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Sul mio corpo
 
Sul mio corpo 2012-10-22 17:23:50 antonelladimartino
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antonelladimartino Opinione inserita da antonelladimartino    22 Ottobre, 2012
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Un esercizio di riflessione costante

Il saggio di Elsa Mescoli, che ci porta nel cuore dell’esistenza quotidiana delle donne di Luxor, ha il pregio di analizzare con cura i diversi aspetti di un ambiente molto complesso. La pratica su cui l’autrice si impegna a indagare e riflettere riguarda una pratica molto delicata e controversa, strettamente legata a quel contesto: la “circoncisione femminile”.

Il relativismo culturale è una teoria antropologica con cui non è facile confrontarsi: parente non troppo stretto del relativismo filosofico, è un “ismo” ad alto rischio di fraintendimento. Per esempio, alcune interpretazioni “estreme” del relativismo culturale possono portare a posizioni simili al dogmatismo: la stabilità della struttura sociale acquisisce un valore pari a quello del dogma, che annienta qualsiasi possibilità di confutazione. Altre volte l’intento di sottrarsi all’etnocentrismo può portare, paradossalmente, a esprimere giudizi e paragoni discutibili proprio sulla cultura di appartenenza dell’osservatore. In questo saggio, le intenzioni di osservare “attraverso uno sguardo quanto più possibile scevro di giudizi precostituiti”, mi nel complesso mantenute, ma non completamente.

Il primo punto che mi sembra contraddittorio riguarda il titolo: la scelta della definizione “circoncisione femminile” mi sembra appropriata allo scopo del lavoro di ricerca (calarsi in un contesto sociale diverso dal nostro), ma non credo, che il termine “mutilazione” contenga, come sostiene l’autrice, “la denuncia delle pratiche in questione”. L’espressione descrive da un punto di vista scientifico il tipo di operazione eseguita: anche se nel contesto non viene considerata tale, rimane una mutilazione. Ricordiamo che la mutilazione a volte può costituire un intervento necessario per salvaguardare la salute: per quale motivo dovrebbe contenere una denuncia? Certo, nel contesto in cui è praticata è definita positivamente differentemente, ma il dato oggettivo rimane: il corpo viene privato di una sua parte. Anche se le capacità di compensazione del corpo umano sono notevoli; anche se forse si dovrebbero studiare più a fondo le conseguenze sulla sessualità femminile; anche se, considerando il contesto in cui viene eseguita, non si può giudicare negativamente chi pratica la circoncisione; la natura dell’intervento rimane sempre la stessa. Inoltre, mi sembra doveroso sottolineare che la formula più invasiva di questa pratica, la circoncisione faraonica, implica un altissimo livello di rischio ed effetti negativi duraturi nella salute della donna, effetti che durano l’intera vita.

L’autrice mi sembra giudicare in modo poco obiettivo la scienza medica. Concordo con lei che a volte “i corpi subiscono una depersonalizzazione”, ma soltanto quando la scienza medica diventa paternalistica. Purtroppo, non si può negare che questo succeda spesso. Nella nostra società sono stati frequenti, e lo sono ancora attualmente, i casi in cui la pratica medica diventa uno strumento ideologico o di oppressione sociale: a parte i casi citati dall’autrice, si può ricordare per esempio l’abuso della lobotomia e dell’elettroshock in campo psichiatrico. Anche nel nostro presente e nel nostro paese i cattivi esempi non mancano; pensiamo ai casi di accanimento terapeutico sui pazienti terminali più sfortunati, che non possono beneficiare della “libertà di cura” prevista dalla Costituzione.

Un altro punto che trovo impreciso è il passo in cui l’autrice si oppone alla critica della circoncisione praticata sulle bambine: “La decisione riguardo all’operazione è sicuramente presa da altri sul corpo della bambina, ma questi altri sono i suoi familiari, e in misura maggiore spesso la madre, che stabilisce quali siano per la figlia (che venga circoncisa o meno) i requisiti fondamentali alla sua futura realizzazione come donna”. Anche in questo caso non è possibile giudicare dall’esterno la madre e le sue decisione. Non metto nemmeno in dubbio che, come suggerisce altrove l’autrice, in alcune situazioni il danno fisico causato dalla circoncisione rappresenti un male minore rispetto all’ostracismo sociale che la bambina subirebbe. Ma il fatto che la bambina non abbia possibilità di scelta non mi sembra irrilevante, soprattutto se lo paragoniamo alla chirurgia estetica come fa l’autrice: la scelta è fatta per conformarsi “ai modelli estetici creati dal contesto sociale”, ma rimane comunque una scelta (che secondo la legge del “consenso informato”, dovrebbe essere fatta anche in piena consapevolezza dei rischi e delle conseguenze).

Il caso della circoncisione femminile ricorda molto da vicino quello dei “loti d’oro”, la deformazione dei piedi praticata nella Cina prima del comunismo.
Anche in questo caso, la pratica veniva considerata necessaria per “abbellire il corpo femminile”.
Anche in questo caso, le madri praticavano la legatura dei piedi (molto dolorosa) a fin di bene, per consentire alla figlia un buon matrimonio.
Anche in questo caso, molte donne erano fiere dei loro piedi piccoli, li consideravano belli condividendo le aspettative sociali dell’epoca.
In questo caso (a differenza del contesto “in evoluzione” analizzato dell’autrice), però, non c’era alcuna possibilità di scelta da parte della madre: la pratica evitava un male maggiore, anche se menomava la capacità di camminare e poteva provocare morte, gravissime infezioni e altri pesantissimi “danni collaterali “.

La presenza di punti che stimolano la discussione rappresenta a mio parere uno dei pregi più significativi di questo ottimo saggio, ricco di descrizioni e osservazioni interessanti. In particolare, mi sembra incisiva l’osservazione che gli interventi “umanitari” contro la circoncisione femminile rischiano di innescare un effetto opposto a quello desiderato: una reazione contraria che rafforzi la diffusione della pratica, per contrastare interventi esterni considerati autoritari o paternalistici. Inoltre, fatto non disprezzabile, il testo è ben scritto, strutturato in modo chiaro e sintetico, ricco di dati significativi, utili per accedere a una più ampia comprensione della realtà complessa e dinamica in cui vivono le donne di Luxor.

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Ho sempre e solo letto reportage di condanna su questo argomento.
L'autrice appoggia la pratica, giusto ?
Ciao CUB:-)
L'autrice si astiene da condanne o assoluzioni. Il suo lavoro di ricerca ha lo scopo di comprendere, di "capire la rete di senso in cui quest'operazione è inserita" per "evitare giudizi negativi e arroganti nei confronti di ogni diversità".
Per me è stato difficile leggere questo libro, perché provo una forte repulsione per questo tipo di pratiche. La repulsione è rimasta, ma ora penso di conoscere meglio il contesto in cui è praticata.
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