Nove racconti Nove racconti

Nove racconti

Letteratura straniera

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Il punto di partenza di questi racconti è il «parlato» più colloquiale e modulato sulle effimere cadenze della moda; ma Salinger trae dai suoi dialoghi, dalle sue impalpabili storie quasi un arco di musica teso su un vortice di squallore. Per Salinger solo i bambini e chi ha vissuto l’orrore della guerra sono vicini alla verità. Il dialogo dei bambini è una finestra su una realtà diversa e vertiginosa, come le domande dei sapienti «zen» ai loro discepoli. Ma anche una conversazione pomeridiana tra amiche o la telefonata d’un uomo che è a letto con una donna non sua diventano occasioni di poesia nutrita di grande pietà umana.



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Nove racconti 2020-07-22 07:56:25 La Lettrice Raffinata
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La Lettrice Raffinata Opinione inserita da La Lettrice Raffinata    22 Luglio, 2020
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Istantanee di disagio borghese

"Nove racconti" è una racconta di brevi storie (tutte tra le venti e le trenta pagine), scritte da Salinger tra il 1948 e il 1953, anno in cui sono state pubblicate per la prima volta in un volume unico.
I racconti presentano molti elementi in comune, pur non essendoci un filone narrativo unico, né collegamenti dati dalla presenza degli stessi personaggi; l'unica eccezione riguarda la famiglia Glass, già protagonista nel duo formato da "Alzate l'architrave, carpentieri" e "Seymour. Introduzione", che in questa raccolta torna con i fratelli Seymour e Beatrice "Boo Boo", rispettivamente nel primo e nel quinto racconto, anche se sono presenti dei lievi accenni ai membri di questa famiglia in altre storie.
Senza entrare nel dettaglio dei singoli racconti -cosa che ne pregiudicherebbe la lettura ad altri, vista la loro brevità-, si può notare come, già dai personaggi principali, siano evidenti molte analogie: la maggior parte sono agiati borghesi, che Salinger mette alla berlina sottolineandone l'attaccamento ai beni di lusso

«-Se quella valigia non può reggere un bambino di dieci anni [...], non è degna di stare nella mia cabina,- disse la signora McArdle, senza aprire gli occhi.»

o ad altri elementi che possano indicare il loro status. Impegnati quasi esclusivamente in attività di diletto, come chiacchierare nei salotti o rilassarsi in vacanza, questi personaggi sono la personificazione di una sensazione di malessere, un disagio che impedisce loro di essere felici nonostante tutti i confort. Sotto questo aspetto molti di loro ricordano il protagonista de "Il giovane Holden":

«Prese una sigaretta dal proprio pacchetto, ignorando quelle contenute in una scatola trasparente sulla tavola, e l'accese col suo accendino.»

come lui, sono persone mediamente giovani, li vediamo sempre impegnate a fumare sigarette e guardano alla vita con un distacco annoiato o dolente.
Questo continuo malessere è causato principalmente da due fattori. Il primo è la difficoltà a stabilire delle relazioni sentimentali, per problemi di incomunicabilità

«Il Capo la teneva per la manica della pelliccia di castoro, ma lei si liberò. Si allontanò di corsa dal campo e [...] continuò finché non la vidi più.»

o di lontananza fisica; i personaggi di Salinger sembrano incapaci di dar voce alle proprie emozioni e lasciano allontanare le persone care, come se una corrente placida ma inarrestabile le portasse sempre più lontano.
Il secondo elemento, che in alcuni casi è collegato strettamente al primo, è la guerra. La raccolta fa riferimento al secondo conflitto mondiale ed alla Guerra di Corea, sia in modo diretto sia attraverso brevi aneddoti, dal momento che diversi personaggi sono proprio dei soldati.

«Mi disse che aveva l'impressione di far carriera anche lui, nell'esercito, ma in una direzione diversa da tutti gli altri. Disse che alla sua prima promozione, invece di dargli i galloni gli avrebbero tolto le maniche della giubba.»

Soldati che rimangono profondamente segnati dall'esperienza militare, tanto da riportare dei deficit fisici e -soprattutto- mentali; da notare come questi vengano considerati con sufficienza dalle persone estranee, che giudicano dall'alto della loro estraneità alle psicopatologie di guerra,

«-Ho scritto a Loretta che hai avuto un collasso nervoso.
-Oh?
-Sì. Lei la trova interessantissima, [...] Dice che nessuno si becca un collasso nervoso solo per la guerra e simili. Dice che tu dovevi già essere un tipo instabile, prima ancora di fare il soldato.»

rappresentate con grande delicatezza e cura da Salinger.
Opposti a questi altezzosi psichiatri dilettanti abbiamo invece i bambini; nei racconti sono quasi sempre presenti, e dimostrano una capacità quasi istintiva nel cogliere la realtà, a dispetto dei loro limiti naturali. Ad esempio, il figlio di Boo Boo afferma che:

«-Sandra ha detto alla signora Snell... che papà è un... grosso... pancione... di un kike.»

fraintendendo la parola kite (ossia, aquilone) ma cogliendo il senso generale della conversazione. Si può notare facilmente come questi bambini tendano ad assumere comportamenti molto maturi, nonché a guardare con una sorta di venerazione alle figure genitoriali assenti.
In linea generale, potete capire come i racconti abbiano un tono prevalentemente triste, trattando anche tematiche tragiche, nonostante ciò non mancano dei momenti più leggeri e quasi umoristici.

«Io -un uomo che aveva vinto tre primi premi, un INTIMO AMICO DI PICASSO (che a quel punto cominciavo a crede di essere davvero)- venivo usato come traduttore.»

In diversi casi inoltre, è presente un colpo di scena finale che capovolge lo sviluppo stesso della storia, almeno per come era stata presentata fino a quel momento. Bisogna ammettere che Salinger riesce davvero a stupire i suoi lettori con una sola frase.

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Nove racconti 2019-08-21 14:50:48 kafka62
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kafka62 Opinione inserita da kafka62    21 Agosto, 2019
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I RACCONTI DI SALINGER

Due morti aprono e chiudono questa raccolta di racconti: due morti molto diverse tra loro per la dinamica – un suicidio e una “disgrazia” profetizzata – eppure in un certo senso simili, quasi consequenziali, perché le vittime sono, come quasi tutti i personaggi del libro, per così dire “border line”, al limite tra normalità e anormalità, con una vena di follia che li rende parenti del “giovane Holden”. Il reduce del primo racconto e il Teddy dell’ultimo sono caratterizzati da una estrema, acuta sensibilità (l’amore per la poesia dell’uno, il genio precoce dell’altro), che, proustianamente, li rende predestinati al “tedium vitae”, alla sofferenza e all’alienazione. Spesso, nei “Nove racconti”, è la guerra a fare da teatro o da sfondo alle vicende, e allora l’alienazione è quella del reduce o di chi ha perso i propri cari in guerra: il protagonista di “A Esma: con amore e squallore” (che non ha più tutte le sue “facoltà intatte”, come si esprime con odioso eufemismo la ricca ragazzina viziata nell’incontro caritatevole, da aspirante dama dell’Esercito della Salvezza, che gli concede prima della partenza per il fronte), il suicida cui si è già accennato (che ben potrebbe essere, anzi – a pensarci bene – forse è proprio la stessa persona), la Eloise de “Lo zio Wiggily nel Connecticut” (che dietro la sua facciata cinica e sarcastica nasconde il dolore per la perdita dell’unico vero affetto della sua vita). Per essi, la disperazione esistenziale ipostatizza la tragedia della Seconda Guerra Mondiale, anche se è probabile che per loro non ci sarebbe stata salvezza neppure in un diverso contesto storico. Dietro di loro, a far trapelare una sorta di orrore soffuso e velato, c’è tutta una serie di bambini, ragazzi o adolescenti di buona famiglia, viziati, ipersensibili, impercettibilmente “tarati” fin dalla nascita, che anormali forse sono destinati a diventarlo più avanti (la figlia di Eloise nel secondo episodio, il fratello della tennista snob in “Alla vigilia della guerra contro gli Esquimesi”, il bambino che scappa sempre di casa in “Giù al Dinghy”, il giovane insegnante che millanta un’inesistente amicizia con Pablo Picasso e che si innamora della suora sua allieva per corrispondenza ne “Il periodo blu di De Daumier-Smith”). A fronteggiarli ci sono quei personaggi che, più corazzati psichicamente, alzano barriere di cinismo, di snobismo e di egoismo per sopravvivere alle tragedie della vita e rimanere a galla a scapito dei più deboli (la moglie del suicida, Esma, la tennista, la sorella di Teddy). Ecco, se proprio un leit motiv di può trovare ai nove racconti (con la sola eccezione del mediocre “L’uomo ghignante” e di “Bella bocca e occhi miei verdi”, una “quasi” pochade alla Feydeau) è proprio questa lotta darwiniana tra forti e deboli, ma non in termini di potere, forza fisica o ricchezza, piuttosto di forza psichica e di sanità mentale.
La narrazione breve è congeniale a Salinger per sfoggiare la sua bravura nei dialoghi, nei quali si disimpegna con incredibile disinvoltura e irrisoria facilità per riprodurre alla perfezione, senza mai ricorrere allo slang, la lingua colloquiale di una classe sociale, la “upper class” americana bianca e urbana, giovane e colta, con il suo annoiato understatement, la sua dissimulata crudeltà, i suoi snobistici cliché. L’ambiente rappresentato è lo stesso dei romanzi di Francis Scott Fitzgerald, ma mentre in questi a prevalere è la luccicante superficie mondana, nei racconti di Salinger domina l’inquietante oscurità dei meandri della psiche.

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Nove racconti 2015-03-17 17:57:26 Romanziere
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Romanziere Opinione inserita da Romanziere    17 Marzo, 2015
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Sunto artistico di uno stile leggero

«La popolarità è la cuginetta zoccola del prestigio.»
Di recente sono stato al cinema. Il film che ho visto (una commedia nera imbevuta d'esistenzialismo), oltre ad offrirmi la frase d'esordio per questa recensione, ha stimolato le mie riflessioni sulla complicata e annosa relazione che sussiste fra la “ribalta” e i “retroscena” del sé; un rapporto coattivo studiato dai sociologi a cui ogni individuo mediaticamente influente è sottoposto. Ne seppe qualcosa Salinger.
J. D. Salinger (1919-2010) rifuggendo in modo estremo proprio da una popolarità e da una fama troppo scomode da sostenere, ha ottenuto di rimbalzo (effetto Streisand) una vera mitizzazione culturale. Quando poi il suo unico romanzo edito assurge a caposaldo della letteratura americana contemporanea, il passo dei lettori verso la mistificazione interpretativa è davvero breve (vedi Mark David Chapman). Per non trasformare il prologo di questa recensione in un mesto volo pindarico, mi affretto a precisare che il film a cui ho fatto riferimento offriva -allo spettatore letterariamente incolto- una luce attraente su tale Raymond Carver. Dove voglio andare a parare? Salinger e Carver sono gli artefici delle due più belle raccolte di racconti che la letteratura statunitense abbia offerto nella seconda metà del XX secolo. Una delle due è “Nove racconti”, 1953 (l'altra è “Cattedrale”, 1983).
Chiunque abbia letto “Il -tristemente tradotto in italiano- giovane Holden” ha forse trovato comodo, facile etichettare Salinger come un autore sopravvalutato (bollandolo di certo inferiore ai vari Cheever, Yates e compagnia bevente), ma tale atteggiamento svuota erroneamente lo scrittore della sua peculiarità oggettiva: quella dirompente freschezza espositiva mirabilmente tesa a velare e sgrassare al contempo (rendendoli così accessibili a tutti) un contenuto e una poeticità di prim'ordine; caratteristica tanto cara a fortunati scrittori che “sporcando” o “onirizzando” proprio quello stile rimangono a lui debitori (Bukowski e Murakami tanto per citare). Salinger ha fatto della leggerezza stilistica (del mostrare senza dire) un'arte, dimostrando al contempo che l'emulazione di tale stile non è affatto cosa semplice (il rischio quello di gigioneggiare).
Leggendo “Nove racconti” si può saggiare la maestria dello scrittore nel “dar vita” ai personaggi: i suoi appaiono caratterizzati a tutto tondo spontaneamente, sono autentici, di una nitidezza familiare che disarma. A chi parla di inconsistenza contenutistica voglio rispondere con due dei titoli della raccolta in questione: “Per Esmé: con amore e squallore” e “Teddy”. Narrazioni dove sbocciano amare le inquietudini della società e di un'intera epoca, narrazioni desolanti che mostrano fiere il disagio esistenziale dell'uomo di fronte alla guerra e alla fede; l'uomo che appare in quel ritratto quotidiano che ha per contrasti le belle illusioni dell'infanzia, illusioni incarnate nella figura dei “bambini di Salinger”, unici custodi della saggezza.
L'isolamento totale perseguito dallo scrittore (rifugiatosi nei boschi del New Hampshire e dedicatosi al buddismo prima e all'induismo poi) ha permesso di scorgere, per rimando, un amore puro e incondizionato per la scrittura, una dedizione per niente millantata ma invece sostanziata: prima dalle continue pubblicazioni sul New Yorker, poi dalla vasta produzione tutt'oggi inedita. All'ombra della disattenzione rimangono le scelte più audaci di Salinger, quali ad esempio l'ostinato desiderio di pubblicare le proprie opere esclusivamente con copertine bianche (affinché non venisse distolta l'attenzione del lettore dalla scrittura), o la continua lotta contro Hollywood per non svendersi. Gli amici della giovinezza (anch'essi scrittori) dicevano di Salinger che “a guardarlo da lontano si capiva che avrebbe pubblicato, che non era come tutti gli altri”. Dire che avevano ragione è superfluo.
“Nove racconti” è il sunto artistico di uno stile, quello di uno scrittore che, dopo averla sedotta, ha fatto l'amore con la scrittura in un modo viscerale. Salinger è forse l'unico esempio di uomo e di artista che ha tradito e ingelosito l'esistenza dei propri familiari preferendo ad essi un'altra famiglia, la sua famiglia letteraria, i Glass. Talvolta gli estremismi risultano ineffabili e nella tristezza di aver letto per intero l'opera già edita, consiglio (a partire proprio da questa raccolta) di approfondire la produzione di uno scrittore controverso che ha concluso la propria esistenza di uomo scrivendo esclusivamente per se stesso.

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Nove racconti 2010-02-23 21:05:30 Minny
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Minny Opinione inserita da Minny    23 Febbraio, 2010
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Nove racconti perfetti

Apparentemente minimalisti questi piccoli capolavori hanno come comune denominatore la solitudine di una vita senza affetti e senza significato: il male di vivere.
Apparentemente in stile dimesso possiedono invece la severa e nitida bellezza di un naratore che sa decantare il proprio stile sino a giungere ad uno stile raffinatissimo.
Si aprono col rumore di un colpo di pistola e si chiudono col grido lacerante di una bimba pccola che è caduta o è stata fatta cadere in una piscina vuota.
E' necessario leggere queste pagine straordinarie con calma e concentrazione, onde coglierne la bellezza e la profondità.

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Consigliato a chi ha letto...
a chi ama i capolavori del Novecento.
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