Narrativa straniera Racconti Le cose che abbiamo perso nel fuoco
 

Le cose che abbiamo perso nel fuoco Le cose che abbiamo perso nel fuoco

Le cose che abbiamo perso nel fuoco

Letteratura straniera

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Piccoli capolavori di realismo macabro che mescolano amore e sofferenza, superstizione e apatia, compassione e rimpianto, le storie di Mariana Enriquez prendono forma in una Buenos Aires nerissima e crudele, vengono direttamente dalle cronache dei suoi ghetti e dei quartieri equivoci. Sono storie che emozionano e feriscono, conducendo ¡I lettore in uno scenario all'apparenza familiare che si rivela popolato da creature inquietanti. Vicini che osservano a distanza, gente che sparisce, bambini assassini, donne che s'immolano per protesta. Quello di Mariana Enriquez è un mondo dove la realtà accoglie le componenti più bizzarre e indecifrabili della natura umana, e dove il mistero e la violenza convivono con la poesia. Sullo sfondo di un'Argentina oscura e infestata dai fantasmi, con la sua brillante mescolanza di horror, suspense e ironia, “Le cose che abbiamo perso nel fuoco” ha fatto di Mariana Enriquez la risposta contemporanea a Edgar Alian Poe e Julio Cortázar, la voce più interessante della nuova letteratura sudamericana. Una voce intensa e diretta, che racconta di personaggi brutali e talvolta buffi, trascinando il lettore in una spirale fascinosa e disturbante cui è difficile resistere.



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Le cose che abbiamo perso nel fuoco 2023-05-12 09:04:55 andrea70
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andrea70 Opinione inserita da andrea70    12 Mag, 2023
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Inquietante quotidianità

12 racconti. 12 storie che prendono spunto dalla quotidianità, da una quotidianità perversa, malsana, da vicende che leggiamo sui giornali pensandole lontane da noi e dal nostro modo di vivere.
L'autrice le ambienta in una Buenos Aires cupa, sporca , quasi crepuscolare, protagoniste le donne e i bambini, vittime di sopraffazioni, malconsiderazione, violenze fisiche ma soprattutto psicologiche da parte di uomini vili e meschini prima ancora che crudeli. Alcuni di questi racconti , a cavallo tra il weird, l'horror/macrabro e la cronaca nera si spostano sul terreno del soprannaturale con presenze spettrali e situazioni decisamente molto forzate. Le donne, nonostante tutto, si fanno carico dei loro fardelli e cercano di affrontare le situazioni per quanto paurose e a volte razionalmente inspiegabili , gli uomini nella migliore delle ipotesi sono spettatori disinteressati, empaticamente assenti quando non apertamente ostili. Scordatevi l'horror esplicito e semplice, qui si parla di una paura quasi sussurrata che cresce di pagina in pagina sotto forma di inquietudine, di un senso di abbandono, si è soli di fronte a qualcosa dai contorni spaventosi ma spesso incerti oppure limpido nella sua follia ma ugualmente tremendo per quella orrenda sensazione che l'orrore sia la normalità e chi lo combatte appartenga ad un mondo fuori. L'ultimo racconto, quello che ispira il titolo, è devastante dal punto di vista morale: le donne si danno fuoco da sole dopo una serie impressionante di episodi di violenza in cui mariti e compagni hanno sfigurato le loro donne col fuoco appunto a voler significare che il loro essere più profondo i loro valori e la loro forza riescono a sopravvivere a questo orrore fino a trasformarlo in una nuova forma di bellezza, ci volete così per punirci e sottometterci ebbene noi stesse ci riduciamo così e vi facciamo vedere che non ci pieghiamo , mai. Davvero inquietante, ho dato 3 alla piacevolezza perchè effettivamente quello che si legge non è "piacevole" per nulla , ma come valore morale meriterebbe 5.

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Le cose che abbiamo perso nel fuoco 2023-04-18 04:56:21 enricocaramuscio
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enricocaramuscio Opinione inserita da enricocaramuscio    18 Aprile, 2023
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Il male adesso

“Non devo inventarmi Chtulhu, mi basta un fiume avvelenato e dei poliziotti. Quello è il male adesso. L’orrore nella nostra realtà è vero, è intorno a noi”. Così Mariana Enriquez, stimata giornalista e astro nascente della letteratura sudamericana, parla a proposito della sua raccolta di dodici racconti dalle cupe pennellate horror e dei paragoni che si sprecano con grandi maestri del genere quali Poe, King e, appunto, il Lovecraft di cui la scrittrice argentina cita il mostruoso personaggio. In effetti, se le atmosfere, le vicissitudini, i personaggi, l'incedere, creano nel lettore un richiamo quasi automatico verso maestri del genere, è pur vero che la peculiarità delle storie racchiuse in "Le cose che abbiamo perso nel fuoco" sta nel fatto che il vero orrore scaturisce più da fatti, situazioni, circostanze tristemente legate alla cronaca, all'attualità, alla quotidianità di situazioni reali troppo spesso crude, violente, che dalla macabra, irreale fantasia che caratterizza spesso le opere della categoria in questione. Infatti un fiume avvelenato dagli scarichi delle fabbriche, le conseguenze che le sue acque putride hanno su chi non può fare a meno di utilizzarle, la polizia che getta in acqua i corpi di due detenuti, fanno decisamente più paura degli spiriti degli stessi che tornano a circolare dopo la morte. Così com'è più spaventosa la situazione di un bambino in catene costretto a subire soprusi del fatto che il suo spettro si nutra di animali vivi. Perché la violenza fisica e psicologica che troppo spesso i mariti esercitano sulle proprie consorti terrorizza più di qualsiasi testa di scheletro, i genitori tossici che vendono i figli per potersi comprare la droga fanno decisamente più orrore di qualsiasi stregoneria, perché nessun fantasma potrà mai infestare un edificio quanto l'incancellabile ricordo delle violenze che lì dentro furono perpetrate dalla dittatura militare. La forza dell'opera di Mariana Enriquez sta proprio nel partire da realtà che troppo spesso siamo costretti a conoscere dalla stampa, dalle televisioni, a volte dalle nostre stesse strade, dalle nostre case o da quelle dei nostri vicini, la sua maestria sta nel saperle egregiamente mixare con elementi religiosi, culturali, con tradizioni e superstizioni, con il giusto equilibrio tra realtà, fantasia e folclore, e in una penna che sa essere cinica, pungente, accusatrice, ma a suo modo anche calda e coinvolgente. Dodici storie, ambientate per lo più a Buenos Aires, ma in generale in un'Argentina nera, soffocante, spesso povera, disagiata, violenta, dove le protagoniste sono sempre ed esclusivamente donne e gli uomini appaiono come fastidiose comparse, atroci antagonisti, patetici antieroi. Donne forti e donne sopraffatte, donne indomite e donne stanche, donne razionali e donne passionali, alle prese con mostri molto più pericolosi di quelli creati dalla fantasia e troppo spesso costrette a gesti estremi di coraggio, stoicismo, incoscienza, anche ai limiti dell'autolesionismo, come nel caso del racconto che dà il titolo alla raccolta. "Molte donne cercavano di non stare da sole in pubblico per non essere infastidite dalla polizia. Tutto era diverso da quando erano iniziati i roghi. Erano trascorse poche
settimane da quando le prime donne sopravvissute avevano iniziato a mostrarsi in pubblico. A prendere l'autobus. A fare la spesa al supermercato. A prendere il taxi e la metropolitana, aprire conti correnti bancari e godersi un caffè ai tavoli all'aperto dei bar, con le orribili facce illuminate dal sole del pomeriggio, reggendo la tazze con dita a cui talvolta mancavano delle falangi. Avrebbero trovato lavoro? Quando si sarebbe arrivati a quel mondo ideale di uomini e donne mostruose?...Silvina sentiva di avere le lacrime agli occhi per la rabbia. María Helena aprì la bocca e disse qualcos'altro, ma Silvina non la stette a sentire e sua madre proseguì. Le due donne continuarono a conversare alla luce malata della sala dei colloqui del carcere, e Silvina le sentì solo dire che erano troppo vecchie, che non sarebbero sopravvissute a un rogo, un'infezione le avrebbe ammazzate in un secondo, ma Silvinita, ah, chissà quando si deciderà Silvinita, sarebbe un'ustionata magnifica, un autentico fiore di fuoco."

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