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Auschwitz. Ero il numero 220543
 
Auschwitz. Ero il numero 220543 2011-12-13 22:16:39 Gondes
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Gondes Opinione inserita da Gondes    14 Dicembre, 2011
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AUSCHWITZ

Una storia incredibile che lascia sconcertati ed allibiti di fronte a tanto orrore. Spesso durante la lettura ci si deve fermare e fare mente locale e convincersi che tutto quello che si sta leggendo non è un’invenzione di uno scrittore, ma che purtroppo è tutto vero.
In libro parte da molto lontano, inizia dal momento in cui Denis Avey decide di arruolarsi nell’esercito inglese nel 1940. Viene inviato subito in Africa a combattere contro gli Italiani in Egitto e Libia. Lo scontro fra i due eserciti è stato particolarmente cruento e spietato e viene naturalmente raccontato con gli occhi di un soldato inglese. E’ stato particolarmente difficile assistere al racconto di operazioni di guerra dove l’obiettivo finale era l’uccisione di nostri connazionali o magari dei nostri nonni. In realtà gli inglesi non combattevano contro gli italiani intesi come popolo, ma contro Mussolini che in quegl’anni era alleato con Hitler. Quando però il generale Rommel prende il comando nel nord Africa, sostituendo per così dire gli italiani, inizia per il protagonista del libro e per molti soldati inglesi il vero incubo. Viene catturato e trasportato, dopo mille vicissitudini in campo di prigionia in Polonia. Nel libro viene dato molto spazio alle vicende che anticipano l’arrivo ad Auschwitz per comprendere meglio la situazione e il contesto storico-politico del momento. La cosa incredibile in questa storia che Denis, ha la fortuna di non essere rinchiuso ad Auschwitz, ma in un campo di prigionia poco distante, destinato solamente a prigionieri di guerra. La vita all’interno del loro campo, pur essendo durissima, non era paragonabile a quella che dovevano subire migliaia di persone solo a pochi metri da loro. Inizia così per lui una sorta di “voglia di conoscere” che lo porterà a fare un qualcosa che ha dell’incredibile. D’accordo con un prigioniero ebreo, scambia per più volte la propria divisa militare con il famoso “pigiama” a strisce ed entra all’interno di uno dei campi di prigionia più spietati della storia. All’interno del campo vede e prova cose che come dice lui stesso nel libro “ti entrano nelle ossa e non escono più”.
E’ difficile capire cosa spinge un uomo ad una scelta del genere, ma Denis decise che il mondo doveva sapere e conoscere e non c’era niente di meglio che provarlo sulla propria pelle. Mi sono chiesto spesso perché queste atrocità sono venute alla luce con più vigore solamente negli ultimi 20 anni. Il libro spiega benissimo come alla fine della seconda guerra mondiale l’opinione pubblica non era pronta ad ascoltare il racconto dei sopravvissuti ai campi di sterminio. Denis Avey dice che la gente voleva sentirsi raccontare di imprese eroiche e non storie di chi aveva sofferto, perché la sofferenza era ancora troppo presente nella società del dopoguerra. Lui infatti riesce a raccontare la sua storia solamente dopo circa 60 anni e finalmente il coraggio e generosità di questo uomo possono essere di esempio al mondo.
Il libro ha un finale non da libro-documentario, come potrebbero essere classificato, ma come un vero romanzo,che mi ha emozionato tantissimo perchè viene riproposta una storia d'amicizia interrotta tanto tempo fà proprio in quel campo di concentramento. Una storia raccontata in maniera stupenda ma allo stesso tempo in modo atroce.


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