Le nostre anime di notte Le nostre anime di notte

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Bruno Izzo Opinione inserita da Bruno Izzo    31 Gennaio, 2024
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Non ho l'età per amarti

Non ho l’età per amarti, per uscire da sola con te.
Sono i versi di una canzonetta di una volta, che rispecchiano esattamente il costume di quei tempi: al giorno d’oggi, nella nostra società moderna, libera ed emancipata, tutt’al più il testo suscita un sorriso.
Ma tant’è, le intenzioni allora erano buone, la morale del tempo lo esigeva, il contesto lo accettava.
Amare, innamorarsi, condividere un affetto, vivere una relazione è una cosa dolcissima: una giusta maturità aiuta a vivere con consapevolezza una qualsiasi unione, dopotutto si usa dire ogni cosa a suo tempo. Eppure, ancora c’è qualcuno convinto che, paradossalmente, ciò non sia accettabile per chi è fin troppo maturo!
I vecchi, gli anziani, i vegliardi, non possono più innamorarsi, stare insieme mano nella mano, occhi negli occhi, appaiono sciocchi, imbarazzanti, ridicoli.
Trattasi di un’autentica esagerazione, se non una vera aberrazione.
Rughe, capelli bianchi, corpi non più tonici e traballanti, nulla hanno più a che fare con i sentimenti, nel caso contrario è segno evidente di decadenza, di demenza, o peggio di lascivia.
Kent Haruf, con la sua scrittura a voce unica, potente, omnicomprensiva, con il suo tono monocorde e però sempre discorsivo, incisivo, esaustivo, questo ci racconta: quelli avanti negli anni, gli stessi che conta lo scrittore stesso quando scrive questo libro, hanno una loro valenza, un loro spirito, una loro essenza, e come tutti si innamorano, esattamente con gli stessi palpiti dei più giovani.
Lasciamoli vivere la loro affettività: l’energia di un nuovo amore brilla, sfavilla, riluce, li eleva.
Si appresta così anche per chi ha un’età avanzata questo spettacolo dolcissimo, mirabile, spendente: il librarsi libere nel cielo stellato delle loro anime di notte.
Lo scrittore americano, alla pari di Ernest Hemingway, è un mirabile cantore del tessuto connettivo della società americana del suo tempo, quello della sua provincia rurale; che è quello più vero, cristallino, genuino e rappresentativo, con pregi e difetti, fatti e personaggi descritti nei particolari, seppure in poche righe. Qui ci offre un breve testo, più un racconto lungo che un romanzo, in cui contesta chi afferma che taluni non hanno più l’età per provare sentimenti, e questo è davvero l’ultimo lavoro dello scrittore americano, redatto in pochi giorni appena prima del termine alla sua esistenza.
Il testo della canzonetta citata Haruf la declina all’incontrario: l’età per nutrire un sentimento affettuoso, e si badi si intende qui più una comunione di anime che un’attrazione fisica ed emozionale, qui ci sarebbe anche, e di parecchio di più. I due protagonisti, Addie e Louis, ambedue vedovi, sono anziani, per non dire vecchi, insomma davvero assai avanti con gli anni, liberi da impegni con figli e parentado vario, economicamente indipendenti e tutto sommato in accettabili condizioni di salute fisica e mentale. Adulti e consenzienti, liberi e indipendenti, a chi devono dar conto di una loro scelta affettiva? Invece il loro desiderio di unire le reciproche esistenze, è decisamente ostacolato, diremmo di più, aspramente disapprovato, contrastato, negato esclusivamente per egoismo dai loro prossimi e dal contesto generale della comunità in cui vivono, peggio della storia di Romeo e Giulietta dei bei tempi andati. Si sa, sono sempre le ragazze a prendere l’iniziativa, Addie non è una ragazzina, non ha tempo da perdere, sa perfettamente che alla sua età i giorni contengono poche gocce di nettare, vanno centellinati tutti con cura per gustarli a fondo; perciò, con grazia e schiettezza si rivolge un giorno direttamente a Louis: “Mi chiedevo se ti andrebbe qualche volta di venire a dormire da me”.
Niente di pruriginoso, di fisico, di sessuale. Solo compagnia, affetto, fuga dalla solitudine, voglia di tenerezza, e quant’altro di dolce, se viene, è ben accetto, tanto di guadagnato, riempie gli ultimi giorni.
Un cane, per esempio, o gli strilli gioiosi di un nipotino che gioca in giardino.
Sic et simpliciter, questo di Haruf è una grande storia d’amore, e niente più.
Ma ben presto, la storia di due anziani che vanno a convivere insieme, agli occhi dei benpensanti, parenti prossimi compresi, si trasforma, non è più una voglia di stare insieme gli ultimi giorni, è uno scandalo al sole. Inammissibile: sono due vecchi, perciò non capiscono quanto di sconcio possa essere la loro insana relazione. Uno stare vicini che è in realtà un rapporto candido ed innocente, che soccombe, si frantuma sotto i colpi dell’egoismo altrui.
Devono comportarsi bene, ad ogni costo. Devono solo avere paura di morire, come si fa alla loro età.
Prima o poi, inizia per tutti un lungo viaggio al termine della notte.
Quando il cielo è completamente buio, allora si vede meglio la strada che percorriamo, aiutandoci con la luce delle stelle, e se abbiamo fortuna anche con quella della luna, i più fortunati con quella del plenilunio. Ma sul finire della notte, ai primi grigiori, l’ultimo tratto è ancora fievole di luce chiara, si procede alla cieca, confusi, scoordinati, serve un’altra fonte luminosa, e questa la fornisce solo l’amore, l’affetto, la solidarietà, sono le uniche cose che fanno brillare le nostre anime di notte, perché appunto non è vero che non si ha più l’età per amare.
Questi anziani che amano…lasciamoli andare, senza fargli pressione di alcun genere.
Non metteteli alle strette, sono solo canzonette.

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topodibiblioteca Opinione inserita da topodibiblioteca    16 Aprile, 2023
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Per non restare soli

“Mi chiedevo se ti andrebbe qualche volta di venire a dormire da me
Cosa? In che senso?
Nel senso che siamo tutti e due soli. Ce ne stiamo per conto nostro da troppo tempo. Da anni. Io mi sento sola. Penso che anche tu lo sia. Mi chiedevo se ti andrebbe di venire a dormire da me, la notte. E parlare".

Il significato profondo di quest’ultimo romanzo di Haruf (scritto proprio come ultimo libro prima della sua scomparsa) sta proprio in quel breve ma efficace dialogo. Perché la straordinaria bravura dell’autore risiede innanzitutto nel suo stile così asciutto, ma tremendamente diretto, che senza tanti fronzoli va subito al dunque. “Le nostre anime di notte” (il libro ha avuto fortunate trasposizioni cinematografiche e teatrali), è una storia di assoluta delicatezza, che entra in punta di piedi e con grande rispetto nelle vite di un uomo (Louis) ed una donna (Addie) che si conoscono superficialmente in quanto vicini di casa con un punto in comune: il fatto di essere rimasti vedovi, con la solitudine quale compagna di vita quotidiana ed il ricordo indelebile, rispettivamente, della moglie e del marito scomparsi. Ecco che allora la proposta che Addie fa a Louis non ha certamente un doppio senso, considerato che l’unica vera ragione è quella di mettere assieme queste rispettive solitudini cercando di alleviare un dolore troppo intimo e silenzioso, che non può essere mostrato in pubblico.
Se Addie e Louis iniziano a frequentarsi lo fanno esclusivamente per raccontarsi, per parlare delle loro vite, dei drammi vissuti, degli errori compiuti e dei conseguenti rimorsi, tuttora presenti. Con l’intento di sopravvivere a quelle notti in cui la mente comincia a vagare trascinando il suo carico di dolore; quelle notti in cui si sente il bisogno di confessarsi stringendo la mano della persona con la quale si sta condividendo il letto (“Adoro questa cosa. E’ meglio di quel che speravo. E’ una specie di mistero. Mi piace per il senso di amicizia. Mi piace il tempo che passiamo insieme. Starcene qui al buio di notte. Parlare. Sentirti respirare accanto a me se mi sveglio”).

La dolcezza che Haruf riesce a fare arrivare al lettore supera la storia personale di Addie e Louis, riuscendo a mostrare un concetto più ampio di solitudine che coinvolge anche il giovane nipote di Addie, che ne soffre a causa della separazione dei suoi genitori. Le loro vite vengono così mescolate, nonostante la differenza di età tra i due protagonisti ormai settantenni ed il giovane nipote, ne scaturisce un forte legame, come se si trattasse di una nuova famiglia, a dimostrazione del fatto che quando le relazioni umane sono autentiche la voglia di stare insieme è la sola autentica medicina.

Per chi conosce Haruf e ha letto “La trilogia della pianura” questo romanzo rappresenta un ritorno a casa, in quella cittadina del middlewest del Colorado che si chiama Holt nella quale l’autore tratteggia le vite di persone comuni (per dirla con le parole del traduttore Fabio Cremonesi rappresentanti della working class o della middle class, a seconda delle storie narrate) affette da problematiche comuni e quotidiane così simili alle nostre. Ed è forse questo, sotto sotto, il principale motivo per il quale non è possibile non amare Haruf.

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mariaangela Opinione inserita da mariaangela    14 Marzo, 2021
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Forse potremmo farci compagnia….

Parlare della vecchiaia non è semplice perché solitudine, preoccupazioni o banalità sembrano esserne compagni fedeli, e sono argomenti che intristiscono chi legge.
Kent Haruf riesce ad affrontare il tema da un’altra prospettiva, in modo positivo, solare, attivo, di chi non si piega alla routine di giorni vuoti e ormai finiti non restando altro che rimuginare su essi, ma vede invece una possibilità nuova di rimettersi in gioco, provare e destare interesse, avere giornate libere per poter incontrare, far compagnia, uscire a pranzo fuori e perché no amare. Raccontarsi.

"Mi chiedevo se ti andrebbe qualche volta di venire a dormire da me." "Cosa?
In che senso?"

Il romanzo è tanto breve quanto dolcissimo e la malinconia che fa capolino solo a tratti compare davvero.
Ritornare ad Holt, immaginaria cittadina in Colorado, è un tuffo al cuore.

Conosciamo Addie Moore e Louis Waters entrambi vedovi e settantenni ma ancora aperti alla vita e alle occasioni che essa può presentare.
E’ proprio Addie a presentarsi un giorno alla porta di Louis per chiedere ed offrire compagnia. Instaurare con il suo vicino una tenera quotidianità: chiudere insieme la giornata e passare la notte insieme facendosi reciprocamente compagnia perché quando si è soli, il buio, la notte, le ore, possono essere momenti di sconforto e disperazione. E’ la proposta di una donna emancipata che non vuol arrendersi alla arretratezza sociale e culturale. E trova in Louis una spalla forte che si ritrova nei pensieri di lei. Quello che doveva essere un tentativo diventa una necessità a cui entrambi non vorrebbero rinunciare. Perciò ci spiace quando proprio dalla famiglia arrivano critiche e pregiudizi e attacchi verbali violenti.
Inizia un’ amicizia che diventa conforto e poi amore, che oltrepassa anche le maldicenze di una piccola e chiusa provincia americana. Perché se la vita ha ancora da offrire, sarebbe un delitto non cogliere le opportunità.

E quando ad arricchire ulteriormente le loro giornate arriverà il nipotino di Addie, Jamie, la famiglia ci sembra davvero formata. Siamo ancora più felici. Sono ancora più completi.

Lo stile di Haruf è caldo, tiene compagnia, osserva e racconta senza essere indiscreto, non è inutilmente buonista ma prova a costruire una visione della vita dove l’attesa di un momento da vivere ci faccia compagnia per affrontare la lunga giornata. Dove di cose da pensare e da fare ancora ce ne possono essere.
Mi ha colpita l’ottimismo della visione dell’autore di una parte di vita a cui penso spesso, e non nascondo con un certo timore, e il suo infondere coraggio e gioia di vivere. Mi ha confortata. Leggere questo romanzo mi ha fatto felicemente sorridere, perché racconta direttamente ai nostri cuori. Perché mi ha aiutata ad aprire gli occhi, tranquillizzandomi, su una fase della vita a cui non sempre penso con la dovuta serenità.

Buone prossime letture.

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Chiara77 Opinione inserita da Chiara77    27 Novembre, 2018
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Una storia d'amore

Finalmente anch'io ho letto “Le nostre anime di notte” di Kent Haruf, e scrivo “finalmente” perché in effetti è stata un'esperienza di lettura meravigliosa.
Addie Moore e Louis Waters sono due anziani che vivono nella immaginaria cittadina di Holt, in Colorado. Sono entrambi vedovi e molto soli, finché un giorno, in un modo del tutto inaspettato per Louis, Addie gli chiede di passare la notte insieme. Nasce così un'intensa e tenera storia d'amore, basata non sul sesso ma su una condivisione del reciproco vissuto, attraverso un dialogo molto aperto, che renderà la relazione profondamente confortante ed accogliente.
Pian piano Addie e Louis imparano a conoscersi e ad accettarsi per quello che sono veramente, il loro legame non è affatto un ripiego come potrebbe sembrare dalle prime pagine: non si esaurisce in un rimedio contro la solitudine ma cresce e si arricchisce ogni giorno di più. L'età dei due protagonisti sicuramente condiziona questo amore, non è un amore che si vive a vent'anni, fatto di passione, progettualità ma anche una certa dose di improvvisazione e, a volte, anche di molta incomprensione. Il loro amore vive nel presente, nel qui ed ora, non per questo è incapace di farli stare bene o portare in misura minore felicità.
Addie e Louis costruiscono un legame che si nutre di intimità fisica – ecco spiegato il dormire insieme, non per fare sesso ma proprio per condividere una delle azioni più intime fra persone: stare insieme nello stesso letto, al buio, e abbandonarsi insieme al sonno in un atto di estrema fiducia- e mentale, raccontandosi tutto della propria vita: le aspirazioni, i sogni, i desideri e ciò che è stato veramente.

«Sei troppo duro con te stesso, osservò Addie. Chi riesce ad avere quello che desidera? Non mi pare che capiti a tanti, forse proprio a nessuno. E' sempre un incontro alla cieca tra due persone che mettono in scena vecchie idee e sogni e impressioni sbagliate. Anche se, ripeto, questo non vale per noi due. Non in questo momento, non oggi.»

In conclusione quindi, un libro prezioso nella sua estrema semplicità: una storia dolce, romantica e malinconica, delineata con parole tanto precise ed essenziali da diventare potenti. Una lettura coinvolgente, emozionante ed intensa da non lasciarsi sfuggire.

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Antonella76 Opinione inserita da Antonella76    07 Settembre, 2018
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Vieni da me, stanotte?



"Mi chiedevo se ti andrebbe qualche volta di venire a dormire da me.
In che senso?
Nel senso che siamo tutti e due soli. Io mi sento sola. Penso che anche tu lo sia. Mi chiedevo se ti andrebbe di venire a dormire da me, la notte. E parlare."

Colei che fa questa proposta (ad un uomo) è una donna di settant'anni, vedova, una donna che avverte improvvisamente tutto il peso "dell'urgenza", del tempo che sta per finire, dei programmi a breve scadenza.
Una donna che ha vissuto abbastanza, che ha conosciuto il dolore più grande in assoluto, ha sofferto, ha accettato (con dignità) il tiepido calore di un amore ormai spento, e finalmente si trova nella posizione di poter scegliere di non avere rimpianti, di infischiarsene dei pregiudizi e del perbenismo della gente, di chiedere sfacciatamente alla vita una cosa di cui sente di avere diritto: una piccola felicità.
Una voce dolce a cui raccontarsi la sera, una mano da stringere nel buio della notte...

Quanta dolcezza, tristezza, malinconia...e quanto coraggio.
Mica facile rimettersi in gioco quando la vita sembra già averti dato e tolto tutto, mica semplice combattere contro l'ottusità di chi, avendo ancora tanto futuro davanti, non capisce il linguaggio dell'urgenza, del "prima che sia troppo tardi".
Il finale è, per me, molto simbolico e significativo: quando sei certo di essere nel giusto, quando senti di dovere a te stesso quel che resta della felicità...alla fine un modo lo trovi.
E il freddo della notte fa di nuovo un piccolo passo indietro.

Haruf ti tocca piano, ma lascia il segno.
Anche stavolta.

(Ciao Holt, mi mancherai...)


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Renzo Montagnoli Opinione inserita da Renzo Montagnoli    28 Dicembre, 2017
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Voglia di tenerezza

«Mi chiedevo se ti andrebbe qualche volta di venire a dormire da me»
Una donna che propone a un uomo una cosa del genere fa supporre che in caso di accettazione ci si debba imbattere in pagine di erotismo sfrenato. Non è così, però, perché Addie, la donna che fa questa strana proposta, e Louis, il destinatario, sono due vedovi, avanti con gli anni, anzi decisamente anziani, il che non esclude però un risvolto sessuale, ma comunque lo rende poco probabile. In effetti, la solitudine di chi ha raggiunto una certa età impone che si debba trovare una via d’uscita, che si debba porre accanto alla propria persona un’altra, con cui colloquiare, scambiare opinioni, avere un piccolo, ma significativo contatto fisico. Non sarà amore nel senso più ampio del termine, ma di certo è affetto, è convivere i giorni di un’età che non consente di fare programmi a lunga scadenza. Il tema deve essere stato particolarmente sentito da Haruf perché ha scritto l’opera in pochi giorni, prima di morire, dipartita della cui imminenza doveva avere conoscenza, atteso che è riscontrabile nella scrittura una certa fretta che, se nulla toglie al piacere della lettura, però appare inusuale, considerata anche l’età dei protagonisti, più propensi naturalmente a tempi lenti. La stessa sensibilità riscontrata nei tre romanzi del ciclo del Canto della pianura è presente anche in questo testo, un’opera che, per quanto ambientata come le altre nell’immaginaria città di Holt, non può essere assimilata alle stesse, perché nel racconto della breve relazione fra Addie e Louis si avverte l’esigenza di imperniare tutto su di loro, nel senso che non ci sono tante storie parallele, ma un’unica storia, quei giorni, soprattutto quelle notti, trascorse insieme, a dispetto dei pregiudizi degli altri e che verranno interrotte solo dall’esigenza egoista e sciocca di un figlio adulto, ma che non diventerà mai maturo. Può darsi che il libro possa essere più compreso da chi ha una certa età, sta di fatto però che mi è parso che in questo ultimo canto l’autore abbia profuso tutta la sua energia, spremendo fino all’ultima goccia l’estro creativo. Lo stile è quello consueto, sobrio, per certi aspetti distaccato, ma questa volta nei personaggi di Addie e di Louis si avverte un po’ di partecipazione, una più marcata traccia dell’artista che ha vissuto con loro gli ultimi giorni della sua esistenza.
Haruf non vide stampata la sua fatica, perché il libro uscì postumo, e ciò accentua quella sensazione di umana pietà che si prova leggendo quelle pagine, in cui due esseri umani vogliono illuminare l’ultimo tratto di strada, mano nella mano, una voglia di tenerezza che possa dare ancor un senso a quel che resta da vivere.
Indimenticabile.

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La trilogia del Canto della pianura, di Kent Haruf.
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annamariabalzano43 Opinione inserita da annamariabalzano43    13 Ottobre, 2017
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Addie e Louis, Jane e Robert

Fa sempre discutere la realizzazione di un film la cui sceneggiatura sia tratta da un celebre romanzo. È l’immagine contro la parola, la parola contro l’immagine. Non c’è dubbio che il cinema agevoli la fruizione di un’opera, con la sua immediatezza e con il fascino degli attori. Ciononostante il potere dell’espressione verbale è di gran lunga superiore quando si tratta di un grande scrittore che affida alla parola storie, pensieri e riflessioni che possono eventualmente essere penalizzate dal “movimento” cinematografico. Si, perché il cinema, anche il più statico, è pur sempre movimento. Non a caso gli anglosassoni lo chiamano “movie”.
Ora il bel libro di Kent Haruf, “Le nostre anime di notte”, racconta una storia originale e delicata, che si dipana intorno a due personaggi principali, Addie e Louis, che vivono anche loro a Holt, cittadina immaginaria del Colorado, come i protagonisti della trilogia. Il tema centrale del romanzo è sicuramente il tempo, con la sua velocità e la sua lentezza, con il suo inesorabile scorrere verso una meta senza ritorno. E il tempo è quello che scandisce i giorni della vecchiaia di Addie e Louis, come i giorni dell’infanzia di Jamie, e quelli degli errori di Gene e Holly. Il peso degli anni fa sì che Addie e Louis pur nella loro naturale lentezza fisica, si affrettino a vivere e a godere di quelli che considerano ormai gli ultimi giorni della loro vita, quasi con frenesia, consapevoli dell’opportunità che offre loro ancora una volta la vita. Avvicinarsi, condividere e colmare il vuoto delle loro vite, li induce a sfidare le maldicenze della gente, scettica sulla reale possibilità di trascorrere insieme delle ore a raccontarsi la propria vita, i propri errori, i rimpianti, senza pensare al sesso. Anche qui il tempo è inesorabile, perché non concede di portare indietro le lancette, di correggere ciò che si è sbagliato. E la solitudine, quella stessa solitudine che Addie e Louis cercano consapevolmente di colmare, affligge l’animo del piccolo Jamie, e accentua l’arroganza e l’egoismo di Gene.
Ancora una volta Haruf è riuscito a incantare il lettore con la sua prosa semplice, densa di contenuti profondi, a tratti malinconica: “ Ci divertiremo un sacco a parlare, eh? Disse lei.
Anch’io voglio sapere tutto di te. Non abbiamo fretta, disse lui.
No, prendiamoci tutto il tempo che ci serve.”
Ecco, Addie e Louis cercano di fermarlo il tempo, quanto basta per vivere un’illusione.
Difficile esprimere con la stessa delicatezza e con la stessa efficacia queste espressioni e questi sentimenti attraverso l’immagine, anche se certamente i volti di Jane Fonda e Robert Redford sono perfetti per questi personaggi, superato un certo sforzo per non vederli ancora correre a piedi nudi nel parco.

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Pelizzari Opinione inserita da Pelizzari    03 Settembre, 2017
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Due leoni d'argento

Romanzo breve di un autore che ancora non conoscevo. Racconta la storia di due settantenni, non ancora inariditi né nel corpo né nell’anima, che decidono di attraversare le notti insieme. Da questo libro è stato tratto un film, con protagonisti Robert Redford e Jane Fonda, che, proprio in questi giorni a Venezia hanno ricevuto il premio per la loro carriera. Leggendo il libro, non poteva essere che loro i protagonisti. Perché è un libro delicato, elegante, sussurrato. Infonde malinconia, poesia, rispetto, tenerezza. I due protagonisti sono due leoni dai capelli d’argento, che hanno vissuto vite non facili, con tutti i loro errori e la loro forza nel risollevarsi. Trovano l’uno nell’altro un rifugio per continuare ad amare la vita. Gli altri sono contrari a questo rapporto. Molto spesso gli altri ed i loro pregiudizi possono rovinare un bel rapporto, anche se strano. Lo stile in cui il libro è scritto è particolare: i dialoghi non sono contraddistinti e questo crea come un flusso continuo, come se fosse un fiume che ti trasporta. Elegante questo libro. Umana questa storia.

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Natalizia Dagostino Opinione inserita da Natalizia Dagostino    05 Agosto, 2017
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Assieme

Faccio bene con Kent Haruf a superare il sospetto delle pubblicazioni il cui successo sembra organizzato da esperti del marketing. Infatti, il mio viaggio in treno scorre veloce, la lettura del romanzo risulta piacevole, di conforto.

Addie e Louis, solitari e dispersi in un mondo di conoscenze in superficie, si scelgono e diventano l’uno per l’altra un luogo sicuro. Si incontrano di notte, a casa di lei e, nel lettone, prima di dormire si raccontano, si scambiano confidenze. Non si innamorano, né si desiderano pazzamente. Addie e Louis non conoscono gli eccessi, si fidano, riconoscono l’odore della pelle e della intimità costruita un po' per volta. Sono potenti davvero, lenti e tenaci, lontani dalla energia dirompente della passione e dalle giovinezze rapite nella presunzione e nella voracità.

Un’amicizia amorosa che “il caro vecchio buio” protegge, scopre, sussurra, rivela. Un esame di coscienza a due voci: i due ricordano e raccontano per se stessi, per ascoltarsi più che per informare l’altro. Due esseri umani che, in presenza, recuperano le ragioni dell’amore, del dolore, della solitudine, della morte. Per Addie e Louis, a settant’anni, è il tempo di meritare la compagnia e di ascoltare assieme il profumo della pioggia.

“Adoro questa cosa. È meglio di quel che speravo, è una specie di mistero. Mi piace per il senso di amicizia. Mi piace il tempo che passiamo assieme. Starcene qui al buio di notte. Parlare. Sentirti respirare accanto a me se mi sveglio.” p.84

“Dov’è la tua mano? Proprio qui accanto a te, dove sta sempre.”p.83

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Belmi Opinione inserita da Belmi    20 Giugno, 2017
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Ci vuole coraggio

“Lui la fissò, rimase a osservarla incuriosito, cauto.
Non mi dici nulla. Ti ho lasciato senza parole? Chiese lei.
Penso di sì.
Non parlo di sesso.
Me lo stavo chiedendo.
No, non intendo questo. Credo di aver perso qualsiasi impulso sessuale un sacco di tempo fa. Sto parlando di attraversare la notte insieme. E di starsene al caldo nel letto, come buoni amici. Starsene a letto insieme, e tu ti fermi a dormire. Le notti sono la cosa peggiore, non trovi?
Sì. Credo di sì".

Per la prima volta mi trovo nella Holt di Haruf e la sua realtà, ai miei occhi, è tangibile. I protagonisti sono Addie Moore e Louis Waters, entrambi settantenni, stanno affrontando una fase particolare della loro vita. Una vita già “impostata” su binari ben delineati che grazie al coraggio, invece di arrivare al capolinea, prende una strada nuova.

Come spesso succede, il coraggio e la voglia di vivere non sempre vengono presi nel modo giusto dagli “altri” e come in tutte le cittadine che si “rispettino” le voci e le malelingue non mancano mai.

"Ho deciso di non badare a quello che pensa la gente. L'ho fatto per troppo tempo - per tutta la vita".

Haruf con una delicatezza sconvolgente affronta un tema davvero molto toccante. Addie è una vera forza della natura che tenta in tutte le maniere di non farsi piegare e Louis è così sorprendente nella sua seconda gioventù.

Due anime che si incontrano la notte e fanno sperare.

“Addie spense la luce. Dov’è la tua mano?
Proprio qui accanto a te, dove sta sempre.”

Buona lettura!

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AlessandraDP Opinione inserita da AlessandraDP    17 Giugno, 2017
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Romanzo delicato

La storia è ambientata ad Holt, una cittadina americana inventata da Haruf, e ruota intorno ad Addie Moore e Louis Waters, due anziani ormai in pensione. Addie e Louis sono entrambi vedovi e, pur conoscendosi da molti anni, non si sono in realtà mai fermati davvero a parlare l’uno con l’altro. Questo cambierà una sera di Maggio quando Addie proporrà a Louis di dormire insieme. Nella proposta di Addie, tuttavia, non c’è assolutamente niente di indecente o indecoroso, solo la voglia di avere un po’ di compagnia durante le lunghe notti solitarie.

“[…] Nel senso che siamo tutti e due soli. Ce ne stiamo per conto nostro da troppo tempo. Da anni. Io mi sento sola. Penso che anche tu lo sia. Mi chiedevo se ti andrebbe di venire a dormire da me, la notte. E parlare. […] Non parlo di sesso. No, non intendo questo. Credo di aver perso qualsiasi impulso sessuale un sacco di tempo fa. Sto parlando di passare la notte insieme. E di starsene al caldo nel letto, come buoni amici. Starsene a letto insieme, e tu ti fermi a dormire. Le notti sono la cosa peggiore, non trovi?”

Una proposta improvvisa, quella di Addie, forse un po’ stramba e anche imbarazzante ma sicuramente coraggiosa. Inizierà così un rapporto particolare, una storia d’amicizia che nascerà timidamente e crescerà piano piano, trasformandosi in una dolce storia d’amore.
Ai due anziani si aggiungerà anche il nipotino di Addie, Jamie, che passerà l’estate dalla nonna a causa dei problemi coniugali dei genitori. Si verrà così a formare una sorta di piccolo nucleo famigliare composto da Jamie, Addie e Louis, un rapporto che diventerà sempre più forte durante il corso dell’estate, attraverso gite, lezioni di softball e semplici pranzi all’aperto.

La narrazione ruota soprattutto intorno ai dialoghi, serrati e continui, tra i due protagonisti. Addie e Louis parleranno a lungo, raccontandosi poco a poco della loro vita, dei rispettivi matrimoni, dei figli e dei drammi che hanno segnato le loro esistenze. Nel buio della notte si confideranno soprattutto i segreti, i rimpianti e i rimorsi di una vita ormai passata, lasciata scorrere, non pienamente vissuta. Segreti spesso rimasti chiusi tra le mura domestiche, per cercare di mantenere una facciata decorosa e rispettabile davanti agli altri abitanti di Holt.
E sarà proprio la società bigotta e curiosa della piccola cittadina americana a giudicare la relazione tra Addie e Louis, considerandola come un qualcosa di scandaloso, non socialmente accettabile, sino al punto che persino i loro figli cercheranno di dissuaderli dal frequentarsi, proprio per evitare pettegolezzi imbarazzanti. Significativo in tal senso è il dialogo tra Louis e sua figlia:

“[…] A me sembra solo imbarazzante.
Per chi? Per me non lo è.
Ma la gente sa di voi.
[…] Tu ti preoccupi troppo della gente di questa città.
Qualcuno deve pur farlo.”

Una realtà piccola ma ingombrante, quella di Holt, che si intrometterà silenziosamente nella relazione tra Addie e Louis, pronta a trarre conclusioni affrettate e a condannare i due protagonisti. Ma è davvero così sbagliato quello che i due anziani stanno facendo? È davvero così scandaloso? In fin dei conti, come ribadisce Louis alla figlia ancora scettica si tratta solo di “una scelta, di essere liberi. Persino alla nostra età”.
La scrittura di Kent Haruf è delicata, quasi atemporale, ed è sempre presente una sorta di malinconia, un sentimento di urgenza, quasi una corsa contro il tempo, una volontà di assaporare e vivere ogni piccolo momento della vita perchè potrebbe essere l’ultimo.

“Continui ad avere dubbi sul fatto che possa durare.
Tutto cambia.”

Un romanzo dolce sull’amore, sulla famiglia ma soprattutto sul coraggio di vivere la vita pienamente, fino alle fine, anche quando sembra non avere più sorprese per noi. Una storia che vi toccherà il cuore, credetemi. Una lettura che vi consiglio assolutamente e se per caso non foste ancora convinti, vi lascio con una delle frasi secondo me più belle tratte dal romanzo:

“Amo questo mondo fisico. Amo questa vita insieme a te. E il vento e la campagna, li cortile, la ghiaia sul vialetto. L’erba. Le notti fresche. Stare a letto al buio a parlare con te.”

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lapis Opinione inserita da lapis    15 Mag, 2017
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Attraversare insieme la notte

La notte è il momento più difficile per le anime sole. Nel silenzio, risuona forte il ronzio dei ricordi. Nel buio, danzano le ombre dei fallimenti. Nel letto vuoto, il freddo è in grado di penetrare fino al cuore. E le ore diventano interminabili.
Basterebbe una mano da intrecciare alla propria, un respiro accanto da ascoltare quando ci si sveglia, una voce con cui condividere la chiusura delle palpebre. E’ questa allora la proposta che la vedova settantenne Addie fa al coetaneo vicino di casa Louis, armandosi di coraggio: prendersi per mano, per provare ad attraversare insieme la notte.

“Viviamo per conto nostro da troppo tempo. Io sono sola. Credo lo sia anche tu. Stavo pensando se tu volessi venire e dormire con me la notte e parlare”.

Inizia tutto così. Un pigiama e uno spazzolino da denti in un sacchetto di carta. L’imbarazzo di due corpi che si sdraiano per la prima volta accanto. Parole semplici, sussurrate alla luce delle stelle, che ripescano dalla memoria frammenti del tempo passato. La notte allora non fa più paura. Il suo buio e il suo silenzio proteggono il mistero di due solitudini che imparano a conoscersi raccontandosi e che scoprono così di avere ancora tanto bisogno di un po’ di tenerezza.
E’ invece l’arrivo del giorno a complicare le cose. Le maldicenze e gli sguardi curiosi della comunità di Holt. La disapprovazione e gli ultimatum da parte dei figli, adulti e lontani. E la malinconia del tempo che passa, quel tempo che da giovani sembrava infinito, e che adesso appare invece così prezioso, così breve. Ma, forse, non è troppo tardi per un sentimento puro e autentico.

“Non ho intenzione di prestare attenzione a cosa pensa la gente. L’ho fatto troppo a lungo, per tutta la mia vita”

La scrittura di Kent Haruf è una musica soave e delicatissima. Le sue parole non mirano alla perfezione stilistica, ma sono semplici ed essenziali, come le figure pacate e buone di cui narrano. Le sue storie non parlano di avventure o eventi straordinari, ma di vita quotidiana e sentimenti puliti. E lo sguardo che volge sull’umanità è colmo di comprensione e rispetto. Questa voce, così sincera e delicata, è capace così di permeare le pelli più ispessite e i cuori più induriti, lasciando nell’animo una scia di profonda commozione e malinconia.
Senza dubbio un piccolo gioiello letterario.

“Addie spense la luce. Dov’è la tua mano? Proprio qui accanto a te, dove sta sempre.”

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Elena72 Opinione inserita da Elena72    11 Mag, 2017
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omnia vincit amor

“Si è inventato tutto lui. I dettagli li ha presi da Holt, i nomi delle strade, i nomi della campagna e la posizione dei luoghi, però quella non è Holt. E i personaggi non esistono. (…) Si è inventato tutto.” (p. 131).

E' vero, Holt non esiste e Haruf si è inventato tutto. Eppure mi piace pensare che possa esserci davvero un luogo in cui due anime, al tramonto delle loro esistenze, si incontrano per parlare, vincere la solitudine, rielaborare i ricordi dolorosi del passato, affrontare le inquietudini del presente. Addie e Louis, vedovi settantenni, coraggiosa e vitale lei, “gentile e degno di stima” lui, la sera si danno appuntamento, bevono qualcosa e poi si stendono nel letto, mano nella mano, per raccontarsi, per sapere tutto l'uno dell'altra. Dalle loro parole, sussurrate nella notte, riaffiorano i lutti, i rimpianti, le incomprensioni vissute con i rispettivi coniugi e con i figli che hanno portato gioie, ma anche tante sofferenze. Gli incontri di Addie e Louis non si limitano però ad una rievocazione nel passato, al contrario; incuranti delle chiacchiere della gente, sprigionano una vitalità invidiabile: assetati di novità, vogliono ancora provare emozioni per non “diventare aridi nel corpo e nello spirito” (p. 132). Grazie all'arrivo inaspettato del piccolo Jamie, il nipotino di Addie, i due settantenni hanno modo di rivivere l'allegria di una giovane famiglia: adottano la cagnolina Bonny, fanno un campeggio in montagna, vedono le partite di softball, partecipano alla fiera annuale di Holt.
Addie e Louis costruiscono la loro relazione con pazienza e rispetto, senza fretta “abbiamo tutto il tempo che vogliamo” ripetono spesso: una frase che, alla loro età, sembra paradossale. Il tempo, però, è qualcosa di soggettivo, dipende da come lo trascorriamo, dalle persone con cui lo viviamo: notte dopo notte Addie e Louis creano un'intimità, una profondità nel loro rapporto che non avevano saputo (o potuto) avere con i rispettivi coniugi nei lunghi anni di matrimonio. Cosa rende questo rapporto così speciale? Leggendo, me lo sono chiesta più volte. Forse la consapevolezza di aver trovato una persona che non pretende nulla, che vive attimo per attimo, in piena libertà, accettando anche le imperfezioni e le debolezze dell'altro.
“Potresti stancarti di me e non volerne più sapere.
Se dovesse succedere possiamo smettere, disse lei. Questo è l'accordo tra noi, no? Anche se non ce lo siamo detti.
Sì, quando ti stanchi puoi dirlo.
Anche tu” (p. 117)
Libertà e rispetto, senza alcuna pretesa, accontentandosi di vivere solo il presente, mano nella mano per superare ogni ostacolo, le invidie e le maldicenze della gente, la gelosia di un figlio egoista, la lontananza forzata, anche solo per poter continuare a parlare, “Fin quando potremo. Finché dura.” (p. 162)

Dopo aver letto la trilogia, ho ritrovato anche in quest'opera la straordinaria abilità narrativa di Haruf, la sua prosa scarna ed essenziale, le sue frasi brevi, dirette, capaci di arrivare con semplicità ed immediatezza al cuore del lettore. Mi sono commossa leggendo questa storia, non tanto per quanto vi è narrato, quanto al pensiero di un autore che si sente pressato dal tempo, che deve dare alle stampe un'opera con qualche imperfezione (questo ci confida, in una nota, il traduttore Fabio Cremonesi) perché sa che la malattia, inesorabilmente, lo sta consumando.

“Potrebbe scrivere un libro su di noi. Ti piacerebbe? Non mi va di finire in un libro, rispose Louis.” (p. 131) ma Haruf, fortunatamente, non lo ha ascoltato e ci ha regalato un'altra splendida storia.

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Mian88 Opinione inserita da Mian88    28 Febbraio, 2017
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"C’è un tempo e un luogo per ogni cosa.."

Holt, Colorado. Addie Moore e Louis Waters, entrambi vedovi ed in là con gli anni, sono vicini di casa da tempo immemore eppure la loro conoscenza non va oltre la facciata, la cortesia. Ecco perché la richiesta della donna di iniziare a dormire insieme per fuggire alla solitudine, per sconfiggere la monotonia della routine, delle incombenze, è tanto scandalosa quanto inaspettata. Ha deciso di avere coraggio, Addie, ed è consapevole della possibilità di un rifiuto che di fatto non arriva, Louis, accetta la sua proposta, a sua volta decide di mettersi in gioco, anche solo per curiosità, per vedere a cosa, quell’amicizia, avrebbe portato.
Iniziano così a trascorrere le loro notti insieme, ore in cui semplicemente si sdraiano nel letto, si parlano, si conoscono davvero per la prima volta, si stringono per mano, ascoltano i rispettivi respiri nel silenzio, in attesa dell’alba del nuovo giorno. Come spesso accade, in un primo momento il loro legame dà scalpore, tanto che finisce con l’essere oggetto di chiacchera degli abitanti del luogo. E proprio quando questi finiscono con l’accettare e vedere positivamente l’unione di due persone che vogliono semplicemente condividere le loro rispettive solitudini, fondere il loro tempo in un unico orologio, quello che è la vita, di questo connubio vengono a sapere le rispettive proli. In particolare, Gene, padre di Jamie, nonché figlio di Addie, non approva detto interludio; forte dei risentimenti che nutre verso il defunto genitore, ostacola in ogni modo quell’amicizia non rendendosi conto di quanto al contrario questa sia benefica non solo per la madre ma anche per il piccolo seienne.
Con una trama scarna, silenziosa, che vede sullo sfondo la cittadina che abbiamo iniziato ad amare con “la trilogia della pianura”, con tutti i suoi pregi e difetti, l’opera si basa interamente sul rapporto che si instaura tra i due anziani protagonisti. Pagina dopo pagina il lettore attende come, Louis e Addie, l’arrivo della notte, della condivisione, della scoperta. In queste ore, dove la cittadina riposa, dove non esistono altro che loro, ogni corazza viene meno in un susseguirsi di ricordi che vanno dagli affetti venuti a mancare (dalla presenza dei coniugi rispettivi alla perdita di una figlia), a quelli in contrasto (dai tradimenti alla conflittualità con chi è venuto dalle loro unioni), ai rimpianti per quei lavori inseguiti, per quei lavori insoddisfacentemente intrapresi, alla volontà di donarsi interamente l’uno all’altro, ciascuno al piccolo nipotino e alla dolce sfortunata Bonny. Perché Louis e Addie, che sono all’epilogo della rispettiva esistenza, non hanno altro che da guadagnare dall’instaurazione di un legame profondo, non hanno interesse a curarsi delle opinioni altrui poiché quel che conta è solo il presente. Perché dunque non abbandonarsi a quel flusso di coscienza, a quel puzzle di vita che va pian piano prendendo forma, che va pian piano ricomponendosi? Come non accettare il passato, come non vivere ogni giorno che hanno ancora a disposizione su questa terra come un dono, come un qualcosa di raro e prezioso da custodire ed avvalorare?
Quella che si viene a creare è una nuova famiglia, un nucleo che semplicemente si basa sulla quotidianità, sulla volontà di ascoltarsi e avere in comune un qualcosa, un qualcosa che è quanto di più prezioso ci sia e che si contrappone a quell’insipienza che aveva caratterizzato le unioni coniugali “legittime”. E non manca il tema della malattia che ha visto protagonista Haruf stesso in quegli ultimi giorni obbligati, in quell’addio forzato all’amata moglie, in quella resa incondizionata ad un dolore ormai divenuto sordo ed insopportabile.
Ma Addie e Louis sono due esseri umani, due individui che come tali cercano di far leva sul coraggio, ognuno a suo modo. Lei con la sua passione, la sua voglia di vivere, lui con la sua riservatezza, con la sua riflessività. Ecco perché quando quell’umanità torna con la sua forza dirompente frantumando, o tentando di frantumare, il nuovo costruito, l’inevitabile accade. L’egoismo altrui piega quella voglia di vivere così semplice, pura, intensa.
“Le nostre anime di notte” è un romanzo che prima di tutto spicca per l’urgenza con cui Haruf si consegna al lettore. E’ un elaborato che segue la linea della trilogia di cui sopra per la forza delle tematiche trattate che mai mancano o sono irrisorie nei testi del narratore; e che tuttavia se ne distacca completamente dal punto di vista delle ambientazioni finendo, Holt, con il fare meramente da cornice agli avvenimenti. E’ appena percepita, quasi invisibile. Protagonista indiscusso del volume è l’animo umano, con tutte le sue più variopinte contraddizioni. La sensazione è inoltre quella di abitare in una dimensione temporale sospesa, delimitata nel suo essere da quelle mura domestiche, da quell’intimità che coniuga due cuori; un arco in cui l’ineludibilità della conclusione dell’esistenza è rappresentata proprio da quell’attesa della notte.
E’ un Kent Haruf diverso, quindi, quello che conosciamo in queste pagine, un Kent Haruf che è mosso dalla volontà superiore di raccontare, di parlare alla compagna nonché all’appassionato conoscitore per un’ultima volta; un’ultima volta “prima che sia troppo tardi” (attraverso una Addie Moore calibrata in ogni sua parola e gesto), ora che, “è già troppo tardi” (mediante un Louis Waters consapevole e certo). E chissà se “li rivedremo..” (attraverso la voce del piccolo Jamie)..
Quel sentire immediato e tangente non può attendere nel suo essere vissuto, ve ne è una esigenza senza eguali. Ma badate bene, questa necessità impellente di vivere, di non perdere nemmeno un attimo di condivisione, non fa venire meno la forza espressiva e la delicatezza propria di un autore maestro nella trasmissione delle emozioni. Questa sua concreta consapevolezza di essere ormai giunto alla fine del suo percorso fa si che non vi sia altro spazio se non quello per quella “nostra vita vissuta insieme” così ricca, così ineguagliabile che nulla, né i rancori, né i rimpianti, né la pura e semplice consapevolezza che un male superiore sta per porre in essere una separazione definitiva, può offuscarla.
La più inestimabile delle dichiarazioni d’amore. Un romanzo breve ma di grande contenuto, un elaborato che arriva con quella forza dirompente dei sentimenti che non vogliono e non possono più essere trattenuti, prima come ora più che mai, uno scritto che è impossibile lasciare, che vorremmo sempre tenere con noi, un testo che commuove e sconvolge, che lascia semplicemente il segno.

«Erano sdraiati uno accanto all’altra e ascoltavano la pioggia.
E così, la vita non è andata bene per nessuno dei due, quantomeno non come ce la aspettavamo, disse Louis.
Anche se adesso, in questo momento, mi sta piacendo molto.
A me sta piacendo più di quanto io pensi di meritare, disse lui.
Oh, ma tu meriti di essere felice. Non credi?
Credo sia quello che mi sta capitando in questi ultimi mesi. Per un motivo o per l’altro.
Continui ad avere dubbi sul fatto che possa durare.
Tutto cambia. Si alzò di nuovo dal letto. [..]
Di nuovo in camera di Addie, Louis mise una mano fuori dalla finestra e sentì la pioggia che gocciolava dalle grondaie, quindi tornò a letto e con la mano bagnata sfiorò la guancia morbida di Addie» p. 88-89

«Chi riesce ad avere quello che desidera? Non mi pare che capiti a tanti, forse proprio a nessuno. E’ sempre un incontro alla cieca tra due persone che mettono in scena vecchie idee e sogni e impressioni sbagliate. Anche se, ripeto, questo non vale per noi due. Non in questo momento, non oggi.» p. 117

«Non puoi aggiustare tutto, non ti pare? Disse Louis.
Ci proviamo sempre. Ma non ci riusciamo.» p. 129

«Bé è proprio quello che stiamo facendo. Chi si sarebbe aspettato che a questo punto delle nostre vite potesse capitare una cosa del genere. Chi l’avrebbe mai detto? Per noi le novità e le emozioni non sono finite. Non siamo diventati aridi nel corpo e nello spirito» p. 132

«C’è un tempo e un luogo per ogni cosa, commentò lui». p. 140

«Allora ai nostri posti ci andranno degli sconosciuti. Senza sapere nulla di noi.
Né del perché si siano liberati quei posti.
E tu continui a non volere che ti chiami io. Non vuoi che sia io a telefonarti.
Ho paura che ci sia qualcun altro nella stanza. Non riuscirei a fingere.
E’ come quando abbiamo cominciato a vederci. Come se avessimo ricominciato. E sei sempre tu quella che deve prendere l’iniziativa. L’unica differenza è che adesso siamo cauti.
Ma stiamo anche andando avanti, non è vero? Disse lei.
Stiamo continuando a parlare. Fin quando potremo. Finché dura.
Di cosa vuoi parlare stasera?
Addie guardò fuori dalla finestra. Vedeva il proprio riflesso nel vetro. E l’oscurità subito oltre.
Fa freddo li stasera, tesoro?»

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68 Opinione inserita da 68    17 Febbraio, 2017
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Epilogo imminente e rinascita insperata

...." Mi chiedevo se ti andrebbe qualche volta di venire a dormire da me. Cosa? In che senso? Nel senso che siamo tutte e due soli..." Così Addie Moore si presenta alla porta di casa di Louis Waters, da anni suo vicino, in una visita sorprendente, inattesa, ma bene accetta.
L' incipit di " Le nostre anime di notte ", ultimo ( prima della sua morte ) breve romanzo di Kent Haruf , ne è anche la sinossi, il titolo ne esprime il contenuto.
Una trama scarna, silenziosa, prevalentemente notturna, che fa dell' animo e delle connessioni relazionali dei due anziani protagonisti il tema principe del racconto.
Entrambi sono settantenni in pensione, ex insegnanti ( appartenenti alla middle class ), hanno vissuto tra affetti sottratti ( la morte dei rispettivi coniugi ), turbolenze ( il rapporto conflittuale con i propri figli, i tradimenti ) e rimpianti ( un lavoro non propriamente soddisfacente ).
Sullo sfondo l' immaginifica cittadina di Holt, già protagonista della " Trilogia della pianura " ed i suoi abitanti, radicati in un tradizionalismo e perbenismo che si muove tra dubbi, diffidenza e poche certezze consolidate.
Addie e Louis iniziano ed alimentano il proprio percorso di conoscenza in un letto, ( ma non a fare quello che tutta Holt pensava che facessero ), in un' intimità progressiva e crescente.
Senza legami profondi, ormai all' epilogo della propria esistenza, non hanno nulla da perdere, ne' si preoccupano di quello che la comunità potrebbe pensare, vivono di solo presente.
Quel letto, dove al buio trascorrono le proprie notti, stanchi, acciaccati, diviene luogo della memoria e di confessioni insperate, avvicinamento ( solo progressivamente fisico ) di due anime denudate, di solitudini finalmente condivise, per anni sfioratesi, incrociatesi, ma sempre a relativa distanza.
È l' inizio di un viaggio temporale, la ricostruzione di due percorsi di vita diversi ma simili professionalmente ed idealmente, con un approdo condiviso, la solitudine affettiva.
È un flusso di coscienza con una ineluttabile maturazione, l' accettazione del passato, nel bene e nel male, consapevoli che ogni giorno che resta non è che un dono.
La progressiva intimità e l' innamoramento hanno il sapore della semplice quotidianità, fatta di esperienze ed affetti condivisi ( si pensi al bellissimo rapporto instaurato con Jamie, il piccolo nipote di Addie James ).
È non solo l' unione di due cuori solitari, perché ..." la vita non era andata bene per nessuno dei due, quantomeno non come ce la aspettavamo..." ma la creazione di una famiglia dalle ceneri di un passato che non era mai stato sentimentalmente pienamente vissuto, per la propria insipienza, per una certa noiosa routine e per tragedie famigliari improvvise.
Addie è una donna passionale, genuina, piena di vita, Louis è posato, riflessivo, attendista, si lascia condurre, ma il viaggio e la scoperta di un legame profondo si lega all' imprescindibile.
La mera apparenza, l' avversione ed il sospetto della comunità, i contrasti con l' egoismo dei propri figli, il desiderio e la necessità di continuare a vedere le persone amate, porrebbe un veto alla relazione ( nel frattempo divenuta anche fisica ), ma sarebbe una coercizione ed una morte prematura.
Il potere delle parole e dei sentimenti, della propria storia, l' intimità raggiunta, contrasta con l' immaginario collettivo e con i semplici pettegolezzi ( della comunità di Holt ) o con il preservare una famiglia che non esiste ( se non negli occhi di Gene, il figlio di Addie ), il vero e solo nucleo famigliare è il loro. Nessuna separazione può essere definitiva, prevale l' urgenza e la necessità di vivere intensamente il proprio sentire.
" Le nostre anime di notte " ci consegna un Kent Haruf totalmente indirizzato all' aspetto relazionale, riducendo gli elementi esterni ed estranei.
Holt e la propria comunità, come lo scorrere delle stagioni, a differenza che nella " Trilogia della Pianura " è puro elemento decorativo, manca volutamente di forza espressiva e di presenza ( anche se vi sono due citazioni di personaggi ed elementi della Trilogia ), è l' animo umano a divenirne ancor più simbolo e manifestazione suprema.
La percezione della fine dell' esistenza è magistralmente rappresentata da atmosfere notturne, attese, silenzi, gesti rallentati, da una narrazione scarna, dialoghi semplici ed espliciti, dal sottolineare ogni singolo gesto e parola.
Una sospensione temporale aleggia sulla narrazione, e quelle mura domestiche accolgono l' interiorità e l' intimità di due cuori solitari.
Rimane la delicatezza dell' autore, e la propria forza espressiva nel pronunciare e dare significato alle parole, scandendone i contenuti.
Soprattutto vi è la certezza ( da parte di Haruf ) di essere sul viale del tramonto, allontanando rimpianti, attese, egoismo, perché ormai è passato troppo tempo e questa è..." stata semplicemente la nostra vita..."




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