignità con la quale sono stati affrontati drammi infiniti.
Poche parole, interminabili emozioni.

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Pia Sgarbossa Opinione inserita da Pia Sgarbossa    30 Dicembre, 2012
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E A NATALE LA LORO AMICIZIA PARVE FINIRE...

"AMICI...CI SI SCEGLIE PERCHE'..."
Questo libro, l'unico che abbia scritto, è un dono che ci ha lasciato l'autore , Fred Uhlman....e per fortuna che ce lo ha fatto!!!
Durante tutta la lettura ho continuato a pensare a quest'uomo, che io trovo speciale, per l'intelligenza, la preparazione culturale, la timidezza, l'umiltà.
Ci narra la sua esperienza personale, lui che ebreo, visse durante il periodo del nazismo.
Aveva sedici anni, quando diventò amico di un tedesco e insieme, studenti nella stessa classe, condivisero un anno di vita; vissero momenti indimenticabili, si scambiarono pensieri, si confrontarono sulle proprie passioni, su ciò che amavano di più...e ne nacque una sintonia incredibile...quella stessa intesa che era scattata sin dal primo momento che i loro occhi si sono incontrati...Cos' è che ci porta a capire che una persona sarà il nostro giusto amico?...è qualcosa difficile da spiegare a parole, ma l'autore è riuscito benissimo a farci capire come lui ha vissuto questa grandissima esperienza di vita.
Ma il loro rapporto non è un "granello di vita" rispetto a quello che sta accadendo attorno a loro...una realtà che li schiaccerà, che li porterà a dividersi...a non vedersi mai più...a compiere un atto ( che non svelo) che suggellerà per l'eternità la loro amicizia. Sarà proprio grazie a quest'atto che Uhlman troverà la forza e il coraggio di lasciarci questo gioiello di libro, per scrivere dei momenti di vita così intensi...così ...
L'autore, costretto a rifugiarsi in America, per potersi salvare, ha subito delle ferite che non riuscirà mai più a rimarginare...che lo hanno definitivamente cambiato nel suo intimo modo di essere e di porsi alla vita....Sì, riuscirà ad avere anche successo come avvocato...ma non riuscirà mai più ad avere quella serenità, di quando sedicenne aveva, con il suo modo profondo di interrogarsi sui grandi perchè della vita...Era successo qualcosa di "troppo grande e irrimediabile"...e quando succede...no, non si può più tornare indietro.
Anni fa per fare un lavoro didattico sull'amicizia, chiesi consiglio alla mia cara amica Bertilla, insegnante di lettere; lei mi consigliò tra gli altri, anche appunto "L'amico ritrovato".
Non solo ne consiglio la lettura, ma lo reputo MOLTO EDUCATIVO !
Il primo "piccolo romanzo" che trovo impeccabile...
Sarebbe bello che ognuno di noi, che abbia vissuto un'esperienza di vita, così intensa e profonda, avesse il coraggio e la capacità di lasciare in dono, con un libro, il proprio vissuto all'umanità...
UN LIBRO PER RACCONTARE ... PER RICORDARE... UN VERO ATTO D' AMORE!!!
Lo si legge tutto d'un fiato.
Un peccato perdere l'occasione di leggerlo...
Pia

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A ragazzi/e a partire da quando iniziano a farsi domande importanti sulla vita, sull'esistenza. A chi crede nel valore dell'amicizia.
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maria.luperini Opinione inserita da maria.luperini    27 Agosto, 2012
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Un libro universale

“Lei crede sul serio che i compatrioti di Goethe e di Schiller, di Kant e di Beethoven si lasceranno abbindolare da queste sciocchezze?” (pag. 48). In questa domanda, che il padre del giovane Hans rivolge a un nazista, è racchiuso tutto l’amore per la propria terra. “L’amico ritrovato” è uno di quei libri che si leggono tutto d’un fiato, e non solo per il limitato numero di pagine, soprattutto per la passionalità che l’autore mette nella vicenda, ispirata a un fatto autobiografico. Si narra dell’amicizia giovanile tra Hans, figlio d’un medico ebreo, e Konradin, l’ultimo rampollo della casata dei conti von Hohenfels, nata sui banchi di un esclusivo liceo di Stoccarda all’epoca dell’ascesa di Hitler al potere. Ma le vicende politiche e lo spettro dell’olocausto imminente rimangono sullo sfondo, laddove il centro pulsante della narrazione è nell’entusiasmo dei due giovani chiamati a uscire dalla timidezza e ad affacciarsi alla vita, nelle discussioni vibranti sulla poesia, sull’esistenza di Dio, sulla natura stessa dell’amicizia. “Non ricordo esattamente quando decisi che Konradin avrebbe dovuto diventare mio amico, ma non ebbi dubbi sul fatto che, prima o poi, lo sarebbe diventato(…) Nella mia classe non c’era nessuno che potesse rispondere all’idea romantica che avevo dell’amicizia (…) nessuno per cui avrei dato volentieri la vita” (pag. 21). E ancora: “Dall’esterno del nostro cerchio magico provenivano voci di sovvertimenti politici, ma l’occhio del tifone era lontano (…) Stoccarda continuava ad essere la città tranquilla e ragionevole di sempre” (pag. 34). Saranno gli adulti, con le loro decisioni, a ritagliare i confini di questo mondo, così che la realtà v’irrompa drammaticamente: Hans sarà mandato in America a continuare gli studi, mentre i suoi genitori rimangono a Stoccarda, rifiutandosi di lasciare quello che continuano a considerare (e che è) il loro paese; Konradin abbraccerà la fede nazista, trascinato dall’entusiasmo di sua madre. Una fede che appare addirittura ingenua, laddove scriverà all’amico: “Mi rallegro che i tuoi genitori abbiano deciso di restare. Nessuno li molesterà, naturalmente, ed essi potranno vivere e morire qui, in pace e serenità” (pag. 85). Fino a una conclusione inaspettata. Dunque, un libro sugli slanci e le innocenze dei giovani. Tutti. In contrapposizione con la durezza e l’ipocrisia degli adulti. Tutti. Un libro sui bisogni essenziali dell’animo umano, descritto in ciascuno dei personaggi con uno stile limpido e vivace, un tocco quasi pittorico (e in effetti l’autore è stato anche artista visivo), un amore trasparente e viscerale per un mondo romantico destinato a scomparire, ma che ancora non ne è consapevole. Un libro che, proprio a causa di quell’amore, offre al lettore semplicemente una storia (forse “la” storia per eccellenza), senza pregiudizi né pretese moralistiche, così che possa autonomamente cercare gl’infiniti spunti di riflessione, identificarsi con Hans e, con lui, non riuscire a staccarsi dall’indimenticabile Konradin. Un libro a suo modo universale, nonostante l’argomento trattato, l’evoluzione storica degli eventi mondiali e la vicenda stessa dell’autore ne portassero il rischio.

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orchidea79 Opinione inserita da orchidea79    15 Mag, 2012
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Un gioiello letterario

Un libro breve ma a mio avviso e a mio gusto carico di sentimenti, emozioni, paure e speranze che mi hanno emozionato ed intenerito.
L'amicizia tra Hans e Konradin è descritta dal nascere, come una simpatia ed un'affinità che si instaurano spontaneamente e che proseguono con quella delicatezza e quella "discrezione" proprie di due ragazzi dall'animo sincero...
Non nascondo che sono giunta al finale con qualche lacrimuccia; è uno di quei gioielli letterari davvero intensi e pregni di significato.

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Shady Opinione inserita da Shady    06 Marzo, 2012
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L'amico ritrovato

Le tematiche della seconda guerra mondiale e della discriminazione razziale affrontate con una grande delicatezza. Credo ( mio parere non volto a sminuire chissà quali altri grandi capolavori letterari a cui riconosco, oltretutto, grandi meriti) che per giungere dritto al cuore dei lettori non è indispensabile, sempre e comunque, la descrizione cruenta e dettagliata del dolore, che, in questo caso, ha fatto da protagonista durante il novecento. La capacità dello scrittore , secondo me, è stata proprio quella di saper raccontare una storia apparentemente "banale" dal finale pregno di significato e, decisamente, emozionante. Bello davvero, lo consiglio vivamente.

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darkala92 Opinione inserita da darkala92    27 Luglio, 2011
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Quando il mondo esterno puzza

“Non ricordo esattamente quando decisi che Konradin avrebbe dovuto diventare mio amico, ma non ebbi dubbi sul fatto che, prima o poi, lo sarebbe diventato.”

Questa sembrava essere una storia di amicizia forte, compatta, cullata tra passeggiate e amori letterari, i quali colorivano tutte le giornate di Hans e Konradin. Ma non si è rivelata però forte abbstanza. Quando un rapporto comincia ad andare oltre il possibile, oltre quel confine labile e sottile, allora là, esattamente in quel momento, il rapporto si spezza.
Come può il mondo esterno, quello degli adulti, distruggere una storia d'amore così? Con quale coraggio dividere due amici nati per affrontare la vita insieme?
Questa è una delle tante facce della medaglia nazista. Forse è il male minore, ma è pur sempre un male. Tra i banchi di scuola nasce effettivamente la vita reale di un bambino, ed è proprio tra quei banchi di scuola che Hans vive i suoi momenti più lieti e contemporaneamente quelli più tristi della sua vita.

Ormai le leggi razziali si sono diffuse a macchia d'olio, i bambini tedeschi percepiscono l'odio nei confronti degli ebrei dagli adulti, dai loro genitori, per la strada, e reputano cosa buona e giusta riversare quell'odio su Hans.



E' tempo di partire. Quando il tuo stato ti si mette contro; quando tutto ciò che amavi ti ha voltato le spalle ci sono due soluzioni: o resti e combatti o vai via e crei una nuova vita.
Nel caso di Hans, però, rimanere significava ben altro. Non si trattava di orgoglio, di coraggio, ma di vita o di morte.

Un racconto (anzi, una novella, se si segue l'introduzione di Arthur Koestler) delicato, profondo ma allo stesso momento semplice. E' proprio la semplicità che dona valore alle cose; E' stata la semplicità che ha arricchito le pagine di questo piccolo bijou. Ma si sa, le cose con più valore stanno nelle scatole più piccole.

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pinucciobello Opinione inserita da pinucciobello    20 Luglio, 2011
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Ottimo

Letto perchè era stato assegnato alla prima delle mie figlie alle scuole medie. E poi, anni dopo, alle altre due mie figlie. Un raro caso in cui la mancanza di fantasia degli insegnanti l'ho molto apprezzata. Ottimo libro da leggere, con personaggi ben delineati, con la contrapposizione ben congegneta tra due famiglie del tutte diverse tra loro e con un'amicizia "impossibile", in quel contesto, tra i due ragazzi; e forse per questo ancora più vera, profonda e duratura. Periodo molto angosciante, ma trattato con un lodevole garbo, con eleganza ma senza che mai sparisca dall'occhio del lettore la tragicità della situazione. Fino alla catarsi finale, ben articolata e decisamente apprezzabile. Si legge in meno di due ore e non ci si può concedere alcuna sosta fino all'epilogo. Consigliato a tutti, ma soprattutto ai ragazzi, ai giovani e ai meno giovani che non vogliono dimenticare.

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Lady Libro Opinione inserita da Lady Libro    11 Aprile, 2011
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Sopravvalutato

Dicono tutti che questo libro sia un capolavoro, ma non riesco capirne il perchè. Onestamente a me non è piaciuto affatto. Mi stanno a cuore i libri che parlano della Shoah, e leggendo questo libro mi aspettavo un capolavoro degno di quella immane catastrofe, e invece? Un semplice libretto da quattro soldi che non vale poi così tanto: la storia è noiosa, monotona, priva di fascino e interesse. Credevo si concentrasse di più sui campi di sterminio, sul dolore di essere deportati ed emarginati, sui sentimenti provati dagli Ebrei e così via. Invece mi ritrovo una ridicola storiella che saprebbe scrivere chiunque riguardo una semplice amicizia di due personaggi che mi sono risultati terribilmente odiosi: il biondino bello, saccente e perfettino che sa far tutto e lo sfortunato piagnone di turno che vuole essere suo amico. Dov'è la drammaticità? Dov'è il dolore provocato dallo sterminio? Dov'è la parte interessante, toccante e commovente? Proprio da nessuna parte! Ribadisco di nuovo che non capisco come questa semplice storiella d'amicizia possa aver avuto tanto successo. Non c'entra un emerito nulla con la Shoah. Sono certa che il povero Primo Levi si rivolterebbe nella tomba leggendo questo "libro".

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katia 73 Opinione inserita da katia 73    08 Aprile, 2011
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L'amico ritrovato

L’ho preso in prestito dalla biblioteca, spinta dalla curiosità che era nata leggendo le recensioni, l’ho trovato nello scaffale dei libri per ragazzi, ma credo sia molto di più che un libro per ragazzi, “l’amico ritrovato” dovremmo leggerlo tutti.
Un piccolo libro (circa 100 pagine) dai grandi contenuti che emoziona tantissimo, fa riflettere e commuove. All’inizio mi ha un po’ intristito questo desiderio di amicizia e stima che sembrava a senso unico da parte di Hans nei confronti del nuovo alunno arrivato all’improvviso Konradin, figlio di nobili tedeschi,poi però man mano che la trama si dipana tra loro nasce uno splendido rapporto, un intesa perfetta fino a quando la guerra e il razzismo verso gli ebrei bussano prepotentemente alla porta, e prima che la situazione precipiti Hans viene costretto dai genitori a partire per l’America, Konradin invece continuerà la sua vita in Germania dato che i suoi genitori sono forti sostenitori di Hitler.
La lettura è veramente scorrevole , semplice e coinvolgente , io l’ho letto in una sera, una triste pagina della nostra storia scritta in maniera molto delicata.
Sicuramente da consigliare .

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MATIK Opinione inserita da MATIK    11 Febbraio, 2011
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L'amico ritrovato.

"Le mie ferite non sono guarite e ogni volta che ripenso alla Germania, è come se venissero sfregate con del sale."
Un libro piccolo ed intensissimo nel quale ci viene raccontato da un ragazzino di sedici anni ebreo la sua amicizia nata sui banchi di scuola di un altro compagno tedesco nella Germania sull'orlo dello scoppio della seconda guerra mondiale.
Questo libro è delicato,intenso, profondo è come poesia, secondo me tutti noi lo dovremmo avere nelle nostre librerie perchè ci fa ricordare una pagina della storia mondiale che è necessario conoscere specialmente se raccontata da chi l'ha vissuta sulla propria pelle con dolore, sofferenza e tristezza.
"Per me niente aveva importanza oltre al fatto che quello era il MIO paese, la MIA patria, senza inizio nè fine, e che essere EBREO non era in fondo diverso che nascere con i capelli neri piuttosto che rossi. Eravamo prima di tutto svevi, poi tedeschi ed infine ebrei."
"Com'era inevitabile, alcuni tedeschi hanno incrociato la mia strada, brave persone che erano finite in prigione per essersi opposte a Hitler. Tuttavia, prima di STRINGERE LORO LA MANO, mi sono sempre informato sul loro passato. Bisogna fare attenzione prima di concedere la propria fiducia ad un tedesco. Come si fa ad essere certi che l'uomo con cui si sta parlando non abbia immerso le mani nel sangue dei vostri amici o dei vostri parenti?"

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faye valentine Opinione inserita da faye valentine    04 Gennaio, 2011
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Una lettura edificante

Un libriccino di poche pagine che sa regalare forti emozioni. Quando lo lessi per la prima volta ero veramente una ragazzina e mi ricordo che, appena lo finii, andai a scuola e chiesi alla professoressa come mai ci desse da leggere sempre dei mattonazzi assurdi, mentre questo piccolo capolavoro non era mai stato preso in considerazione: lei non seppe cosa rispondermi, probabilmente non l'aveva mai letto.
E' invece un libro molto importante, non solo per la testimonianza che dà di un periodo storico che dovrebbe essere sempre presente davanti ai nostri occhi per la sua crudezza e tragicità, ma anche perché è una lettura estremamente edificante e suggestiva. Lo rilessi anni dopo e fu sempre capace di provocare in me profonde emozioni. Ricordo con nostalgico affetto la commozione che mi suscitarono le ultime pagine... molto probabilmente è stato uno dei libri che mi ha portata ad amare così tanto la lettura.
Al di là del contenuto (la splendida storia di un'amicizia apparentemente impossibile, ma concretizzata nel modo più spontaneo e genuino), lo stile di Uhlman è schietto e scorrevole e ci fa assaporare il gusto dolceamaro di queste poche pagine, facendo sì che lascino un solco profondo nelle nostre menti e nei nostri cuori.

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Jan Opinione inserita da Jan    22 Novembre, 2010
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Uhlman e il genio letterario.

Sapete, è per me difficile scrivere dell'"Amico ritrovato" senza parlare del "progetto Konradin" di cui si fece artefice il grande Uhlman.
Consiglio a chi ha letto l'opera più nota della trilogia di reperire anche il seguito:"Un'anima non vile" e "Niente resurrezioni per favore".
Questa trilogia era il "progetto Konradin".
In Italia credo che Guanda abbia pubblicato l'opera in un tomo solo.
Non fermatevi a "L'amico ritrovato".
E' solo la prima parte della storia.

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In generale tutta la Letteratura Ebraica del Galut.
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Stefp Opinione inserita da Stefp    22 Novembre, 2010
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L'amico ritrovato

E' quasi imbarazzante scrivere, dare un opinione di un libro come “L'amico ritrovato”; praticamente impossibile rendere merito ad un racconto così suggestivo in poche righe. Un capolavoro, piccolo capolavoro, piccolo nel senso che sono meno di 100 pagine. Pagine pacate, che descrivono la vita grigia, anonima di uno studente liceale, a Stoccarda, nel periodo nazista, prima della guerra. Vita che improvvisamente si anima con l'amicizia, un'amicizia vera, forte, di quelle che legano due anime per sempre. Un'amicizia con la persona sbagliata; ebreo Hans Schwarz/Uhlman, nobile, “ariano” e, più tardi, nazista, Konradin, il suo amico.
Il nazismo entrerà sempre più nel gorgo dell'orrore, il rapporto con il suo amico Konradin si incrina per via dell'antisemitismo dei suoi nobili genitori, la vita per Hans e i suoi famigliari si fa dura e i suoi genitori lo mandano da uno zio, negli Stati Uniti nell'attesa che le cose cambino. Trent'anni più tardi, Hans, ormai vive stabilmente a New York e grazie ad una richiesta di fondi del suo ex liceo tedesco …..ritroverà un amico.
Fred Uhlman ci disegna un protagonista, ebreo tedesco, che ama la Germania, la sua cultura, la sua natura, si sente fortemente tedesco così come, dopo la guerra, la odierà svisceratamente al punto di non voler più parlare tedesco. Allo stesso modo adora il suo amico Konradin e l'amicizia magica che ha con lui come poi non ne vorrà più sentir parlare fino a che....
Lo scrittore rende perfettamente l'idea di quanto possa essere forte un sentimento d'amicizia, forse più dell'amore, al punto di non essere mai morto, nonostante tutto, e come la brace sotto la cenere, con un soffio, pronta a restituire la fiamma.
Un racconto fine, suggestivo, denso, commovente che, dai dieci anni in su, tutti dovrebbero leggere.

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