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Città di carta
 
Città di carta 2014-08-14 14:57:53 Elisabetta.N
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Elisabetta.N Opinione inserita da Elisabetta.N    14 Agosto, 2014
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Città di carta

John Green sa come colpirmi, questo è sicuro.
Sa come farmi appassionare alla trama, sa come farmi sorridere, sa come farmi commuovere fino alle lacrime, insomma, sa come emozionarmi!

“…Da quassù non vedi la ruggine, la vernice scrostata, ma capisci che razza di posto è davvero. Vedi quanto è falso! Non è nemmeno di plastica, persino la plastica è più consistente. È una città di carta. Guardala Q: guarda quei viottoli, quelle strade che girano su se stesse, quelle case che sono state costruite per cadere a pezzi. Tutte quelle persone di carta che vivono nelle loro case di carta, che si bruciano il futuro pur di scaldarsi. Tutti quei ragazzini di carta che bevono birra che qualche cretino ha comprato loro in qualche discount di carta. Cose sottili e fragili come carta. E tutti altrettanto sottili e fragili. Ho vissuto qui per 18 anni e non ho mai incontrato qualcuno che si preoccupasse delle cose che contano davvero.”

E cos’è che conta davvero?
Quentin, detto Q, pensa di saperlo, ciò che conta è crescere, andare al college e costruirsi un futuro. E come potrebbe essere diverso per lui? Q così equilibrato grazie anche a due genitori psicologi che lo rendono davvero equilibrato. Loro hanno davvero previsto tutto, sì, tutto tranne Margo. Lei, una ragazza popolare, frizzante e spontanea, nonché vicina di casa di Q. Una ragazza che vive alla giornata, apparentemente libera. Ma attenzione a non tradire la sua fiducia perché l’amicizia con lei dopo andrà a “dormire con i pesci”
Non si sa come o perchè, ma una sera Margo decide di far partecipe dei suoi progetti Q, e la sua vita non sarà più la stessa…

John Green con il suo stile semplice, ma che sa andare dritto al punto, è riuscito nello stesso libro a farmi sorridere, preoccupare e persino a farmi piangere con quell’intensità tale da lasciarmi senza fiato.
Nonostante una trama un po’ rocambolesca, la storia rispecchia la realtà soprattutto per quanto riguarda i caratteri dei vari personaggi.

“Gli esseri umani sono sprovvisti di buoni specchi. È durissimo spiegare a noi come ci vedono e durissimo per noi spiegare agli altri come ci sentiamo”

Green racconta le incertezze di una realtà in continua evoluzione, dove i dubbi sono dietro ad ogni porta. Alcuni scelgono di non affondarli e di rimanere nella sicurezza delle proprie convinzioni, altri hanno così fretta di avere risposte da aprire in una volta tutte le porte e poi da scappare da esse non riuscendo a sostenerne il peso.
Ecco la cosa che mi è piaciuta di più, il fatto che, al’interno di una trama a tratti divertente e spensierata, ci siano numerosi spunti di riflessione.

Che dire infine? Davvero una splendida lettura!

“Ognuno all’inizio è una nave inaffondabile. Poi ci succedono alcune cose: le persone che ci lasciano, che non ci amano, che non ci capiscono o che noi non capiamo e ci perdiamo, sbagliamo, ci facciamo male, gli uni con gli altri. E lo scafo comincia a creparsi. E quando si rompe non cìè niente da fare, la fine è inevitabile. Però c’è un sacco di tempo tra quando le crepe cominciano a formarsi e quando andiamo a pezzi. Ed è solo in quel momento che possiamo vederci, perché vediamo fuori di noi dalle nostre fessure e dentro gli altri attraverso le loro. Quand’è che noi ci siamo ritrovati faccia a faccia? Non prima di aver guardato dentro le nostre reciproche crepe. Prima di allora stavamo solo guardando le idee che avevamo dell’altro come se stessimo osservando una tenda dalla finestra e mai la stanza all’interno. Una volta che lo scafo va in pezzi, però, la luce entra. Ed esce.”

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