Niente di vero
Letteratura italiana
Editore
Recensione della Redazione QLibri
Vero o non vero
«Abbiamo sempre manipolato la verità come se fosse un esercizio di stile, l’espressione piú completa della nostra identità. Talvolta ci accordiamo quantomeno il beneficio del dubbio rispetto ai nostri sabotaggi, conserviamo dentro di noi un piccolo spiraglio per ristabilire l’esattezza degli eventi, ma è molto più frequente il contrario: dimentichiamo la menzogna iniziale o il fatto stesso che si tratti di una menzogna.»
Avvicinarsi a un libro quale quello di Veronica Raimo significa in primo luogo accettare una sfida. Una sfida all’analisi e alla riflessione, una sfida volta a confondere e rivelare, una sfida al capire e non capire cosa sia vero e cosa no. A nostra difesa dobbiamo dire che la Raimo ci ha avvertiti, che la Raimo ha premesso che non c’era “Niente di vero” ma, eppure, quel mettersi a nudo, quel cercare risposte e desideri e quello scoprirsi in un non scoprirsi, sono costante di queste pagine intrise di ironia e sarcasmo ma caratterizzate anche da una narrazione non semplice perché tanto costruisce quanto distrugge, quanto disarticola e sfalda. Ma cosa vuol dire davvero mostrarsi? Cosa significa mettersi a nudo, cosa comporta davvero raccontare la nostra storia, la nostra immagine, il nostro volto spesso e sovente frastagliato e frammentato in un vortice di specchi infranti e a loro volta deformati?
«I miei rari tentativi di essere sincera con lei non sono mai presi sul serio, bensì guardati con un misto di sospetto e compassione”, ci dice subito la protagonista, raccontando il rapporto con la madre. E ancora: “Nella mia famiglia ognuno ha il proprio modo di sabotare la memoria per tornaconto personale. Abbiamo sempre manipolato la verità come se fosse un esercizio di stile, l’espressione più completa della nostra identità.»
Ed ecco allora che apprendiamo. Apprendiamo di una famiglia, di una narratrice, di una vita fatta di tante cose ma anche di tante “imposture” e “contraddizioni” di volti che collidono, di verità che si alternano a menzogne o che forse sono semplicemente tali. Perché alle volte quella finzione è necessaria. Impellente. Dovuta. Per vivere, per sopravvivere, per convivere con quei muri eretti proprio da chi più ami e chi più dovrebbe amarti. Ecco allora che quelle pareti non sono solo simboliche ma anche tangibili con mano. Perché erette dal padre, da quell’ansia di mania del controllo che è propria della madre, da un fratello che occupa una scena più vasta del dovuto, da una famiglia che la vorrebbe in un determinato modo e da una società che vorrebbe vederla più canonica e dovuta a quelli che sono usi e consuetudini per il volto femminile, tra questi l’essere madre, ad esempio.
«La maggior parte dei ricordi ci abbandona senza che nemmeno ce ne accorgiamo; per quanto riguarda i restanti, siamo noi a rifilarli di nascosto, a spacciarli in giro, a promuoverli con zelo, venditori porta a porta, imbonitori in cerca di qualcuno da abbindolare che si abboni alla nostra storia. Scontata, a metà prezzo.»
Ed ecco allora che con voce semplice, anche spietata, la Raimo si spoglia e ci confonde e ci porta al confronto. Al tempo stesso ci trascina in un vortice di effetto cambio-scambio, frammento e verità. Il tutto in un perfetto gioco di specchi dove a essere protagonisti è prima di tutto il vivere. Una scrittura che trattiene e che al tempo stesso allontana, non sempre semplice, talvolta quasi un esercizio di stile, ma nel complesso una perfetta padronanza del tema e anche, nel paradosso, del gioco linguistico.
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Opinioni inserite: 2
Tentativo fallito
Ho approcciato questa lettura scegliendo tra i dodici finalisti candidati al Premio Strega, anche nell'estremo tentativo di sciogliere il pregiudizio sul contemporaneo italiano. Non sono riuscita ad apprezzare il lavoro dell'autrice, sebbene a tratti mi abbia divertito, soprattutto all'inizio, quando con tono scanzonato propone la sua bizzarra famiglia, indugiando spesso sul suo essere bambina, particolare e diversa rispetto alle altre. Mi ha poi stancato questo tono comico e man mano che la bimba si è fatta adolescente, arrivando poi allo stadio di donna, la lontananza si è fatta incolmabile. Ha contribuito sicuramente la dichiarazione di poetica - in fondo già presente nel titolo che si riferisce a Vero quale diminutivo di Veronica e sinonimo di verità - consistente nel confondere il lettore preavvisandolo che quanto raccontato forse oscilla tra il piano della realtà e quello della finzione, unita a un universo di esperienze che mi sono sembrate lo specchio di un essere irrisolti che non ha nulla di poetico ma solo il retrogusto tragico di un fallimento generazionale.
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Vero o presunto?
….” Eppure come si fa a riconciliarsi con qualcosa o con qualcuno se i propri ricordi sono sfumati, se mutano nell’ atto stesso di formarsi?”… “ Una storia è un concetto ambiguo. Per me scrivere è essenzialmente questo. Scrivo cose ambigue e frustranti”…
“ Niente di vero “ di Veronica Raimo, è un lungo monologo razionale ed emozionale che attraversa una memoria sbiadita, ondivaga, camaleontica, un soffio gelido di una donna irrisolta che parla a se’ di se’, tra incertezza, insoddisfazione, ambiguità.
L’ autrice risale all’ infanzia per riproporre una sofferenza sospesa, sensazioni vivide, assenze protratte, presenze inquietanti, domande inevase, una precoce idea di fuga in un microcosmo gravoso e intollerabile.
Una famiglia da sempre luogo inappropriato, teatro di una recita consolidata, sempre quella, parole, suoni, voci, un cordone ombelicale impietoso e mai spezzato, presenza ossessiva, la protagonista cosparsa di un umorismo gelido e di un sarcasmo che la obbliga a dissimulare.
La vita di Veronica è stata una madre esageratamente apprensiva che le telefonava a tutte le ore e un padre sottilmente paranoico, vissuta all’ ombra di un fratello esageratamente brillante, debilitata da uno specchio che le rimandava spezzoni di vite altrui mentre ignorava la sua, un desiderio di visibilità in una routine domestica rivolta altrove .
Noia, educazione ferrea, poche attenzioni, tanto controllo, come sfuggire a una madre …”perennemente depressa che ascolta continuamente radio 3 “…e a ..”un uomo collerico che costruisce muri dentro casa”…?
Quale educazione sentimentale in un’ infanzia di reclusione e di isolamento, letture noiose, nessun futuro, quali sogni e desideri, laddove tutto è …”dopato dalla noia, persino il proprio corpo”…?
Che cosa generano invisibilità e solitudine affettiva, che cosa rivela la scrittura se non il vissuto dentro?
L’autrice si spinge tra vero e presunto, critica e autocritica, consapevole della propria incompletezza e fragilità, vive uno stato di nausea, la sua scrittura esplora un copione cangiante, parole ricoperte di ambiguità, una versione che agli occhi altrui pare diversa, in uno stato di adattamento, un tentativo fallimentare di evasione dalle mura domestiche per non morire dentro.
Immagini indelebili, il ricordo di una madre a letto con l’ emicrania e la bandana in testa piena di figlie surrogate, un padre collerico che urla in continuazione e continua a disinfettare la figlia dalla testa ai piedi, una bambina con un brutto carattere, secca, taciturna, depressa, una futura donna senza seno, un nonno amabile con cui trascorrere tanto tempo, una nonna piena di omissis per la quale provare un affetto mai nato, la convivenza con un fotografo nella reciproca disabilità visiva.
Gli angoli bui della propria infanzia riveleranno una ragazza e una donna con un brutto carattere in una terra di mezzo, sospesa tra l’ abbandonate e il riprendere, che continua a cambiare casa e vive bene in quelle degli altri, che la notte fatica a dormire, affetta da una collera ancestrale, priva del senso di coppia e del desiderio di maternità, che non chiama per nome i propri amori, con una scarsa autostima, sopraffatta dai sensi di colpa.
L’esito sarà un aborto in età tardiva e la rinuncia a ciò che avrebbe reso diverso il presente: ..” diventare quello che fingeva di essere, accettare”…. …” di allungare la mano e tagliare i ponti con la famiglia”…, …” partire per un posto qualunque, restare sulla strada, sparire”….
“ Niente di vero “ è un romanzo famigliare e personale in un ambito in cui ..” ognuno ha modo di sabotare la famiglia per tornaconto personale”… dove si è sempre manipolata la verità, in cui la scrittura attraversa una rappresentazione poco gratificante, non imprescindibile ed è definita ambigua e frustrante.
Assistiamo a un ritratto spietato e irrisolto in un microcosmo anomalo e delirante, una donna che non è riuscita a evadere e a riscattarsi dal passato, ma non è certo che abbia voluto farlo, che si conosce perfettamente, con una fragilità risoluta dentro la quale nascondersi e rivelarsi.
L’esito è l’ennesimo romanzo italiano che si dibatte tra vero e presunto, privo di solidità narrativa e di forza espressiva, di una narrazione credibile e realmente profonda, insomma di maturità letteraria, oltre quel solco di parole ammalianti e fini a se stesse che nascondono un oceano di fragilità e inconcludenza, una trama che si contorce e si bea di un senso insensato con poco di …ambiguo e frustrante…, se non per il lettore medesimo…
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- sì
- no