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La contrada degli ulivi
 
La contrada degli ulivi 2014-11-14 10:56:17 Renzo Montagnoli
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Renzo Montagnoli Opinione inserita da Renzo Montagnoli    14 Novembre, 2014
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Un racconto di straordinaria bellezza

“…Pensava alla neve che lei aveva visto soltanto una volta, lassù, a Camùti, ed era caduta in tante foglioline bianche e si era posta sugli ulivi e sui sassi delle trazzere. Ma subito si era disfatta ed era rimasto un brillio d’acqua sulle cose. Non poteva capire come quella neve potesse accumularsi in colline alte e uguali e le pareva di vedere Luigi Cappellano in tutta quella neve camminare e affondare e gridare, senza che nessuno lo andasse a salvare….”

Scritto dopo Il sarto della strada lunga, il romanzo che è stato l’opera prima di Giuseppe Bonaviri, La contrada degli ulivi è un racconto lungo di straordinaria bellezza, per certi versi forse uno dei migliori lavori dell’autore siciliano.
La vita della gente legata alla terra vi è descritta mirabilmente, con quell’eternità di tempo propria della civiltà contadina, in cui tutto appare ed è immutabile. Si tratta di poveri esseri ancorati al terreno, da cui traggono il minimo indispensabile per sopravvivere, in una condizione di costante precarietà che già Giovanni Verga bene aveva evidenziato in alcune delle sue novelle e che ritroviamo anche In una terra chiamata Alentejo del grande José Saramago.
In ogni caso lo scritto di Bonaviri si differenzia dalle opere di questi due autori per la tendenza - che poi nei suoi lavori successivi si evidenzierà meglio – a un senso dolcemente cosmico, in base al quale è la natura stessa a diventare protagonista, e non solo gli uomini, che ne sono solo una parte. In La contrada degli ulivi il dialogo fra esseri umani e le cose ha una caratteristica di sporadicità, appare come un tentativo, peraltro già riuscito, di dare un senso comune a tutto ciò che esiste, che è presente, uomini, animali, vegetali e perfino i sassi. La narrazione procede come sotto l’incubo di una sempre possibile tragedia, in una vita che più che dare pare togliere, e in questo contesto si innestano tante piccole storie che danno la misura dell’ingrato destino dell’uomo, schiavo di quella terra, su cui si rompe le ossa e che poi finirà con il riprenderselo. Non è certo una visione ottimistica, però guai a pensare che Bonaviri intendesse ridurre l’esistenza a una materialità di semplice nascita, tribolazione e morte, perché in fondo all’uomo è riservata l’ancora di salvezza dell’amore, quasi a dire che l’esistenza si può riassumere in nient’altro che l’amore. E così Rosa, che si è innamorata ricambiata di Luigi, una relazione fatta solo di sguardi, di emozioni, di palpitazioni, quando lui, partito militare per la guerra non farà più ritorno dalla steppa russa, continuerà a sopravvivere nel ricordo di quel sentimento, che nemmeno la durezza del lavoro, le disgrazie, le miserie e la fame potranno scalfire.
Se Il sarto della strada lunga mi è piaciuto tanto, questo racconto per me è ancor più bello e arrivato all’ultima pagina sono stato preso da un pathos da cui non è certo facile liberarsi, e questo sebbene Bonaviri non faccia nulla per muovere a una facile commozione, con una scrittura piana, con descrizioni di asprezze, ma anche con brevi parentesi di struggente poesia, cercando non solo il brutto della vita, ma anche quel poco per cui vale la pena di vivere.
La contrada degli ulivi è, a mio avviso, un autentico capolavoro.

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Il sarto della stradalunga, Il vicolo blu, entrambi di Giuseppe Bonaviri.
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