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Open. La mia storia
 
Open. La mia storia 2025-01-28 14:57:53 Mian88
Voto medio 
 
3.6
Stile 
 
3.0
Contenuti 
 
4.0
Approfondimento 
 
3.0
Piacevolezza 
 
4.0
Mian88 Opinione inserita da Mian88    28 Gennaio, 2025
#1 recensione  -   Guarda tutte le mie opinioni

Il campione emozionale

«Apro gli occhi e non so dove sono e chi sono. Non è una novità: ho passato metà della mia vita senza saperlo. Eppure oggi è diverso. È una confusione più terrificante. Più totale.»

Cosa significa essere un campione? Quale sacrificio, quale verità si nasconde dietro la facciata di un uomo che nella vita ha vinto tutto il possibile dettando anche le regole e i connotati di uno sport emblematico per le sue etichette?
Sta per scendere in campo. Andre Agassi sa benissimo che si trova davanti a quello che probabilmente rappresenta il suo ultimo match. È un uomo giovane in apparenza, ha solo trentasei anni, eppure il suo corpo, in particolare al mattino, sembra dimostrarne novanta. È pieno di dolori, la muscolatura è compromessa, la schiena è “rotta”. Dopo trent’anni di scatti, arresti, balzi e atterraggi sul duro, il suo corpo è consumato. Ma è davvero pronto a smettere? Lui che è stato numero uno del circuito Atp per 101 settimane, vincitore di 60 titoli – tra cui 7 tornei del Grande Slam – nonché vincitore dell’oro olimpico nel 1996 ad Atlanta è pronto ad appendere la racchetta al muro?
Si trova a New York, sta partecipando agli US Open 2006. La moglie, Stefanie Graf, e i due figli, un maschio e una femmina, di cinque e tre anni, sono con lui. Vivono a Las Vegas, Nevada, ma in questo momento si trovano in una suite del Four Season Hotel della Grande Mela.
Andre gioca a tennis per vivere, perché lo ha reso famoso, perché è sempre stata la sua vita, ma in realtà odia il tennis. Lo odia sin da piccolo, da quando il padre lo obbligava a combattere con “il drago” a colpire palline su palline senza sosta, sempre più veloce. Il padre, ex pugile di origine armena ma nato in Iran e naturalizzato statunitense, che parlava cinque lingue e nessuna bene, lo spronava a colpire 2.500 palline settimanali, per 17.500 mensili per oltre un milione l’anno. Solo così sarebbe stato imbattibile. Adesso, che è un uomo adulto e a fine carriera, sta per scendere in quel campo che tanto lo ha reso solo decretandone il passaggio alla Storia dei campioni.

«Il campo, dove mi sono sentito così solo e indifeso, è il luogo dove adesso spero di trovare rifugio dalle emozioni di questo momento.»

In “Open” conosciamo la storia dalla conclusione. Da qui torniamo indietro e riscopriamo in ordine cronologico il percorso del tennista. Non è una canonica biografia esattamente come canonico e tradizionale non è stato il protagonista. Scopriamo le fragilità di un uomo, le sue paure, il suo essere così emozionale e non così controllato come abbiamo pensato nelle occasioni in cui lo abbiamo visto scendere in campo.
Agassi ha lottato sempre e perennemente, dentro e fuori dal campo. Tra demoni e palline. Odia se stesso perché non sa staccarsi dal tennis, odia il tennis ma al tempo stesso lo ama per quel che tira fuori in lui e per il campione che gli permette di essere. Tra vittorie e sconfitte, tra solitudine e grandi preparatori atletici quali Gil Reyes che in lui ha visto la stella, che in lui ha creduto ogni singolo giorno per ogni singolo set.
Lo stile è semplice, poco erudito, volontariamente colloquiale e questo per suscitare maggior coinvolgimento nel lettore.
Una storia che ci parla di uno sport solitario, psicologico e fatto di individualità, una storia che ci invita a non arrenderci davanti alle difficoltà.

«Mi ricorda il modo in cui i secondi diventano minuti che diventano ore, e ogni ora può essere la più bella della nostra vita. O la più buia. Dipende da noi.»

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