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Letteratura italiana

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L’Autore, attore e spettatore, rievoca in queste pagine il dramma della vita e della morte, disseminate in eguale misura nei lunghi anni della vita in trincea. Questo emozionante diario di un fante che per quindici mesi ininterrotti sopravvisse nelle trincee del Carso fu pubblicato per la prima volta in Italia nel 1924. Erano gli anni del fascismo nascente in cui si imponeva la retorica nazionalista, il mito della vittoria mutilata; la narrazione di Carlo Salsa, pacata, ironica e tragicamente cruda, mal si conciliava con l’enfasi bellica: il libro venne censurato e scomparve dagli scaffali. Nel dopoguerra venne ripubblicato e subito si impose all’attenzione dei lettori e degli storici per le sue qualità letterarie, la forza di testimonianza e l’accorata denuncia dell’orrore della guerra.



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Trincee 2013-04-05 18:35:44 Renzo Montagnoli
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Renzo Montagnoli Opinione inserita da Renzo Montagnoli    05 Aprile, 2013
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La guerra in trincea

Di romanzi aventi come oggetto la prima guerra mondiale ne sono stati scritti molti e alcuni hanno ottenuto una fama meritata, come per esempio il celeberrimo “Niente di nuovo sul fronte occidentale” di Erich Maria Remarque. Il secondo conflitto non ha trovato un eguale fioritura di opere, fatta eccezione da noi per quelle relative alla resistenza. Mi sono sempre chiesto il perché di questa differenza e penso che il motivo risieda nella particolare drammaticità di questo evento bellico che, pur non coinvolgendo, se non sporadicamente, le popolazioni civili, ha mietuto vittime fra i militari in misura inaudita, a causa di concezioni strategiche e tattiche obsolete, pur a fronte dei nuovi potenti e distruttivi mezzi forniti dalla tecnologia.
La guerra in trincea era di per se stessa un inferno per la precarietà dei ricoveri, per la natura del terreno, per la sempre presente scarsa considerazione dei combattenti, numeri e non esseri umani, da usare semplicemente come bestie da macello.
In questo quadro il libro di Carlo Salsa si differenzia dagli altri per la sua struttura e, più che un romanzo, può essere considerato una testimonianza scritta di vita vissuta; nulla a che fare con un diario, tuttavia, perché l'intreccio, la trasposizione degli eventi sono propri del romanzo, anche se la narrazione in prima persona, l'emozione effettivamente provata ne danno una luce tutta sua e notevolmente esplicativa di quella che doveva essere l'angoscia che tormentava di continuo i soldati, giorno dopo giorno, ora dopo ora.
Scritto con sobrietà, senza mai cedere nulla alla retorica, né cercar di muovere a facili pietismi, è un affresco di rara bellezza di un evento tragico che ha segnato un'epoca e una generazione; non vi sono certo trionfalismi, ma la sofferta consapevolezza dell'assurdità della guerra, che distrugge le cose, gli uomini e, questi, anche dentro.
Preciso che l'intenzione, più che riuscita, dello scrittore non è tanto quella di portare alla commozione il lettore, ma di farlo riflettere sui veri valori della vita, così vilipesi e calpestati dall'orrore dei conflitti. E a tal proposito ben scrive Carlo Salsa nella sua introduzione “E allora, se la guerra dev'essere una partita d'interesse, si sappia cos'è. Nel preventivare le passività, si approfitti della ragioneria e si lasci da parte la retorica”.

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