Narrativa straniera Racconti Niente canzoni d'amore
 

Niente canzoni d'amore Niente canzoni d'amore

Niente canzoni d'amore

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Può capitare di richiedere “il rinnovo della patente” alla persona sbagliata, e di ritrovarsi fra le cosce di una prostituta. E di salire poi in macchina, accendere la radio, e sentire una di quelle terribili canzoni d’amore di cui è pieno il mondo. No, questo è troppo: una cosa del genere non è musica per le orecchie di chi da tempo ha archiviato certe smancerie romantiche e crede soltanto nell’istinto sessuale, nel mero bisogno impellente di liberare «quell’elettricità puzzolente che continua a mandare avanti la bruttezza della specie attraverso l’inutilità dei secoli». Ed è proprio un rabbioso senso di inutilità a legare i mondi e gli uomini né felici né infelici che popolano questo libro. Una condizione comune a cui è bene non pensare troppo. Meglio rifugiarsi in un bar caldo e rumoroso: uno sgabello libero, quattro chiacchiere col barman per sollevarsi un po’ e whisky a fiumi. Perché una sana bevuta è il solo modo per non pensare a una vita che non va da nessuna parte, fatta di lavori noiosi e stupidi, giornate sempre uguali e sesso comprato a poco prezzo. Può succedere che qualcuno tenti di dare un senso alla propria esistenza, chi mettendosi a capo di un corteo di barboni, chi scommettendo ai cavalli, chi scoprendo la scrittura come migliore reazione all’insonnia. In un modo o nell’altro, in ogni nuova storia di Charles Bukowski, la vita appare sempre come una beffarda presa in giro dei desideri umani, amara trasfigurazione di tutte le squallide realtà legate alla sua figura di bevitore incallito, di frequentatore delle corse dei cavalli e della boxe, riflesso mostruoso della vita di certe città americane. Una vita restituita dall’acre realismo del punto di vista bukowskiano, che maledice l’onnipotenza del caso e al tempo stesso vi soccombe senza opporre resistenza, e che porta in seno il nocciolo di una vitalità tenera e disperata.



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Niente canzoni d'amore 2018-01-08 17:50:03 cesare giardini
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cesare giardini Opinione inserita da cesare giardini    08 Gennaio, 2018
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La via dell'inferno si percorre in solitudine.

Sono ventuno racconti che Bukowsky ha scritto quando ormai aveva passato la sessantina, viveva abbastanza agiatamente e si godeva una notorietà da scrittore “on the road”, più apprezzato all’estero che nell’America della recessione in cui aveva trascorso gli anni giovanili e forse meno ancora nell’America bigotta e benpensante del secondo dopoguerra. E’ un Bukowsky dalla scrittura meno “sporca”, più riflessivo, che sembra guardare dall’alto le banali vicissitudini dei suoi simili, noiose, ripetitive, contorte, minate dall’ipocrisia e da un’insulsa litigiosità. Dopo il racconto “Il figlio del demonio”, allorquando il padre manesco e autoritario l’aveva definito tale dopo una cruenta scazzottata del piccolo Charles con gli amici, ecco tutta una serie di racconti sulla vita grama dei barboni, sulle corse dei cavalli, sulle rivalità economiche tra giocatori di baseball, sulla boxe, sugli inconvenienti della notorietà e delle meschine beghe nel mondo dello spettacolo. Senza tralasciare mai la consueta bottiglia di vino rosso, compagna inseparabile e necessaria per fronteggiare notti insonni e incontri occasionali, e per stare veramente bene e in pace con sé stesso. Un Bukowsky maturo, che rinuncia in parte al linguaggio crudo di scrittore cinico e maledetto dei primi romanzi e descrive aspetti della società dei suoi tempi con ironia e sarcasmo. Del resto, nel racconto “Scrittori”, introduce nella vicenda la figura di tale Fottowsky (alter ego di Bukowsky stesso) che, in contrapposizione ad altri mediocri scrittori che invidiano la sua fama, afferma che essa è dovuta alla capacità di buttar giù sulla carta quello che si pensa, così, semplicemente e senza fronzoli. E, niente canzoni d’amore! Caro, vecchio, geniale ubriacone, che sta “particolarmente attento a non parlare di Dio”, perché “eterna risorge sempre la speranza, come un fungo velenoso” e la via per l’inferno, dove c’è sempre un sacco di gente, è meglio percorrerla in solitudine.

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Romanzi, poesie e racconti di Charles Bukowsky.
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