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Il piacere
 
Il piacere 2012-02-05 09:09:57 erlebnis
Voto medio 
 
2.3
Stile 
 
3.0
Contenuto 
 
2.0
Piacevolezza 
 
2.0
erlebnis Opinione inserita da erlebnis    05 Febbraio, 2012
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Datato

Andrea Sperelli: un uomo che vuole fare della propria vita un'opera d'arte (sì, ma QUALE opera d'arte?); con l'arroganza di poter codificare qualsiasi cosa secondo i propri criteri (il "Bello": cos'è il "Bello"?). In una Roma depauperata delle sue innumerevoli sfaccettature perché piegata a far da cornice sontuosa e barocca della narrazione, si svolge la vita di un personaggio che, animato dalla costante tensione ad elevarsi dall'ordinarietà dell'uomo comune, alla fin fine, non fa nulla di straordinario. Più che di un'opera d'arte, la sua esistenza è la banale rappresentazione di un rapporto conflittuale con la società borghese. Sperelli ne disprezza i valori in nome di una propria presunta eccezionalità, per poi catalizzare, esasperare quegli stessi valori, come si evince dalla sua brama di possedere dei beni, dagli oggetti d'arte alle donne (ovviamente degradate ad oggetti da collezionare): cosa c'è di originale in questo? Cosa c'è di straordinario? Cosa c'è di antiborghese? Insomma, interessante nel romanzo è solo l'effetto paradossale di riaffermazione radicale dei dis-valori borghesi attraverso il tentativo di mostrarne (in senso etimologico) la "volgarità". Per comprendere appieno come il romanzo sia più banale e datato di quanto si strombazzato all'epoca, è sufficiente: 1) documentarsi sui romanzi a cui D'Annunzio ha attinto a piene mani sfiorando il plagio; 2) notare come l'autore non reinterpreti in modo personale e originale il dualismo che contrappone la donna pura, angelica, a quella sensuale, fatale; 3) leggere il ben più complesso, problematico e originale "Dorian Gray" di Wilde. In poche parole, Andrea Sperelli, pur racchiudendo la quintessenza della distorta idea di personalità eccezionale, straordinaria, che serpeggia tuttora nella quotidianità italiana, fa ormai quasi sorridere, perché non ha la "malattia" tipica dell'uomo moderno, di cui, tanto per fare un esempio, parlava nei suoi saggi Pirandello (autore che, invece, aveva compreso l'improponibile arroganza di chi, alle soglie del Novecento, era cieco di fronte all'agghiacciante ben più realistico avvento del relativismo culturale). Non per niente, D'Annunzio e Pirandello si contrapposero più volte. Datato e ormai muto lo Sperelli; Mattia Pascal (o Vitangelo Moscarda) e Dorian Gray continuano, invece, ad interrogarci e a farsi interrogare.

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Commenti

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Il problema sta nell'aspettarsi da D'Annunzio un approfondimento sociale e/o psicologico. D'Annunzio non è stato nulla di tutto ciò, e la prima cosa che ci insegnano ad apprezzare dello scrittore è proprio la capacità indiscussa nell'uso della parola (dalla prosa alla poesia). D'Annunzio è figlio del suo tempo, figlio di un regime che offuscava il libero pensiero, per esaltare la forma e l'apparenza e tutto questo lo ritroviamo in Andrea Sperelli. Condivido la tua opinione, anche se ritengo che non tutta la produzione di D'annunzio sia da deprecare in maniera assoluta.
In risposta ad un precedente commento
erlebnis
06 Febbraio, 2012
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Concordo. Non tutta la produzione di D'Annunzio è deprecabile. Personalmente, preferisco il D'Annunzio poeta. Grazie per aver commentato la mia recensione.
In risposta ad un precedente commento
Kediler
09 Ottobre, 2012
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concordo con te
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