Canto per Europa Canto per Europa

Canto per Europa

Letteratura italiana

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Una giovane siriana, profuga di guerra, fugge sulla barca a vela di quattro uomini assetati di miti. La ragazza si chiama Evropa. Da quel momento la leggenda della principessa fenicia rapita sulla costa del Libano da Giove trasformatosi in toro si intreccia con gli eventi del Mediterraneo di oggi: emigrazioni, secessioni, conflitti, turismo di massa. Ingravidata in sogno dal re degli dèi, la ragazza riesce a sbarcare in Italia dopo infinite avventure e a dare il suo nome alla Terra del Tramonto, che però non riconosce in una figlia dell’Asia la Grande Capostipite. Dopo il suo drammatico sbarco, Petros, il capitano, continuerà a viaggiare da solo senza più attraccare in nessun porto. Clandestino anche lui, ma libero, fino alla sua misteriosa scomparsa. Paolo Rumiz scrive un poema che ricorda le sonorità de La cotogna di Istanbul, ma al tempo stesso, nel richiamare il mito della fondazione del nostro continente, si interroga sulle sue origini, sui suoi valori, sui suoi strappi e sulle sue lacerazioni: in un dittico ideale con Il filo infinito.



Recensione della Redazione QLibri

 
Canto per Europa 2022-04-11 21:52:32 Laura V.
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4.5
Stile 
 
5.0
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4.0
Laura V. Opinione inserita da Laura V.    11 Aprile, 2022
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Tra mito e attualità

Pubblicato lo scorso autunno da Feltrinelli, “Canto per Europa” si svela subito al lettore come un libro originale e inconsueto, sorprendentemente sospeso tra prosa e poesia, tra mito e storia, tra passato e presente.
L’autore, Paolo Rumiz, fin dal proemio “Il mare era in principio”, incipit preannunciante il prima e il dopo della vicenda, intraprende una narrazione che spesso, anche per la struttura del testo, sembra seguire la via dei versi, oltre che quella del mare, dipingendo con grande abilità il ricordo di uno straordinario itinerario senza tempo.

“[…] Oh Petros, Ammiraglio delle anime
ogni tuo gesto era un inno di lode.
Quando prendevi tranquillo il timone, triremi di Pelasgi e di
Liburni ti passavano accanto e le Nereidi cantavano per te
dolci canzoni.
[…]”

Un racconto, un viaggio, un’avventura, lungo le cui rotte benedette e illuminate dalla luna s’incontra “una storia d’argento e zaffiro/ profumata di donna e gelsomino”. Un animato navigare attraverso il Mediterraneo e le sue meravigliose costellazioni di isole, dalle coste del Vicino Oriente a quelle della nostra penisola, a bordo di Moya, una vecchia massiccia imbarcazione dei mari del Nord dalla vela rossa e dai grandi occhi dipinti a prua, insieme a un equipaggio di quattro uomini “tutti di frontiera, quattro conquistatori dell’inutile”. Come novelli protagonisti di un canto di aedica memoria, una volta approdati in terra fenicia, loro accolgono sulla barca una misteriosa ragazza che in principio non proferisce parola, ma esprime chiaramente la volontà di andare verso ovest, verso una meta che porta infine il suo stesso nome: Evropa / Europa. La giovane è una figlia dell’Asia, una siriana che fugge dalla guerra, dal fango dei campi profughi del Libano, dalla miseria e dallo sfruttamento dei bordelli.
Ed ecco, dunque, che da queste belle e intense pagine riaffiora d’improvviso l’antico mito greco di Europa che tutti conosciamo. Esso, tuttavia, non resta fine a se stesso e finisce per attualizzarsi, intrecciandosi inevitabilmente all’oggi e alla disperata speranza delle sue storie di emigrazione transitanti per mare, ai naufragi dai morti insepolti e agli orrori bellici che stuprano terre di cui ai cosiddetti grandi del mondo, in verità, nulla importa; anche la profanazione delle acque del mare a opera di rifiuti e mostruose navi da crociera viene additata senz’appello.
Un dolore profondo segna questo viaggio, mentre note d’infinita amarezza s’insinuano a più riprese nella voce narrante che s’interroga sulle vergogne e le tragedie odierne gravitanti intorno al Mare nostrum e su che cosa sia ora diventata l’Europa, politicamente intesa, sul suo essersi chiusa al pari di una fortezza per paura dell’altro in nome della sicurezza e su che cosa resterà un domani dell’Occidente, al di là della immancabile “paccottiglia di plastica e immondizia”. Che cosa può attendere, per sé e i propri figli, chi con anima martoriata approda da altri lidi?

“Oh donna, cosa cerchi dove il Sole va a morire? […]
Non ti vorrà nessuno nel mio mondo.
Il ricco vuole schiavi, non persone.
[…]
Occidente, che sai pagar salato governi innominabili e camorre
purché gli ultimi restino nel fango!
Vecchio Occidente, e il tuo onore perduto
già a Kabul, a Srebrenica e sul mare!
E tu, alleanza stellata, zimbello che oggi hai preso il nome del disprezzo!
[… ]
E tu dove sei ora, Ventotene?
L’idea di Unione era nata su un’isola dalla speranza di altri esiliati.
Oggi l’idea agonizzava in un’isola che aveva ucciso invece la speranza.
[…]”

Impreziosito dalle suggestive illustrazioni di Cosimo Miorelli, “Canto per Europa” non è una lettura leggera, di facile e sbrigativo “consumo”, nel senso che potrebbe essere non compresa appieno – e conseguentemente non apprezzata – da tutti; si tratta di un libro che, già per scelta stilistica da parte dello scrittore triestino, corre forse il rischio di disorientare più di un lettore. Ma è pur vero che, ammantando la storia narrata (o cantata, se si preferisce) di mito antico, Rumiz con la sua scrittura di notevole fascino ci esorta a riflettere, a considerare seriamente a quale deriva ormai stiamo andando incontro da tempo. E a ricordarci che il vecchio continente è “desiderio bruciante e nostalgia”, così come “anche il sogno di chi non ce l’ha”.

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Consigliato a chi ha letto...
... a chi ha a cuore il Mediterraneo e le sue storie, di ieri e di oggi.
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