Le altalene Le altalene

Le altalene

Letteratura italiana

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Dal giorno in cui, sessant’anni fa, piovve terra sulla terra, e terra nell’acqua, e terra su duemila anime morte, di cui quattrocentottantasette bambini, a Erto il tempo ha continuato a oscillare tra dolore e speranza di rinascita, ricordi tragici e difficili presenti, memoria di una povertà aspra e dura ma viva e vitale che si riflette nel benessere vuoto e triste dell’oggi. La voce narrante di questo romanzo lirico, struggente, ferocemente intimo, conduce il lettore in un continuo andare e venire su e giù nel tempo: il vecchio ricorda e racconta il suo mondo com’era, prima che la cieca avidità dell’uomo lo distruggesse, e insieme racconta la sua vita, l’infanzia e la prima adolescenza, la spensieratezza di tre fratelli che si alterna alla incomprensibile violenza della vita famigliare, e che si deve misurare con il tormento di una comunità stravolta dal dolore. E poi la maturità e la vecchiaia, il presente, che porta su di sé il peso di una vita intera: e il simbolo di tutto questo sono le altalene del paese, che il narratore ricorda nel loro oscillare gioioso tra le grida felici dei bambini, e che vede oggi ferme, vuote, arrugginite. Un racconto poetico e sentitissimo, in cui Corona lascia libero il flusso dei ricordi e si concede ai suoi lettori con assoluta e generosa sincerità. I suoi luoghi, Erto, la diga, la montagna, così come le persone della sua vita, vengono filtrati dal tempo passato, e forse perduto, in un romanzo-monologo dove la profondità e il fascino del racconto sono impreziositi da una voce narrante sempre più risolta e convincente.



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Le altalene 2023-09-20 09:37:14 cesare giardini
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cesare giardini Opinione inserita da cesare giardini    20 Settembre, 2023
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L'altalena della vita

Mauro Corona, il ben noto scrittore, alpinista, scultore del legno, ora anche ospite fisso in una trasmissione televisiva di intrattenimento, evoca in questo nuovo romanzo episodi della sua vita: è un fiume in piena, tutto un susseguirsi di ricordi, rimpianti, speranze, delusioni cocenti, oscillando, proprio come l’altalena della sua gioventù, tra gioie e dolori. Non ha la struttura di un classico romanzo, è un fluire continuo di riflessioni che, ad una prima lettura, può lasciare sconcertati, ma che rivela in tutte le sue sfaccettature un personaggio sincero, aperto, privo di condizionamenti. Tema che ricorre più volte nel racconto è la tragedia del Vajont, quando nel 1963 (Corona aveva appena tredici anni) una frana si riversò sul bacino artificiale della diga causando un’inondazione a valle che causò quasi duemila morti, tra cui quattrocentoottantasette bambini. Questo dato, ripetuto più volte nel racconto, non cancella i ricordi ed esacerba il dolore e la rabbia dello scrittore nei confronti delle colpe di ingegneri e geologi e degli errori di chi poteva evitare la tragedia: “… quella notte non ci volle molto a cancellare vite, pascoli, boschi, culture … morti sopra, morti sotto, supersiti fuggiti e silenzio … sono passati sessant’anni, agli autori del massacro il silenzio del disprezzo”.
Insieme al ricordo dell’immane tragedia, sempre affiorante nel racconto, Corona passa in rassegna a cuore aperto tutta la sua vita: non tralascia nulla, dall’infanzia all’adolescenza, trascorse tra legnate e punizioni incomprensibili da parte di un padre violento, compensate e rese meno insopportabili dall’affetto di nonni e zie, fino alla maturità, agli studi, alle prime letture alternate ai lavori nei campi, alla scalata delle vette, alle prime esperienze come intagliatore e scultore del legno. La vita non scorre facilmente: la morte della madre e di un fratello, alcune traversie giudiziarie, il carattere ribelle, la lotta per liberarsi dall’assuefazione all’alcool segnano il carattere ed i rapporti con il prossimo rendendo il protagonista malinconico, chiuso in sé stesso, ostile al mondo che lo circonda: lo consolano i tanti ricordi della vita trascorsa, l’incanto del paesaggio, il verso del cuculo che si ripete ossessivo, la visione dei boschi e delle montagne che hanno messo alla prova l’abilità dello scalatore e, non ultimo, qualche buon bicchiere di vino. Non mancano amare riflessioni sull’evolversi della nostra società nel tempo, su come eravamo e su come siamo, simboleggiati dall’altalena sullo spiazzo vicino a casa, un tempo ben funzionante e ben oliata, oggi abbandonata e arrugginita. Il simbolo dell’altalena è richiamato più volte, perché Corona è convinto che “… tutto nella vita è altalena. fino all’ultima oscillazione, che può avvenire all’andata o al ritorno, ma questo conta poco. Salute che fugge e torna, amore che viene e va, sole che nasce e tramonta, brutto tempo che arriva, bel tempo che torna. Salite alle vette, calate a valle. Successi e fallimenti, sconfitte e vittorie …”.
Lo stile narrativo è scarno, talora contorto e ripetitivo, ma sempre convincente e appassionato, l’intimo è messo a nudo con sincerità disarmante. Numerose nel contesto le citazioni letterarie che, unitamente alla traduzione di qualche espressione dialettale, sono raccolte a fine romanzo.





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