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Cambiare binario
Per una volta siamo fuori dai confini ristretti del romanzo autobiografico e familiare in cui si crogiolano le nostre patrie lettere e la pigrizia dei lettori.
Cesco Magetti, consumatore instancabile dell’idrolitina e tormentato da un mal di denti non curato per la fobia dei dentisti, nonché soldato della Guardia ferroviaria di Asti durante la Repubblica di Salò, riceve un incarico da cui potrebbe dipendere l’esito della seconda guerra mondiale: la ricerca di un libro (ancora un libro, dopo Eco e Calvino) contenente la mappa delle ferrovie messicane, in grado di condurre ad una cittadina dove sarebbe nascosta un’arma risolutiva e fatale (riflesso sarcastico di una delle ossessioni hitleriane, rimasta tale per buona sorte del mondo). L’ordine pare sia partito dai più alti comandi tedeschi e forse dallo stesso Führer. La sproporzione tra la missione e colui che è chiamato a compierla è di tutta evidenza e ci immette subito nel regno della parodia e dell’intertestualità (inserimento e/o citazione all'interno di un’opera di altri testi) : la “quest”, cioè la ricerca da parte dei cavalieri medievali, e segnatamente di Parsifal, del Santo Graal, assume un carattere comico, talora grottesco, e come accade di frequente nel romanzo postmoderno, la storia non viene ignorata, ma viene colta in un suo filone inusuale o deformata, magari “abbassata”, in modo che protagonisti e vicende assumano le maschere quotidiane del ridicolo e dell’inadeguatezza.
L’interazione del romanzo con personaggi e generi letterari diversi non si ferma certamente qui, ma è disseminata nell'intero romanzo, fino a diventarne elemento costitutivo. Se ne citano qui solo alcuni esempi tra i tantissimi: la cerimonia alla quale partecipa Hitler in uno dei primi capitoli, con Eva Braun che lo corregge e lo esorta a non adoperare il termine straniero “outfit”, ricalca per stile, incedere ripetitivo del linguaggio, paradosso, una farsa di Ionesco; la tipica atmosfera kafkiana che investe e stritola l’uomo con la sua burocratica insensatezza, riecheggia nel capitolo segnato dal procedimento disciplinare ai danni di Bardolf Graz, il primo ad aver avuto tra le mani il libro misterioso; esplicito, infine, il riferimento ad un celebre racconto di Borges, “Il giardino dei sentieri che si biforcano”, che avrà una funzione attiva in una delle tante storie contenute nel romanzo.
Ci fermiamo qui, ma “Ferrovie” è una miniera di citazioni, allusioni, rimandi e forse cade opportuno a questo punto l’invito del critico Marco Drago, nella postfazione, a non restare vittime di questo gioco letterario astuto e a non lasciarsi irretire dai continui riferimenti, alcuni veri, reali, altri frutto di invenzione, da questo continuo “ confondere le carte equiparando verità e fantasia senza dare appigli al lettore” (Guido Almansi). L’universo di internet a volte può chiarire, ma spesso può divenire un pozzo senza fondo nel quale è facile perdersi.
Certo è che la digressione è una componente essenziale del gioco narrativo di Griffi, con questo scaturire di nuovi racconti dai precedenti, che dà a volte l’impressione di un espandersi all’infinito, come se la narrazione potesse non aver mai fine.
A ciò corrisponde il continuo variare della voce narrante, fino al punto estremo di quei capitoli in cui lo stesso personaggio ora viene raccontato da un narratore esterno, ora prende la parola e continua il discorso in prima persona. In questo modo la verità si frantuma in un gioco di specchi e di punti di vista, e viene meno ogni ancoraggio sicuro per il lettore.
Anche i registri della lingua variano di continuo, con una dominanza del lirico e dell’ironico, l’uno complementare all’altro. L’umorismo, in questo caso macabro, tocca vertici impagabili nell'episodio della partita di golf, nel quale alti ufficiali tedeschi discutono su come proseguire il gioco dopo che la pallina si è fermata sul cadavere di un soldato.
La lingua svaria da un italiano denso di aggettivazione e di scelte lessicale raffinate all’uso dei dialetti (il piemontese, il romanesco, il sardo logudorese), dai forestierismi, specie germanici, ai quali non è estranea una connotazione ironica, fino all'impiego di gerghi specialistici come lo zerga malavitoso.
Sotto il gioco postmoderno si colgono istanze umane di grande respiro, come il rifiuto del nazifascismo, attraverso la sottolineatura delle sue violenze, insensatezze, disumanità, dell’antimilitarismo e qualche riferimento ancor più attuale, come la pratica devastante dell’elettroshock cui viene sottoposta Tilde e l’implicito sostegno alla causa dell’eutanasia, invocata inutilmente dalla povera vittima.
Cesco è chiamato a prenderne coscienza. Forse anche il suo mal di denti ne uscirà sconfitto, senza l’aiuto degli odiati dentisti e dell’aborrito trapano. Dalla realtà che vive di persona o da quella in cui si rispecchia attraverso gli infiniti racconti del mondo, potrebbe emergere un uomo nuovo e migliore.





























