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Canne al vento
 
Canne al vento 2023-01-14 16:58:56 Calderoni
Voto medio 
 
4.5
Stile 
 
4.0
Contenuto 
 
4.0
Piacevolezza 
 
5.0
Calderoni Opinione inserita da Calderoni    14 Gennaio, 2023
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Efix, una missione di espiazione del peccato

Canne al vento è riconosciuto dalla critica come il capolavoro di Grazia Deledda. Per me, è stato il secondo incontro con il Premio Nobel per la letteratura del 1926. Devo dire che rispetto al primo l’ho trovata notevolmente evoluta dal punto di vista dello stile. Se infatti in Cenere (romanzo del 1903) percepivo una ridondanza che allontanava la Deledda dalla nostra contemporaneità, allineandola maggiormente alla sua epoca di passaggio tra l’Ottocento e il Novecento, invece in Canne al vento (1913) nulla è fuori posto e anche il rapporto dei personaggi con l’ambiente circostante perde di pesantezza. Gli strumenti della natura sono docili strumenti in mano alla Deledda che li riadatta e li carica di valenze simboliche non indifferenti. Il linguaggio del capolavoro della Deledda è molto più sciolto rispetto al decennio precedente ed è solenne. Si tratta di una modalità di scrittura che non consente lunghe pause. La lingua attinge dal vero e il quotidiano imperversa con la sua contingenza.
La vicenda narra della parabola discendente della nobile famiglia Pintor e il contesto è quello della Sardegna più cruda e vera, una Sardegna calda e leggendaria di fine Ottocento nella quale si convive con la povertà e nella quale serpeggiano ancora le credenze popolari di fate, folletti, spiriti provenienti dall’oltretomba. La famiglia Pintor a inizio romanzo è ormai ridotta a tre sorelle: padre e madre sono morti, mentre la quarta sorella, Lia, è fuggita sul continente e ha avuto un figlio di nome Giacinto. Lia non è mai stata perdonata per l’affronto dalle sorelle Roth, Ester e Noemi, ma i rapporti epistolari con il giovane Giacinto non sono stati recisi, tanto che nei primi capitoli del libro viene annunciato l’arrivo del ragazzo presso la casa dei Pintor in Sardegna. Roth, Ester e Noemi conducono una vita grama, sbiadita, desolata e vedono sfiorire passivamente la loro giovinezza, un po’ bloccate e inorgoglite dalla superbia paterna. Noemi è senza dubbio la più sanguigna delle dame, ma è anche quella in cui le passioni si combattono con maggior veemenza, tanto che è lei che nutre per il nipote Giacinto una sorta di attrazione corrosiva.
L’arrivo di Giacinto destabilizza casa Pintor. Piace alle fanciulle del paese, in primis a Noemi, per la sua giovinezza un po’ leggera e un po’ irruente e per il suo fascino da straniero. Giacinto è però incosciente e troppo spensierato, tanto da cadere nella trappola dell’usura. Ciò costerna le zie che lo mettono formalmente alla porta. La parabola di Giacinto è tuttavia di crescita perché sa rialzarsi, mantenendo le promesse che aveva fatto, prima fra tutte quella di sposare Grixenda, ragazza che ha rischiato a sua volta la perdizione a causa del comportamento di Giacinto. Anche Noemi sul declinare della narrazione sembra diventar più docile e, come via di fuga dell’insana passione per il nipote, sposa il ricco cugino don Predu, che salva dalla rovina lei e la sorella Ester (Roth muore poco dopo il sopraggiungere di Giacinto in paese). Il matrimonio tra Noemi e don Predu ristabilisce una sorta di ordine nel dissesto che imperversava.
Non è un caso che nel giorno delle nozze tra Noemi e don Predu vada in archivio la missione esistenziale del protagonista assoluto del romanzo, ovvero Efix, il servo della famiglia Pintor. La sua vicenda è complessa e tutta intessuta di quell’imperativo di colpa-espiazione che è tipico della Deledda. Efix infatti uccise il suo padrone don Zame anni prima e poi rimase, senza che nessuno lo sapesse e senza che alcun sospetto macchiasse la sua figura, nella casa delle tre orfane per servirle, proteggerle ed espiare il delitto commesso. L’omicidio di don Zame fu del tutto casuale: Efix agì per legittima difesa per arginare la furia del padrone. A questo peccato se ne intreccia un altro: tutto accadde quando Efix aiutò a fuggire dalla casa paterna verso il continente Lia, di cui subiva il fascino. La fuga, come già accennato, destabilizzò l’intera famiglia e portò al rapido declino fisico e mentale di don Zame. Il protagonista è quindi ossessionato dalle sue colpe: aver provato una passione per la padrona e averne ucciso il padre. Ciò comporta che trascorra il resto della vita in balìa del sacrificio per espiare la sua colpa. Mette la sua vita nelle mani di Roth, Ester e Noemi. La sua missione viene resa ancor più estenuante dalla passività e dalla riluttanza al presente delle dame Pintor e poi dai disastri provocati dall’arrivo di Giacinto. Efix è costretto a ricomporre i cocci, a lavorare sotto traccia tra un attore e l’altro della sua famiglia e del suo paese. Tesse le relazioni con don Predu, con la nonna di Grixenda, con Giacinto e cerca di ristabilire quell’ordine che era venuto meno, anche a causa sua. Le ultime righe del volume lasciano speranza. Come detto, le tanto sospirate nozze tra Noemi e don Predu conducono Efix alla conclusione del suo lavoro: l’immobilità della morte è un augurio di serenità.
Efix si immola nell’azione di servire, è in tal senso il servo per eccellenza. Assolve al suo dovere pur senza essere pagato dalle dame Pintor, ormai ampiamente compromesse dal punto di vista economico. Nella seconda parte del libro arriva addirittura a mantenere le dame: la vendita del podere a don Predu fa sì che Efix diventi mezzadro dello stesso possedimento e quello che ricava serve per sostenere Ester e Noemi. Nel cercare di aggiustare le cose si procura ulteriori problemi. È lui difatti il principale accusato quando le cose con Giacinto volgono al peggio. Noemi si spinge ad accusarlo di aver tradito la famiglia Pintor per denaro, un’accusa basata sul nulla, a maggior ragione per la condizione retributiva del tutto sui generis di Efix. Nonostante tutto, resta fedele al suo compito perché deve espiare le colpe. Quando vede andare tutto a rotoli, fugge e si unisce a elemosinare insieme a un cieco, ma poi torna e sistema gli ultimi pezzi del puzzle. Non si può non fare il tifo per lui perché è una bella metafora della vita di ognuno di noi. Ogni essere umano è destinato a sbagliare, ma ogni essere umano ha la possibilità di rifarsi, sebbene questo possa provocare un’estenuante fatica. Efix sembra farcela. Convince l’arcigna Noemi ad accettare le proposte di don Predu e aiuta Giacinto a ritrovare la retta via. Del resto, è il primo a credere nelle potenzialità del ragazzo ed è l’ultimo ad arrendersi di fronte agli errori frivoli del figlio di Lia. Anche se Lia e don Zame a inizio narrazione sono già morti, ritornano costantemente nel romanzo: don Zame con il suo bagaglio di superbia e Lia nel ricordo delle sorelle e nel titanico ardimento del figlio.
Non manca, infine, un forte retaggio biblico in Canne al vento: dai nomi delle tre sorelle - Ruth, Ester e Noemi - ad analogie con episodi dell’Antico Testamento, a immagini cristallizzate nel loro vincolo con le Sacre Scritture (i racconti del cieco, le letture di Ester, i canti sacri). Siamo però ben distanti dalla Provvidenza manzoniana. Del resto, «siamo proprio come le canne al vento, donna Ester mia. Ecco perché! Siamo canne e la sorte è il vento».

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Commenti

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15 Gennaio, 2023
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Bel commento e bella lettura, è sempre un piacere vedere che qualcuno riprende la Deledda, premio Nobel fuori anche dai manuali scolastici.
Una presentazione esaustiva, Andrea.
Ho riletto recentemente questo libro : si è confermato un capolavoro.
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