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Storie ciniche Storie ciniche

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«Deve essere un mio difetto, ma i peccati altrui non mi scandalizzano – sempre che non mi riguardino personalmente». La leggendaria sprezzatura di Maugham pervade tutti i racconti di questa raccolta, popolata di personaggi tanto più veri in quanto tratti dalla sua vita multiforme di medico, scrittore, drammaturgo e agente segreto. Il nostro insaziabile viaggiatore spazia da una bettola di Vladivostok al bel mondo della Costa Azzurra, e il suo occhio spietato mette a nudo con sublime cattiveria, o anche con dissimulata compassione, intime tragedie e abissali fallimenti di un pittoresco campionario umano: impostori di lungo corso, madri efferate, coniugi assassini – tutti in balìa della casualità della vita e della cecità delle passioni.



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Storie ciniche 2012-08-31 08:45:51 pirata miope
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pirata miope Opinione inserita da pirata miope    31 Agosto, 2012
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LEZIONI DI STILE

Maugham nella raccolta di racconti “Storie ciniche”, scritti fra le due guerre mondiali, dà senza averne l’aria una motivazione al suo stile levigato e sarcastico: la vita è oltremodo fantastica, e bisogna avere un senso dell’umorismo tutto speciale per trovarla divertente. E per cogliere il lato umoristico dell’esistenza, la misura breve del racconto, l’antologia di casi esemplari, è l’ideale: brevi ritratti colti nell’espressione divertita con cui ostentano all’alta società intellettuale e cosmopolita inglese dell’epoca la loro paradossalità, riuscendo sempre ad avere “l’ultima parola” al di là del bene e del male. Si tratta di donne di mezza età, dall’aspetto insignificante, come la protagonista del racconto “Jane”, che conquistano ragazzi giovanissimi e poi disinvolte li abbandonano per un altro: il segreto del loro fascino è la sincerità che, talmente insolita da risultare comica per la gente, le fa trionfare nei salotti chic di Londra. Anticonformista al pari delle sue sconcertanti eroine Maughan cerca la lezione di stile nel degradare la tragedia a una posa: in “la pelle del leone” il protagonista muore per recitare fino in fondo la ridicola parte del gentiluomo, in “Prima della festa” alcolismo e omicidio turbano la pace di una famiglia rispettabile la quale, però, convinta che al male ci si fa l’abitudine, non rinuncia a recarsi al ricevimento vestita di tutto punto; la probabile assassina illibata di “la coppia felice” è pronta ad uccidere per sposare l’uomo amato, ma non ad avere una relazione illecita con lui. Osservatore satirico della natura umana, uguale ad ogni latitudine, l’autore introduce se stesso come testimone, diretto o indiretto, delle storie ciniche narrate, individuando in una sorta di saggezza inevitabilmente amorale il trait- d’union fra personaggi ed azioni imprevedibili: il senso morale non è altro che un atteggiamento stantio, non ha risonanza alcuna nell’animo animo, tiene lontano innaturalmente dall’amante in “La virtù” o dal cibo in “Le tre donne grasse di Antibes”, e si risolve in inutili disastri. La bandiera dell’etica sventola a vuoto, sopravvive allo scompiglio solo il bon ton del narrare conversando.

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