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Uomini e no
 
Uomini e no 2023-06-27 15:23:07 Calderoni
Voto medio 
 
4.3
Stile 
 
4.0
Contenuto 
 
5.0
Piacevolezza 
 
4.0
Calderoni Opinione inserita da Calderoni    27 Giugno, 2023
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Anche Hitler è stato uomo

Penso che il romanzo Uomini e no di Elio Vittorini contenga una delle riflessioni più potenti della nostra letteratura. «Noi abbiamo Hitler oggi. E che cos’è? Non è uomo? Abbiamo i tedeschi suoi. Abbiamo i fascisti. E che cos’è tutto questo? Possiamo dire che non è, questo anche, nell’uomo? Che non appartenga all’uomo?». Sì, Hitler, i nazisti, i fascisti sono uomini perché l’essere umano è per definizione il vizio assurdo e l’ideale più sublime. Sì, Hitler, i nazisti, i fascisti sono uomini perché nelle pagine resistenziali milanesi che vengono scritte dall’autore di Siracusa si può scorgere tutta la vasta gamma di azioni e di atti che un uomo può compiere contro un altro uomo, facendolo in modo consapevole, pianificato e vendicativo. Ecco quindi che non deve sorprendere la vendetta del gerarca fascista Clemm nei confronti dell’anziano Giulaj, reo di aver ucciso con una lametta, per autodifesa personale, un cane poliziotto di proprietà dello stesso Clemm; la decisione è drastica: Giulaj verrà fatto sbranare dagli altri cani dell’Albergo Regina di Milano. I militi nazifascisti assistono alla scena e non pensano che la volontà di vendetta di Clemm possa spingersi a tanto. Inizialmente pensano che stia giocando e voglia spaventare Giulaj, in realtà non ferma l’incedere dei suoi cani poliziotto affamati e deliberatamente gli permette di sbranare un uomo.
Uomini e no è uno dei romanzi che meglio descrive la resistenza in una grande città come Milano. Dal punto di vista geografico, Vittorini è molto preciso: i luoghi menzionati dal libro sono i luoghi reali nei quali si sono verificati i fatti durante i mesi resistenziali. Inoltre, lo scrittore rende bene il complesso reticolato della Milano occupata dai nazifascisti perché al di sotto di una suddivisione apparentemente binaria (nazifascisti contro partigiani) esistevano diversi sottogruppi, diverse bande e diversi interessi. A tal proposito, è emblematica la figura di Cane Nero, uno che agisce da “ripulitore” di Milano svincolandosi però dall’organizzazione nazifascista; si tratta semplicemente di un violento assetato di sangue che sfrutta lo stato di anarchia in cui è sprofondata l’Italia dall’8 settembre 1943 per imperare e incutere paura. Vittorini riesce anche a portare il lettore negli assalti e negli agguati architettati dalle bande partigiane contro il nemico nazifascista, nella consapevolezza generale che per ogni nazista ucciso toccava la fucilazione a dieci partigiani.
Il periodo preso in considerazione da Vittorini per il suo capolavoro bellico è l’inverno 1944. Il protagonista è il partigiano Enne 2, innamorato da tanti anni di una donna più grande di lui: Berta è già sposata, non abita a Milano, non è una donna della Resistenza, sebbene sia vicina a Enne 2, e non può concedersi al più giovane partigiano. Enne 2 vive nell’attesa della venuta di Berta, aspetta che Berta possa finalmente aprire un nuovo capitolo della sua vita, quello al suo fianco. L’attesa si prolungherà a tal punto che Enne 2 non fuggirà nemmeno quando saprà di essere ricercato dopo l’ennesimo tentativo di agguato; non andrà, come tutti i suoi compagni gli suggerivano, a Torino ma resterà nella sua casa di Milano diventando facile preda per Cane Nero e i suoi uomini. Si consegnerà al nemico, non prima di sfidarlo per un’ultima volta nel momento della morte. Perché fa tutto questo? Perché non prova nemmeno a tutelare la sua esistenza? Perché senza Berta si sente destinato alla perdizione, è un amore impossibile che ritrova, nell’eccezionalità del momento storico, la sua naturale giustificazione. «Il fatto stesso che non arrivasse significava che non poteva arrivare; che non sarebbe mai arrivata, o che sarebbe sempre ripartita, come sempre; e che era inutile aspettare, inutile cercare di sfuggire, inutile cercare di sopravvivere, di non perdersi». In un libro pieno di domande, è lecito chiedersi se un uomo destinato alla perdizione come Enne 2 possa lavorare per garantire la felicità agli uomini. Una possibile risposta arriva dalla compagna Selva, che aiuta da vicino le bande partigiane: «Volete lavorare per la felicità della gente, e non sapete che cosa occorre alla gente per essere felici». Selva è soltanto una delle altre donne che gravitano intorno a Enne 2. Non si può scordare nemmeno la portatrice d’armi Lorena, con la quale finisce anche a letto. Tuttavia, l’amore è un’altra cosa perché «prenderne una che non è la tua ed ecco avere, in una camera d’albergo, invece dell’amore, il suo deserto». L’amore per Enne 2 ha un solo volto, quello di Berta.
Quello che colpisce è l’insistenza di Vittorini sulla semplicità degli uomini che combattono la Resistenza; sono uomini semplici e pacifici che dalla loro vita volevano cose semplici, tanto che parlavano di cinematografo e bachi da seta appena prima delle battaglie. Spunta, quindi, un’altra domanda: «Perché, ora, lottavano?». Emblematico in un romanzo fatto di domande è il personaggio di Gracco, che era curioso degli uomini e voleva sempre conoscere le ragioni delle loro azioni. La sua lezione va, tra l’altro, in controtendenza in un mondo attanagliato dalla guerra nel quale nessuno si stupiva di niente, nessuno domandava spiegazioni. Il libro è polifonico, il punto di vista varia e i personaggi, più o meno importanti, prolificano, anche se poi, una volta morti, tutti acquisivano «la stessa faccia», nessuno escluso, perché quando si osserva la morte tutto diventa superfluo. Merita una menzione El Paso, uno dei più singolari personaggi del volume. Si tratta di un partigiano, nato in Spagna, ma infiltrato tra i nazisti all’Albergo Regina («Egli sta con loro, gioca con loro, e noi dobbiamo dire che un uomo nostro è come loro»). Una risposta lo identifica, «Ehm», quello stesso suono che richiama alla memoria il finale di Conversazione in Sicilia. «Ehm» cela una conoscenza più approfondita di quello che è l’intrecciato sistema della Milano dell’inverno 1944, nel quale El Paso tenta di destreggiarsi, così come l’«Ehm» di Silvestro e Concezione al termine di Conversazione è l’intercalare della consapevolezza. A proposito di Conversazione, Uomini e no ne ricalca lo stile lirico e lo si potrebbe definire la naturale prosecuzione.
In un romanzo riflessivo, nel quale le parti in tondo vengono alternate da analisi in corsivo, contraddistinte da una potente componente onirica, ci sono alcune considerazioni che non possono lasciare indifferenti. La prima: «Gli uomini potevano perdersi dappertutto e dappertutto resistere... Che si potesse resistere come se si dovesse resistere sempre» perché in fondo «resistere? Era per esistere. Era molto semplice». La seconda: «Perché si chiamava civile una guerra in cui due fratelli potevano trovarsi l’uno contro l’altro? Non si sarebbe dovuto chiamarla, anzi, incivile?». Sembra tutto lapalissiano, ma la guerra oscura tutto, anche quello che può apparire lampante. Come spesso capita fin dalle scuole superiori, Uomini e no si ricorda per la sua alternanza di tondo e corsivo. Se l’incedere narrativo è destinato alla parte in tondo, invece la riflessione risiede nel corsivo, dove lo scrittore entra dentro a Enne 2 e quasi si trasforma in Enne 2. «Io a volte non so, quando quest’uomo è solo io quasi non so s’io non sono, invece del suo scrittore, lui stesso. Ma, s’io scrivo di lui, non è per lui stesso; è per qualcosa che ho capito e debbo far conoscere; e IO l’ho capita; IO L’HO; e io, non lui, la dico». Sta in questa considerazione la missione del libro: fermarsi e chiedersi se anche Hitler è stato uomo e infine darsi una risposta amara ma oggettiva: sì, lo è stato.

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Commenti

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Considerazioni che reputo condivisibili.
Libro che ho molto apprezzato, quello preferito tra i testi letti dell'autore.
In risposta ad un precedente commento
Calderoni
18 Luglio, 2023
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Grazie Emilio.
Condivido. Trovo Uomini e no la naturale continuazione stilistica e contenutistica di Conversazione.
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