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Il cappello di Mussolini
Un italiano “non privo di ingegno” centrò in pieno il problema del rapporto tra poesia e storia. Il poeta intuisce, secondo Manzoni, quello che c’è nel profondo dell’animo dei personaggi storici e realmente esistiti. In questo modo, egli “completa” la storia, indagando nel segreto delle passioni e delle motivazioni che ne spiegano l'agire, le decisioni, le scelte.
Ed in piena coerenza con tali premesse teoriche, il conte di Carmagnola, Desiderio, Adelchi, nelle tragedie, Ferrer o il cardinale Borromeo, nei Promessi sposi, vivono, pensano, agiscono, parlano in qualità di personaggi, dicono e fanno cose “verosimili”, che i documenti non riportano o accennano soltanto, ma che “sarebbero” potute accadere e che tocca al narratore immaginare e ricostruire. Così nutrito di storia e di una invenzione sempre calata nel contesto storico, il romanzo consegna ai lettori e agli studiosi un affresco ineguagliato del Seicento, dei suoi mali, delle sue storture, delle sue miserie come delle sue grandezze.
Tutto questo, per Manzoni, si riassume nell’atto specifico del “divinare”, che rende il romanziere diverso dallo storico puro e gli restituisce la sua peculiarità di artista, però non immerso e perduto nei cieli di una fantasia sterile e disancorata dalla realtà.
Perché tornare, parlando del romanzo di Scurati, su queste nozioni che sanno di scolastico e di stantio, ma sono invece ben attuali?
Ogni romanzo storico richiede, forse più di altre declinazioni di questo genere cardine del sistema letterario moderno, una riflessione dell’autore sul modo in cui intende svilupparlo. La bussola che guida Scurati, seguendo la traccia manzoniana, è la documentazione storica, entro i cui confini egli intende muoversi, basando il racconto sempre e comunque su fatti ed eventi reali. A riprova di questo, correda ogni capitolo con testi e documenti ufficiali: editoriali e articoli di cronaca politica, rapporti della pubblica sicurezza (memorabile il ritratto che l’ispettore generale Giovanni Gasti disegna di Mussolini nella primavera del ‘19), manifesti dei partiti, discorsi e scritti dello stesso capo del fascismo, per mostrare al lettore i supporti documentali della ricostruzione effettuata. La trasformazione di Mussolini, come dei suoi comprimari o degli avversari, in personaggio e quindi in creatura dotata di una propria vita artistica, trova per questo un limite chiaro ed esplicito nelle stesse premesse indicate dall’autore. Sarebbe un esercizio presuntuoso e sterile mettere in discussione la poetica di uno scrittore, ma, pur accettando il principio che si è dato, non sarebbe stato lecito, con la forza dell’intuizione, immergersi con maggiore determinazione nel “porto sepolto” del fascismo e dei suoi rappresentanti, vietato alla ricerca dello storico?
Scurati, che è, non dimentichiamolo mai, uno storico, non azzarda e non vuole azzardare, anche se ha dichiarato in un intervista apparsa su Il libraio nel settembre scorso, di aver già fatto grosse concessioni al romanzesco. Proprio in questa occasione cita, insieme ad altri, Carrère come esponente del romanzo storico contemporaneo, mostrando così di considerarlo, se non un modello, comunque un punto di riferimento. Eppure non lo vediamo interagire con le sue creature, entrare in un rapporto dialettico con esse, accompagnarle con ipotesi, dubbi, problematiche finanche personali e desunte dalla propria esperienza di vita: ciò che rende vitali e impareggiabili le riletture di Carrère, poniamo del mostro de L’avversario, di Limonov o di Paolo di Tarso e di Luca ne Il regno.
Il romanzo oscilla così tra la trattazione storica e la rielaborazione letteraria, propendendo in genere per la prima e limitando la libertà creativa ad una sapiente ricostruzione logica e cronologica, che aiuta a comprendere i fatti, rifrange in numerosi quadri la dinamica degli eventi, ne illumina brillantemente i rapporti di causa ed effetto, squarciando con un’opera di forte impegno il panorama asfittico e talora solipsistico della narrativa italiana. Il quadro è ampio e articolato e ne fanno parte figure femminili come le amanti del duce e, con esiti particolarmente felici, la Sarfatti; letterati come D’Annunzio, precursore sconfitto ed emarginato del duce, o Marinetti, il cui manifesto del futurismo anticipa e fornisce un supporto al bellicismo fascista; comprimari, collaboratori preziosi e decisivi come Cesare Rossi; meri esecutori violenti come Dumini, il sicario del delitto Matteotti, anch’egli ritratto in pagine tra le più efficaci, sintomatiche di un’implacabile discesa del paese verso gli inferi dell’arbitrio e della illegalità più assoluti.
Il racconto è percorso, infatti, dal filo rosso della violenza, dei meri e brutali rapporti di forza che fanno dei reduci e degli arditi, gli inevitabili vincitori di un conflitto nel quale diventano decisive la loro abitudine all’uso delle armi e la partecipazione alla prima guerra mondiale, tra la cecità e l’opportunismo imbelle della vecchia classe politica liberale, e l’incapacità dei socialisti di tradurre consenso politico e moti di piazza in una vera azione rivoluzionaria.
Si resta però con un senso di incompiutezza, col desiderio di un quid in più di passione, di coinvolgimento emotivo sia del lettore sia dello stesso autore negli eventi e nei personaggi narrati.
Poiché questo è solo il primo atto di un lavoro che proseguirà e percorrerà l’intero ventennio (per ora siamo giunti al delitto Matteotti e alla nascita della vera e propria dittatura) si desidererebbe da Scurati una scelta più coraggiosa, quella di far pulsare con maggiore energia il suo cuore di “poeta” nelle “sudate carte” dello storico, anche a costo di qualche soluzione meno ortodossa sul piano dell’interpretazione e di qualche cedimento sul fronte della scelta di fondo che si è dato. Che insomma lo storico lasci un po’ di spazio ad una fantasia più libera e più sfrontata, come lo stesso Manzoni, pur rigoroso nemico del romanzesco, fece, ad esempio, quando s’inventò il magistrale dialogo tra Ferrer e il vicario di provvigione, laddove, nel chiuso di una carrozza, tra due ali di folla tumultuante, avrebbe potuto ascoltarli solo l’anima di un poeta, non certo la prudenza dello storico.
Eppure questa attitudine è presente in Scurati, come rivela il ripetuto accenno, di marca quasi kunderiana, al fatto che Mussolini, subito dopo i suoi incontri amorosi, fosse irresistibilmente attratto dall'immagine del suo cappello: dettagli ricavati da una storia laterale e apparentemente minore, ma che hanno il potere di trasformare il personaggio da storico in letterario.
La recensione sarebbe finita, ma ci sono ancora due questioni da accennare. La prima riguarda la stroncatura di Galli della Loggia che, sulle colonne del Corriere della sera, ha ravvisato alcune inesattezze storiche ed alcuni anacronismi, a suo dire particolarmente gravi per uno storico mosso da una forte intento di oggettività e di fedeltà al vero. Gli errori ci sono, in gran parte Scurati nella sua replica li ha ammessi, ma non inficiano in alcun modo la ricostruzione degli anni dal ‘19 al ’24: il cuore del racconto, il senso stesso dell’operazione letteraria ne restano fondamentalmente immuni.
Per l’appassionato di narratologia, poi, non resta ben chiarito il confine tra il punto di vista del personaggio e quello del narratore: nonostante certe dichiarazioni programmatiche (“immergermi in una narrazione dall’interno della mentalità e dell’esperienza fascista è stato sicuramente uno sforzo immaginativo enorme”), la gran parte dei capitoli non sembrano raccontati dall’interno, cioè dal punto di vista dei fascisti, ma dalla voce esterna di uno storico che giudica i fatti secondo parametri che non sono lontani da quelli usualmente adoperati dalla storiografia sull’ argomento. Questo non vale ovviamente per i capitoli in cui parla direttamente Mussolini, e segnatamente il primo e l’ultimo. Non a caso, i più interessanti e densi di spunti: forse una strada da battere in futuro con maggiore determinazione.
Indicazioni utili
Scurati replica a Galli della Loggia: Raccontare è arte, non scienza esatta, Corriere.it, 17 ottobre 2018;
Intervista ad Antonio Scurati , di Gloria Ghioni, Il Libraio 12.09.2018;
Alessandro Manzoni, Promessi sposi;
Umberto Eco, Il nome della rosa;
Emmanuel Carrère, Il regno.
Commenti
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Mi sorprende che tu abbia citato, nelle indicazioni in fondo, accanto a grandi scrittori, come Manzoni ed Eco, anche Carrere . Il suo libro, appunto ," Il Regno", pur avendo un tema forte, m'è parso di bassissimo livello : superficiale e con una scrittura (traduzione?) ridicola.
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