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Cristo si è fermato ad Eboli
 
Cristo si è fermato ad Eboli 2020-06-18 09:00:49 lapis
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lapis Opinione inserita da lapis    18 Giugno, 2020
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La legge del niente

È un legame d’amore, forte e indissolubile, quello che unisce Carlo Levi alla terra lucana dove trascorse il periodo di confino fra il 1935 e il 1936. Lo testimonia il fatto che egli chiese di essere sepolto proprio lì, a Gagliano, paese nero e sventurato, di terre malariche e volti rassegnati, ignorato dallo Stato, dalla civiltà, dalla religione.

“In questa terra oscura, senza peccato e senza redenzione, dove il male non è morale, ma è un dolore terrestre, che sta per sempre nelle cose, Cristo non è disceso. Cristo si è fermato a Eboli.”

Ritrovarsi catapultato in Basilicata significa per Levi scoprire un mondo sconosciuto, rurale e primitivo, che segue ritmi diversi e obbedisce a leggi incomprensibili a un giovane intellettuale torinese. La ragione e la scienza sembrano dissolversi qui, sostituiti da riti magici, incantesimi e superstizioni. Persino l’antifascismo sembra sbiadire, lasciando il posto a problemi antichi e miserie rifiutate persino dalla storia. Potrebbe chiudere gli occhi, ignorare come tanti altri prima di lui quell’angolo di Italia che nulla chiede e nulla spera, oppure trincerarsi dietro uno sguardo di sprezzante o pietosa superiorità. Invece Levi sceglie la strada dell’arte pittorica, che gli è così cara, e comincia a osservare cose e persone, con rispetto e devozione, e a rappresentarle. Prima, nella mente e sulle tele. Poi, in questo romanzo, a cui, a quasi dieci anni di distanza, affida il racconto della propria esperienza autobiografica, fondendo memoria, riflessioni personali, osservazioni socio-antropologiche e cuore. Perché nel frattempo quei contadini sono diventati parte di lui, dei suoi ricordi e del suo percorso di maturazione, e questa fratellanza regala alle pagine una poetica dolcezza capace di lenire anche le note più dolorose.

E il dolore non manca, a Gagliano. La sofferenza della fame. L’ostilità di una natura infruttuosa e malata. La desolazione dell’abbandono da parte dello Stato, straniero e malefico, che impone, pretende, vessa. Impone colture che impoveriscono la terra, tasse sproporzionate, guerre incomprensibili, e lascia sempre i contadini soli, ignoranti e sottomessi. Tutto all’insegna di una civiltà del progresso e del movimento, così abissalmente distante dalla loro realtà in cui il tempo scorre lento e immutato da secoli. L’unica risposta possibile allora è la rassegnazione, amara e senza speranza.

“Io pensavo a quante volte, ogni giorno, usavo sentire questa continua parola, in tutti i discorsi dei contadini. Ninte.
Che cosa hai mangiato? Niente. Che cosa speri? Niente. Che cosa si può fare? Niente.”

Sta però proprio nella capacità di sopportare il dolore con forza interiore, pazienza e dignità, restando ancorati agli antichi valori, l’insegnamento che questa società chiusa e arcaica lascia a Carlo Levi, e a tutti noi. Mentre la piccola borghesia paesana, degenerata e approfittatrice, mostra tutta la sua vessatoria meschinità, questi poveri contadini dalle pance vuote hanno accolto l’estraneo, gli hanno teso la mano, hanno spartito con lui il proprio tozzo di pane. Una lezione di fratellanza, da ricordare anche oggi.

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Commenti

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Bella recensione, Manuela. Ricordo di essermi portato il libro nello zaino, tanto tempo fa, durante un trekking in Nepal, e di averlo letto alla flebile luce di un mozzicone di candela nei poveri lodge sparsi alle pendici dell'Himalaya, vivendo per qualche settimana in una condizione, per quanto riguarda gli agi e le comodità moderne, forse simile (o almeno io allora mi immaginavo così fosse) a quella dei personaggi del romanzo. Memorabile!
Ricordo con molta vividezza la descrizione della scena della festa del paese: improvvisamente diventava ricco e allego, fuochi d'artificio ed estenuanti processioni, per poi, il giorno seguente, riprendere il solito cupo tran tran. Bella lettura!
Bellissimo commento per un'opera che è un capolavoro! Paesaggi indimenticabili e che dire della rappresentazione dei sassi di Matera!
Libro letto e riletto : sempre bellissimo.
Penso che la conoscenza di questo autore meriti di essere ampliata, pur senza l'aspettativa di scovare altri capolavori come questo.
Ricordo di aver letto "Le parole sono pietre" e "Tutto il miele è finito", quest'ultimo sulla Sardegna. Li ho graditi.
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lapis
18 Giugno, 2020
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Quanto è vero, Giulio, un romanzo sa farci viaggiare anche nella nostra memoria, riportandoci al luogo e al momento in cui l'abbiamo letto. Certo, non è da tutti poter accostare le pagine di Levi a un mozzicone di candela in Nepal! Grazie per aver condiviso questo ricordo!
Un caro saluto,
Manuela
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lapis
18 Giugno, 2020
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E' vero, Ioana, sono molte le rappresentazioni visive di questo romanzo che rimangono impresse nella mente. Scene di vita paesana come la festa, appunto, ma anche volti, colori, paesaggi. La discesa agli inferi nel cuore di Matera, ad esempio, non credo la dimenticherò facilmente!
Grazie per avermi letto.
Ciao,
Manuela
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lapis
18 Giugno, 2020
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Grazie di cuore, Laura. Ricordo che avevi parlato di una pietà rasserenante, quanto avevi ragione!
Che dire della descrizione di Matera? Impressionante e indelebile!
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lapis
18 Giugno, 2020
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Ciao Emilio. Per me è stata una prima lettura ed, in effetti, mi ero chiesta come fossero altri suoi testi, considerato che quest'opera è frutto di un'esperienza particolare e unica nella vita dell'autore.
Grazie quindi per le preziose indicazioni.
Ciao,
Manuela
Letto a scuola. Da rileggere, anche se il libro adesso è pieno di macchie... Grazie mille per la recensione
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lapis
21 Giugno, 2020
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Grazie a te, Marianna, per averla letta!
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