Guanti bianchi Guanti bianchi

Guanti bianchi

Letteratura italiana

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Sarajevo, 28 giugno 1914. Sei colpi di rivoltella freddano Francesco Ferdinando d’Asburgo e Sophie Chotek, sposa morganatica dell’erede di Francesco Giuseppe perché “non abbastanza nobile” per diventare imperatrice. In sette capitoli, corrispondenti ai giorni in cui si dipana la querelle fra l’opinione pubblica e Alfred di Montenuovo, incaricato di organizzare le esequie, Edgarda Ferri racconta le discussioni, i puntigli, i compromessi dell’inquietante Gran Ciambellano di Corte, che non riconosce Sophie come moglie legittima dell’erede al trono, arrivando a concederle soltanto un paio di misteriosi guanti bianchi posati sulla bara, poggiata a terra e lontana da quella del marito, issata su un enorme catafalco ornato dai simboli imperiali.



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Guanti bianchi 2016-04-03 16:40:30 Renzo Montagnoli
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Renzo Montagnoli Opinione inserita da Renzo Montagnoli    03 Aprile, 2016
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La fine di una dinastia

Il 28 giugno 1914, a Sarajevo, vittime di un attentato dei nazionalisti serbi persero la vita l’erede al trono dell’impero austro-ungarico Francesco Ferdinando d’Asburgo e sua moglie Sophie Chotek; l’evento in sé, per quanto grave, sarebbe stato confinato nei fatti, non sempre lieti, che costellano la storia se non avesse invece costituito il pretesto per l’inizio di un conflitto enormemente sanguinoso, più conosciuto con il nome di prima Guerra Mondiale. Se forse è vero che nessuno voleva uno scontro aperto, è altrettanto vero che nulla fu fatto per impedirlo, con conseguenze nefaste per chi vi si impegnò militarmente soprattutto per tentare di risolvere il problema, invece ormai senza soluzione, di una inarrestabile decadenza. Furono sufficienti infatti pochi anni per cancellare dalla scena europea alcune grandi monarchie, che ormai da tempo apparivano in inesorabile declino; sparirono così i grandi regni e imperi di Russia, di Turchia, di Germania e di Austria-Ungheria. Perché ciò avvenne? Perché una grande dinastia quale quella asburgica giunse alla fine dei suoi giorni? E’ a queste domande che Edgarda Ferri intende rispondere con il suo romanzo storico Guanti bianchi, partendo proprio da quel funesto 28 giugno 1914. Ed è lì che con l’improvvisa scomparsa dell’Arciduca, nel vuoto di un potere rappresentato dall’imperatore Francesco Giuseppe, vecchio e stanco e soprattutto atrofizzato nel suo personaggio di regnante, padre di tante patrie di cui ormai non conosce più i figli, prende corpo una figura normalmente non di primo piano in una dinastia, ma che nella circostanza ha il potere di dettare regole e comportamenti a cui tutti devono soggiacere. Si tratta del principe Alfred di Montenuovo, il Gran Ciambellano, il cui compito è ora di organizzare le solenni esequie, secondo un protocollo rigido, pomposo, fuori di ogni logica e anche fuori dal tempo. Lui può tutto, ciò che decide è legge e deve essere obbedito; è un uomo insensibile, perfino gretto, che di certo non aveva in simpatia l’Arciduca, per non parlare si Sophie Chotek che, per quanto contessa, era troppo poco nobile per sposare un erede al trono. Infatti il futuro imperatore d’Austria avrebbe dovuto sposare solo una figlia di re e ce ne volle a Francesco Ferdinando per convincere Francesco Giuseppe a dare l’assenso al matrimonio, assenso frutto di un compromesso di una meschinità incredibile: la sposa avrebbe dovuto vivere nell’ombra, come se non ci fosse stata. E anche questo è un bel problema per il Gran Ciambellano, costretto a far convivere un funerale di prima classe con un altro di terza, un catafalco immenso su cui collocare il corpo dell’arciduca e qualche cosa di infinitamente più modesto per la moglie. Tuttavia, per gentile concessione, in un apparente impeto di umana pietà, il principe di Montenuovo consentirà che sulla bara di Sophie, esposta per due ore nella cappella palatina dell’Hoffburg, vengano messi un paio di guanti bianchi e un ventaglio nero. Perché? Per sancire un indiretto legame con la famiglia del marito in quanto lei da nubile era stata dama di corte della moglie di un arciduca Asburgo. Sophie era stata solo una dama di corte, quasi una cameriera di rango nobiliare, e tale era da considerarsi ancora. Non si tratta quindi di umana pietà, bensì di un ulteriore affronto a una donna che in vita sua aveva avuto solo il torto di amare l’erede al trono. E in un’atmosfera come questa, nella cappa opprimente del vecchio e stantio che l’attentato ha reso ancora più cupa, è evidente che ci troviamo di fronte alla degenerazione di un sistema che, divorando se stesso, finisce con l’implodere.
Il ritmo è dovutamente lento perché tale deve essere ed Edgarda Ferri ha saputo dare a un dopo (dopo l’attentato) il senso ben preciso di una cerimonia funebre con cui una dinastia finisce con il seppellire se stessa.
Da leggere senz’altro.

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Guanti bianchi 2015-01-03 05:37:16 Bruno Elpis
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Bruno Elpis Opinione inserita da Bruno Elpis    03 Gennaio, 2015
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Matrimonio morganatico

“Guanti bianchi” di Edgarda Ferri è un romanzo storico che narra dell’attentato di Serajevo: l’evento ebbe come vittima l’erede al trono degli Asburgo (“Francesco Ferdinando, che si firmava e si faceva chiamare da tutti Archidux…”) e diede il via alla guerra mondiale.

Delineando il profilo dell’arciduca, l’autrice si sofferma sul rapporto d’amore che lo univa alla moglie sposata con matrimonio morganatico (“Non è un matrimonio tra uguali, bensì un matrimonio morganatico, onde per necessaria conseguenza né alla nostra consorte né ai figli … spetteranno onori, diritti, titoli, blasoni…”) e sul conseguente trattamento che la donna – anche lei vittima - ricevette (“Ogni volta che si accennava alla povera morta, era tutto un incespicare e arrabattarsi fra i termini moglie, contessa, principessa, duchessa, arciduchessa… una donna sposata morganaticamente e morta ammazzata accanto al marito e successore alla corona d’Austria e Ungheria”).

Sullo sfondo dell’opera campeggiano la figura dell’ottuagenario Francesco Giuseppe e l’atmosfera della Vienna crogiolo di cultura (“Sigmund Freud, il dottore che cura le anime, apre la sua casa agli allievi e assistenti per capire i motivi che spingono al suicidio molti giovani appartenenti all’Impero”) ed arti (la “vedova di Gustav Mahler esibisce il suo leggendario decolleté come se fosse un balcone avvolto in una nuvola d’organza…”) in uno strano, contradditorio connubio (“Tutta questa gente scettica e colta, che considera Vienna un laboratorio sperimentale alla fine del mondo…”).

La narrazione, piuttosto lenta, è consigliata a chi abbia uno specifico interesse per l’argomento trattato.

Bruno Elpis

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