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Operette morali
 
Operette morali 2016-05-24 19:57:50 FrankMoles
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FrankMoles Opinione inserita da FrankMoles    24 Mag, 2016
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Sogni poetici, invenzioni e capricci malinconici

Le Operette morali di Giacomo Leopardi sono una raccolta di ventiquattro scritti in prosa che spaziano tra la novella e il dialogo.
La conformazione della raccolta prevede la giustapposizione di scritti senza apparente continuità tra loro, sebbene sia sempre ravvisabile l’unitaria linea di pensiero sottesa ad essi. Il titolo della raccolta illustra la finalità di questi scritti: il fine morale è unito all’intento satirico, segnalato dal topico diminutivo, desunto dal retore greco Isocrate, che allo stesso modo attenuò la sua opera d’analoga finalità. Non esistono nelle letterature moderne dei precedenti per il genere letterario adottato da Leopardi, il cui modello è Luciano con i suoi Dialoghi, in particolare con i Dialoghi dei morti, dal momento che spesso ricorrono personaggi e ambientazioni dell’aldilà.
Varie e a tratti indefinibili sono le fonti da cui egli desume la sua materia: questi scritti sono, infatti, contraddistinti da una straordinaria intertestualità che spazia dalla letteratura antica a quella moderna, da quella italiana a quella europea. Per quanto riguarda l’atteggiamento ideologico, è possibile rinvenire tracce dell’ironia del dissacrante Ariosto e dell’illuminista Voltaire. E’ inoltre rilevante sottolineare, accanto all’intertestualità, l’aspetto dell’intratestualità, dal momento che temi, situazioni ed espressioni presenti in quest’opera si potranno agevolmente ritrovare nel resto della produzione leopardiana, ossia i Canti e soprattutto lo Zibaldone, bacino collettore della riflessione filosofica del poeta.

Tra i personaggi compaiono, oltre a quelli d’invenzione, personaggi storici, filosofici, letterari e mitologici; di tutti viene massimamente sfruttata dall’autore la potenzialità simbolica e ideologica: essi sono infatti utilizzati da Leopardi come strumenti per la sua satira politica, sociale ed esistenziale. Importante è che lo stesso autore dichiara programmaticamente che nessuno dei personaggi vada identificato ideologicamente con lui stesso, poiché in caso contrario verrebbe meno l’attrattiva del lettore, che viene invece spinto alla curiosità dall’insinuarsi e dal confrontarsi di più prospettive in certo grado tutte in rapporto con la figura autoriale. Ciononostante, soprattutto alla luce dei riferimenti intratestuali, è possibile rintracciare e interpretare l’ideologia del poeta, massimamente messa in luce dal personaggio di Tristano nel Dialogo di Tristano e di un amico, non a caso posto in chiusura della raccolta, quasi a porre il sigillo all’opera e ad indirizzarne con certezza la comprensione.

L’espediente letterario più frequente, in virtù dello scopo satirico della raccolta, risulta essere necessariamente l’ironia, di cui Leopardi si serve per riflettere e osservare con amara lucidità vari aspetti della vita dell’uomo, ma anche per la più volte affermata capacità taumaturgica del riso, uno dei pochi appigli a disposizione dell’uomo.
Il primo bersaglio della satira è l’uomo stesso. L’uomo è, secondo il poeta, necessariamente condannato all’infelicità per via del connaturato ed inappagabile desiderio infinito di felicità, che si contrappone aporeticamente alla finitezza del suo animo. L’uomo non è che una breve parentesi nella dimensione dell’eternità propria della Natura e dell’universo, i veri nemici dell’uomo, che dovrebbe allearsi coi suoi simili nella sopportazione dei mali comuni. Ricorre spesso dunque l’amara e disillusa considerazione sul destino degli uomini, tanto più forte in coloro i quali ne hanno assunto tale consapevolezza da non poter più nemmeno sperare nell’illusione dell’immaginazione: l’unica via di fuga rimasta è quella estrema, la morte, che più volte viene invocata e desiderata dai personaggi che appaiono ideologicamente affini all’autore, che anche altrove esprime il desiderio della morte come liberazione dall’infelicità esistenziale.
Da questa filosofia materialistica nasce l’aperta critica di Leopardi alla sua epoca, il vile secolo della distruzione delle conquiste illuministiche. L’autore, come anche in altre sue opere, si scaglia contro le fallaci ed ingannevoli convinzioni spiritualistiche ed ottimistiche atte a salvare e consolare gli uomini. L’Ottocento è dunque visto dall’autore come un periodo di regresso ideologico e filosofico rispetto al precedente razionalismo settecentesco, una decadenza che si esemplifica nella caduta di ogni realistico ideale in nome dell’astratto e dell’apparenza, culminanti nel culto dell’effimero, la Moda, significativamente accostata alla Morte.

In un periodo di dibattito linguistico sull’italiano, contrapposto al francese, Leopardi sceglie significativamente di utilizzare l’italiano del registro medio in un contesto filosofico, conferendo alla lingua dignità anche in questo campo. Lo stile è vivo e serrato, funzionale al tono generale meditativo e satirico, dunque con una sintassi sempre elegante e ben organizzata. A livello lessicale, è importante segnalare la frequenza di termini appartenenti alla sfera semantica dell’indefinito e del vago, dell’immaginazione, del ricordo e della speranza, tipici del discorso poetico leopardiano; ciò attenua sensibilmente la distanza tra la sua prosa filosofica e la sua poesia lirica, che risultano perfettamente compenetrate nel genio leopardiano, sospeso tra razionalità e interiorità.

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