Canale Mussolini Canale Mussolini

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leogaro Opinione inserita da leogaro    10 Giugno, 2019
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Ironica saga del '900

La vicenda inizia col ‘900, prosegue attraversando la prima guerra mondiale, si snoda tortuosa tra il biennio rosso e l’avvento del fascismo, fino a seguirne l’apice e l’eclissi dopo il secondo conflitto mondiale. Ma non è un libro di storia: è una saga familiare, quella dei componenti della famiglia Peruzzi, che s’intreccia molte e molte volte con i fatti principali che ha vissuto l’Italia in oltre 50 anni di vita.

E’ il 1904 quando il nonno, capofamiglia, assiste ad un comizio del riformista Rossoni, salvandolo da un possibile linciaggio: i due finiranno insieme in carcere e diverranno amici. Quando, nel 1926, Mussolini impone la "quota 90" in politica agraria, i padroni Zorzi Vila si approfittano dei loro mezzadri Peruzzi per ridurli sul lastrico. Pericle e Temistocle vanno allora a raccomandarsi a Roma dal Rossoni, che nel frattempo ha aderito al fascismo: egli nulla può contro i nobili Zorzi Vila, però si muove affinchè i Peruzzi abbiano un podere di proprietà nelle Paludi Pontine, che il regime sta iniziando a bonificare. Così, dalla Pianura Padana, i Peruzzi (e con loro molti altri “cispadani”) devono trasferirsi nel Lazio, maledicendo in più occasioni gli Zorzi Vila. A guidare la famiglia nell’avventura nelle Paludi Pontine, il forte zio Pericle, con i vecchi genitori, le nuore e i fratelli al seguito: Adelchi, Temistocle, Treves… E tante donne, ognuna con un suo ruolo: l’altera ma affettuosa nonna, la generosa Santapace, la velenosa Bissola, la stravagante Armida. Dal podere 517, a sinistra del maestoso Canale Mussolini costruito per il deflusso delle acque verso il Tirreno, i Peruzzi iniziano una nuova vita in cui, ancora, la loro storia s’intreccia a doppio filo con quella del Belpaese. Nei primi periodi, difficili saranno i rapporti coi locali laziali “marocchini”, che non vedon certo di buon occhio i “cispadani” invasori: non mancano scontri e vendette reciproche, mentre il sudore della fronte permette ai Peruzzi di risollevarsi economicamente. La famiglia s’ingrandisce con nuove nascite e matrimoni misti integrandosi gradualmente nell’Agro Pontino nonostante la comica richiesta, fatta direttamente al Patriarca di Venezia, di un prete veneto che possa capire il loro dialetto. Non ci sarà guerra senza almeno un membro dei Peruzzi al fronte, tra il Corno d’Africa, la Spagna franchista, Stalingrado, El Alamein… ma anche quando la guerra, dopo l’8 settembre, passerà sul suolo italiano, i Peruzzi (e le donne dei Peruzzi, soprattutto!) non si sottrarranno di certo, sparando coi tedeschi sugli alleati “invasori” per difendere il loro podere ! Solo lo sbarco di Anzio, con la conseguente fuga sui monti Lepini, costringerà “marocchini” e “cispadani” a una forzata convivenza che, tra le comuni difficoltà, permetterà a tutti di superare le reciproche diffidenze.

Che dire della trama: pienamente verosimile, perché nonostante sia ampiamente e gradevolmente romanzata, non è affatto da escludere che a qualche famiglia in Agro Pontino sia successo qualcosa del genere (o, come dice l’autore, a più famiglie messe insieme sia accaduto quel che nel libro succede solo ai Peruzzi !). Alla fine, ma solo alla fine, l’autore rivela le circostanze della sua nascita nella grande famiglia Peruzzi, permettendo al lettore di ricollegare tutte le questioni lasciate in sospeso.

Stile piacevole e scorrevole, per certi versi sorprendente: dopo un inizio in sordina, la storia procede e prende corpo man mano che le pagine vanno avanti. C’è, ogni tanto, qualche inutile digressione o qualche (forzata) allusione alla realtà odierna, ma non troppo da annoiare o distrarre. Nella seconda parte del libro, poi, l’ironia la fa da padrone e più volte mi sono sorpreso a ridere su qualche pagina particolarmente ispirata. Il linguaggio è arricchito da comprensibili espressioni in dialetto veneto-ferrarese, che aggiungono ulteriore umorismo alla scena narrata. Oltretutto, Pennacchi ci offre anche un modo diverso di ripassare la storia, in un libro fatto con notevoli sforzi per ricostruire fedelmente alcune vicende storiche ed i relativi particolari.

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Opinione inserita da Cory    29 Luglio, 2014

Uno stralcio di storia italiana

Pennacchi racconta il periodo tra le due guerre attraverso le vicende di una grande famiglia contadina, i Peruzzi. Bello l'uso del dialetto che riesce a rendere comprensibile a tutti, originale l'idea di metterlo in bocca a Mussolini o addirittura Hitler attraverso improbabili dialoghi. Accuratissima la ricerca storica, come si evince anche dalla bibliografia riportata nelle ultime pagine, azzeccata la ricostruzione di un'atmosfera rurale con i suoi tempi, gesti e mentalità privati di ogni edulcorazione ma messi nudi e crudi lì sulla pagina, spesso quasi sbattuti in faccia al lettore, si pensi alla descrizione dell'uccisione delle galline o del maiale che un tempo non veniva percepita come crudeltà verso un essere vivente ma come semplice gesto pratico: se volevi preparati il brodo non andavi dal macellaio ma la gallina te la dovevi ammazzare da te. Ho apprezzato molto l'ironia dell'autore che si sforza di non mostrarsi troppo di destra nominando le barbarie commesse dal fascismo senza però mai ricorrere a una denuncia vera e propria, questo aspetto può essere considerato sia positivo che negativo. Positivo perché Pennacchi dà la propria versione della storia - giusta o sbagliata che sia, opinabile o meno - rendendo il suo romanzo originale, dall'altro lato, però, il lettore è un po' infastidito quando l'autore descrive all'acqua di rose i massacri operati dai fascisti o dai nazisti, quasi stesse raccontando delle curiosità, dei semplici aneddoti. Altra nota dolente è lo stile a volte troppo prolisso, Pennacchi parla parla, racconta, descrive facendosi odiare dal lettore che vorrebbe sapere subito, ad esempio, che succede ad Armida, perché viene ghettizzata? Ma l'autore, insensibile, continua il lungo elenco dei fatti storici, spesso saltando di qua e di là per pagine e pagine. E cosa dire poi delle lunghe spiegazioni? Un conto è soffermarsi sulla costruzione del canale, un altro è descrivere la composizione dell'asfalto, te possino Penna'!!!
In ogni caso è un libro che consiglio perché, indipendentemente dalla fede politica, è comunque un libro da leggere perché fa riflettere, è istruttivo e tutto sommato, nonostante il "malloppazzo" di 460 pagine, piacevole. Concludo con una riflessione, che dovrebbe essere ovvia, verso coloro che ritengono questo libro frutto di mistificazione, ragazzi, un romanzo è un romanzo, è fiction, non un saggio storico, se cercate la storia, quella vera, non la troverete nemmeno sui libri di storia che comunque sono di parte ma negli archivi!

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diogneto Opinione inserita da diogneto    08 Dicembre, 2013
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canale mussolini

Canale Mussolini, libro di Antonio Pennacchi edito Mondadori 2010, ripercorre le vicende di una famiglia “dell’Altitalia”, i Peruzzi, trapiantata nell’Agro Pontino, post bonifica fascista, toccando varie vicende storiche rileggendole con i loro occhi di patrioti – contadini. Così troviamo un Peruzzi in ogni grande avvenimento che va dalla Prima guerra mondiale ai primi anni 50… sul Piave, nei moti socialisti dei primi anni venti, durante la Marcia su Roma, impegnati alla conquista dell’Impero e durante le battaglie più aspre del secondo conflitto bellico! Devoti alla causa del fascismo, più per interesse personale che per fini politici, rispecchiano quello che era l’uomo comune degli anni della dittatura e, sopratutto ,il percorso mentale che buona parte degli italiani fecero in quei disgraziati anni.

Il ricorso alla semplificazione dialettale dei dialoghi tra i potenti del secolo scorso e la visione leggera di drammi che hanno scosso, e che tuttora scuotono, la comunità italiana rendono il libro un buono spunto di partenza per chi reputa la Storia una cosa da studiare semplicemente senza toccare con mano le sofferenze e i percorsi dell’uomo “qualunque” che poi, alla fine, fu mezzo per cui la Storia si fece.

In questo romanzo il protagonista principale è la famiglia con tutte le sue sfaccettature dell’epoca, tutte le preoccupazioni e tutti i sogni. Questo libro ha bisogno di dedizione e comprensione, ha bisogno di essere letto con la leggerezza dei saggi e con la saggezza dei semplici senza sovra-strutturare il tutto con ciò che la storia ci ha raccontato in questi anni per non fare torto alla bontà e all’innocenza dello scrittore.

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Opinione inserita da iosip Ivanovic    04 Luglio, 2012

Una voce fuori dal coro

Sono arrivato con grande fatica a pagina 354, e non sono sicuro di sciropparmi le ultime 100 pagine di quell'incontenibile logorroico, verboso, saccente, proprio come certi rompiscatole che in treno ti attaccano bottone e non sai come liberartene. Con quel " che dice?" e altre interruzioni rivolte al lettore che di domande non ha nessuna voglia di farne mi ha proprio irritato. Mia mamma era veneta e il modo con cui Pennacchi devasta la parlata (non mi pare il caso di parlare di dialetto) veneta mi ha fatto venire l'orticaria. Mussolini che parla con Hitler in un grottesco vernacolo non mi ha fatto per niente ridere. La descrizione poi dei massacri in Africa per bocca dello zio Adelchi con la pretesa di giustificarli e giustificare il crominale Graziani è veramente disgustosa,

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Consiglio a chi ha letto Canale Mussolini di leggere un piccolo libro, di una trentina di pagine, di Luigi Einaudi, il grande economista liberale, "Il padre dei Fratelli Cervi", pubblicato nei Sassi da Nottetempo.
in quelle poche pagine c'è infinitamente più sostanza e materia per capire il mondo contadino e il fascismo che nelle 455 pagine di Canale Mussolini.
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Nadiezda Opinione inserita da Nadiezda    12 Dicembre, 2011
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Firmato Peruzzi!

Finito di leggere da pochi giorni, ho deciso di recensire questa vera e propria meraviglia.

L’arco di tempo narrato parte dai primi del Novecento fino alla Seconda Guerra Mondiale e la famiglia protagonista del racconto è la Peruzzi la quale viveva tra Rovigo e Ferrara.
Non erano sicuramente anni facili per diversi fattori tra i quali la povertà e le guerre che hanno segnato molto l’Italia.
Lo scrittore ha deciso di raccontarci questo frammento di storia attraverso gli occhi di questa famiglia di mezzadri talvolta utilizzando il loro linguaggio ed i loro modi di dire per far entrare meglio il lettore nella storia.
L’autore ha partorito un vero e proprio capolavoro intriso di storia e di vita contadina.
È il racconto di un “pezzo” di Italia strappato dalla propria terra natia e fatto emigrare quasi in un “paese straniero” dove le vacche non erano le stesse, la lingua era diversa e la gente li disprezzava per i loro modi di fare.

Uno dei pezzi che più mi ha colpito è stata la nonna di Zero Branco che si è messa ad urlare perché voleva ritornare alle sue terre che anche se povere erano a lei care e conosciute.

Molto scorrevole nella lettura e per nulla noioso anche se le pagine non sono poche l’autore è riuscito a catturare l’attenzione del lettore dall’inizio alla fine. I protagonisti sono stati descritti dettagliatamente ed ognuno di loro ha un carattere forte e deciso.

Sinceramente se non intraprendevo questa lettura non avrei mai scoperto dell’esistenza di questo canale e di questo spaccato di storia che ha colpito anche parte del territorio dove abito.

Naturalmente consiglio a tutti di leggerlo perché è un libro davvero interessante che talvolta sa anche divertire ed inoltre penso che il premio “Strega” è stato davvero meritato!

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silvia71 Opinione inserita da silvia71    14 Novembre, 2011
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Foto in bianco e nero

Immergersi nella lettura di Canale Mussolini, significa partire per un viaggio attraverso la storia recente del nostro paese, più precisamente i primi cinquant'anni del Novecento; sicuramente un periodo difficile a causa dell'arretratezza economica e delle due guerre che lo segnarono, di cui si sono scritti oramai fiumi di pagine.
Pennacchi sceglie di raccontarci questo momento italiano, analizzandolo dal punto di vista di una famiglia contadina, legata alla terra da un legame viscerale e indissolubile, gente che conosce solo fatica, sudore e sacrificio, pronta a rimboccarsi le maniche e a non cedere mai, neppure nei momenti più disperati. Pagina dopo pagina prende forma e colore l'affresco di una Italia genuina e forte, il cuore pulsante dell'economia agricola dell'epoca.
Le vicende personali della numerosissima famiglia Peruzzi si intrecciano con le vicissitudini politiche italiane, dando vita ad un lavoro di eccezionale valore, sia a livello storico sia a livello socio-antropologico.
Pennacchi partorisce un romanzo talmente corposo, ben congegnato, approfondito sul piano documentaristico, ma al tempo stesso ricco di pathos ed estremamente realistico, che risulta difficile poterlo classificare; l'unica definizione che sembra adattarsi meglio, è quella di epopea.
Una epopea straordinaria, che riporta alla luce la vita, quella vera, vissuta da tante famiglie italiane nel secolo scorso, quando la miseria dilagava e nelle campagne si lottava per riuscire ad ottenere un pezzo di terra da coltivare, non tanto per trarci un profitto, ma per sfamare tutte le bocche di casa. La ricostruzione della migrazione dei contadini del nord Italia, verso le paludi pontine in seguito al progetto di bonifica, è riuscita ottimamente all'autore, regalandoci uno spaccato di storia poco conosciuto e ricordandoci l'impegno profuso da migliaia di persone, giunte sin lì col miraggio di una feconda terra promessa, trovatesi invece ad insediare una delle zone più inospitali d'Italia.

Una lettura così vivida che sembra di scorrere un album di fotografie in bianco e nero; figure di uomini e donne di rara bellezza e profondità, colti con una naturalezza disarmante, durante tutti i momenti della giornata e dell'esistenza ; sorridenti o angosciati, fiduciosi o avviliti, vincitori o sopraffatti, insomma estremamente “veri” e traboccanti di umanità.
Azzeccata e consona al tipo di romanzo, la scelta linguistica di Pennacchi; egli intesse le sue pagine di continui riferimenti dialettali e gergali, perché solo in questo modo i suoi personaggi si animano e catapultano chi legge in un' altra dimensione, indietro nel tempo, come è giusto che sia.
Una lettura da affrontare con impegno, ma che al termine del cammino concede al pubblico la sensazione di essersi arricchito della conoscenza di un mondo oramai distante, che merita di rimanere immortalato nella memoria collettiva.





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gcavalca Opinione inserita da gcavalca    05 Agosto, 2011
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Maladéti i Zorzi-Vila!

E chi lo sapeva che esiste il Canale Mussolini?
Dei 150 anni della nostra storia quei venti sono conosciuti approssimativamente, anzi ideologicamente.
Conoscevo l’esistenza della bonifica delle Paludi Pontine e dell’esodo “cispadano” che vi era avvenuto ma Pennacchi ci regala una lezione di conoscenza storica impareggiabile.
Anche lui premette che se la famiglia Peruzzi avesse realmente vissuto quanto descritto nel libro sarebbe un clan degno delle migliori soap-opera anni “80.
In realtà il narratore, che dialoga tranquillamente col lettore, ci dispiega quasi un secolo di storia comune che poi fa la Storia.
Dalla Grande Guerra agli anni del boom economico i Peruzzi vivono la loro storia che diventa Storia d’Italia nei momenti più cruciali del nostro Paese.
Culture contadine che si tramandano, si tramutano e si adattano ai tempi, alle situazioni e alla geografia.
Dal “libertinismo” cispadano al “cattolicesimo” pontino passando per varie guerre e migrazioni, raccontando anche le figure maschili e femminili in una società che fino a qualche decennio fa era contadina e legata ai ritmi naturali.
Davvero impareggiabili anche le espressioni ed i commenti con cui il narratore infarcisce il suo filò, quasi sentisse le rimostranze che nascono dal lettore a volte sbalordito, a volte anche contrariato dal racconto stesso.
Bel libro, Maladéti i Zorzi-Vila, da leggere per conoscere un po’ come siamo stati prima del “benessere” e forse per capire perché “ciascuno xa ghé i so’ razon”.

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Opinione inserita da Massimo    27 Luglio, 2011

Per la fame. Siamo venuti giù per la fame.

I miei genitori e i miei nonni hanno vissuto la mezzadria come protagonisti di un epoca che per me rimane pittosto disgraziata.Io ero bambino ed ho fatto in tempo a vedere quello che era la mezzadria nella campagna toscana (Casentino)dove sono cresciuto.Con l'avvento dello sviluppo industriale anche in Italia tanta gente ha avuto modo di vivere con più dignità soprattutto perchè i ragazzi di qualsiasi condizione sociale potevano finalmente studiare.Mia nonna ha smesso di studiare in seconda elementare perchè doveva "Parare le pecore". Nel prìvy ci sono andato anch'io da bambino nel podere di mia nonna e meno male che non esistono più.Il romanzo di Antonio Pennacchi si fa leggere molto volentieri,i personaggi sono ben caratterizzati e la storia comunque è molto "Vera". Il periodo storico preso in esame mi è risultato di grande interesse ed ho apprezzato anche l'uso di tante frasi in dialetto che rendono la famiglia dei Peruzzi ancora più simpatica pur nella drammaticità delle tante situazioni che compongono il romanzo.Un libro scritto con passione sicuramente da leggere.

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cesare giardini Opinione inserita da cesare giardini    05 Mag, 2011
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Una saga familiare

Antonio Pennacchi narra in modo epico l’esodo più o meno forzato di contadini emiliani, veneti e friulani dalle loro terre nelle paludi pontine, in quell’ agro laziale destinato alla bonifica ed al ripopolamento. Siamo nel ventennio fascista, le masse rurali trasferite portano laboriosamente e faticosamente a termine la loro epocale opera, assistendo dai poderi loro assegnati alla rinascita lenta e graduale di una terra prima paludosa e maledetta, infestata dalla malaria. Ed assistono al progressivo nascere di fiorenti città (Littoria, Aprilia, Pomezia…), sempre caparbiamente fedeli a quel regime che ha mutato in meglio le loro vite. E così faranno anche durante la seconda guerra mondiale, difendendo con le unghie e i denti la loro terra e i loro poderi contro gli invasori angloamericani. Il romanzo è il racconto, diviso in tre lunghi capitoli, di tutta l’epopea, in cui spicca la storia della famiglia Peruzzi, un numerosissimo clan, formato da nonne, nonni, padri, figli, nipoti, spose e sposi, che vivono e combattono per le loro famiglie ed i loro pezzi di terra, bestie comprese. Su tutto domina il Canale Mussolini (da cui il titolo del romanzo), lungo e largo canale costruito artificialmente per risanare l’area e far defluire le acque altrimenti ristagnanti. Il narratore (lo si scopre solo alle ultime righe) è un personaggio-sorpresa, che non riveleremo per non diminuire l’interesse per tutto l’intreccio narrativo. Non è, come qualcuno affrettatamente ha dichiarato, un romanzo con nostalgie fasciste : le ideologie non c’entrano, è soltanto la storia di una saga famigliare straordinaria, in cui personaggi coerenti e onesti si battono per la loro stessa sopravvivenza.

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alan smithee Opinione inserita da alan smithee    06 Aprile, 2011
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Heimat o 900 atto III:una imponente saga familiare

La saga dei Peruzzi, famiglia numerosissima di mezzadri veneti emigrati nell'Agro Pontino post bonifica dopo aver perso tutti i propri averi (maledetti i Zorzi Vila!!!), ha il respiro di un'epopea e il passo di un romanzo epico straordinario, che giustifica il titolo (forse un po' azzardato, ma non troppo, per chi sa di cosa sto parlando quando cito le due straordinarie opere cinematografiche - titaniche per lunghezza e spessore qualitativo - di Edgar Reitz e Bernardo Bertolucci) che ho attribuito alla mia opinione.
Pennacchi scrive la storia drammatica e sincera di una famiglia patriarcale specchio dell'Italia da inizio secolo fino agli anni '50, dove i comunisti diventano fascisti ma continuano a sudare (altro che) sette camicie per tirare avanti a sopravvivere.
Il nonno, gli zii Pericle, Adelchi, Iseo, Temistocle, Treves, (diavolo di un) Turati, il nipote Paride e poi le donne. E che donne!! una nonna decisa, dolce ma inflessibile quando si tratta di prendere una decisione che riguarda la famiglia e poi la splendida Armida, che con le sue api sembra uscita da un romanzo della Allende, o personaggi minori ma fantastici come la velenosa Bissolata, caratteraccio e temperamento di una serpe biforcuta.
Al di la' dei riconoscimenti ottenuti, per una volta sacrosanti e meritatissimi, si tratta, a mio modesto avviso, dell'opera italiana piu' importante del primo decennio di questo secolo.
L'ho letto tutto d'un fiato il romanzo di Pennacchi, nonostante le oltre 450 pagine e ho pensato alle fatiche dei miei nonni, e di molta altra gente che ha saputo costruire le basi fondamentali della vita che oggi ci troviamo gia' tracciata.
Sara' tutto cio' ben merito di un autore dalla grande capacita' narrativa e organizzativa? Destreggiarsi cosi' mirabilmente in tutto questo complesso materiale (che e' la storia dei primi 50 anni del '900 fra le due terribili guerre mondiali) e con tutti questi personaggi, rispettandone caratteri e sfaccettature, e' a mio avviso sintomo di piena maturita' e completezza. Caratteristiche che lo accomunano, insieme alla coralita' del soggetto trattato, con i due grandi registi sopra citati.

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Giulian Opinione inserita da Giulian    03 Marzo, 2011
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Imparare divertendosi

Ho cominciato ad “entrare” nel libro, a trovarlo avvincente, solo dopo le prime cinquanta-sessanta pagine, quando ho iniziato a intuirne le intenzioni, la struttura, il linguaggio. Allora ho cominciato ad affezionarmi ai personaggi, a divertirmi per il modo popolaresco, burlesco ed ironico di rinarrare la Storia, ad appassionarmi agli sviluppi della vicenda. È un romanzo colto, che presuppone un lungo lavoro preparatorio fatto di studi e ricostruzioni storiche, perciò c'è molto da imparare; è istruttivo nelle descrizioni di cose, usi, costumi, mentalità del mondo contadino tra la prima e la seconda guerra mondiale; è intrigante nel linguaggio, un simpatico impasto fra dialetti nord-orientali e italiano che viene usato dal narratore, messo in bocca ai personaggi e – con effetto umoristico irresistibile – persino ai grandi personaggi storici (da Mussolini a Roosevelt). Il finale è inatteso e piacevole. Sono contento di aver superato i pregiudizi verso un libro troppo pubblicizzato e di averlo letto. E' senz'altro un modo divertente di imparare e meditare.

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GabriCremo Opinione inserita da GabriCremo    01 Marzo, 2011
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Bello e interessante

Un applauso all'autore, perché questo è sicuramente un gran bel libro; riesce infatti a raccontare con eccezionale sagacia cinquant'anni di storia del nostro paese (la prima metà dello scorso secolo), attraverso le peripezie di una famiglia contadina del nord Italia costretta per ragioni economiche a trasferirsi nell'Agro Pontino durante la bonifica di quest'ultimo. Ne risulta un quadro veramente affascinante, con personaggi pittoreschi le cui vicende sono riuscite a commuovermi e ad emozionarmi; in più, il narratore (uno dei nipoti che racconta ad un ipercritico ascoltatore la storia della propria famiglia) permette a chi leggere di riflettere anche sulla società attuale mediante continui parallelismi con essa, dando inoltre spesso la possibilità di inquadrare gli eventi sotto più punti di vista ("ognuno ha le sue ragioni").
Ho trovato tuttavia qualche piccolo neo: la tendenza dell'autore a divagare, dando qualche problema al lettore nel seguire il discorso; la scarsa suddivisione del libro in capitoli (solo 3 in tutto il libro) e paragrafi, cosa che lo rende poco adatto per chi legge "poco alla volta"; l'uso nei dialoghi del dialetto del basso veneto (che io fortunatamente capisco abbastanza bene essendo ferrarese) che può rendere difficoltosa la lettura a chi non lo conosce. Ciò nonostante è un libro che consiglio vivamente a chiunque abbia interesse per la nostra storia e un po' di tempo da voler investire bene.

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phoebe1976 Opinione inserita da phoebe1976    24 Gennaio, 2011
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L'Italia contadina che non c'è più

Mi sono avvicinata a questo libro forse un po’ tardi, dopo aver visto Pennacchi intervistato da Piroso a “Niente di personale” ed averlo trovato semplicemente grandioso.
Nonostante il ritardo, le aspettative che vi avevo riversato non sono state tradite.
Pennacchi racconta la storia dei suoi bisnonni e nonni, mezzadri veneti dalle incerte vicende politiche e di vita, costretti ad emigrare via dalla loro terra per scampare alla fame ed a padroni esosi. Si evdono regalare per il loro esser fascisti un bel podere nell’Agro Pontino. Luogo nuovo, terra promessa bonificata dal Fascio solo per loro devoti. Ma non è che sarà tutto oro quel che luccica in Italia. Come al solito.
L’occhio disincantato di Antonio Pennacchi disegna con mano esperta ed ironia distaccata personaggi e epoche che non ci sono più. E Pennacchi, insieme ad una pagina che si tende a sorvolare della storia itlaina, racconta l'attualità in parallelismi a volte buffi, ma più spesso azzeccati.
"Quelli che girano le salsicce alla festa della Lega oggi, eran gli stessi che le giravan prima alle feste dell'Unità. E prima ancora nelle case del Fascio" afferma parlando dei veneti, suoi cugini alla lontana.
"La fame in Italia non l'ha portata il fascismo, ce l'avevamo già!". E questo fa riflettere sulla volontàe lealtà politica del popolo italiano, sempre pronto a tirar dalla parte del vento.

Sono sincera, non ho potuto far a meno di innamorarmi un po’ di questo libro. Come non far correre il pensiero ai miei pomeriggi di bambina passati accanto alla stufa mentre mia nonna raccontava le avevnture della sua famiglia mezzadra?
Luoghi diversi, stessa vita. Stessi problemi, stesse lotte e stesso spirito contadino.
L'amore per le bestie, il rispetto per la terra e l'accanimento verso un mondo che è difficile da vivere in ogni singolo istante.
La rassegnazione che si fa forza di vivere.
Una forza che l’Italia dovrebbe avere il coraggio di far rispuntare dentro di sé.
Per ulteriori informazioni sul mio pensiero: http://phoebe.splinder.com/post/23640030/vieni-via-con-me-lettera-aperta-a-fabio-e-roberto#23640030

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Jan Opinione inserita da Jan    02 Dicembre, 2010
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Drammaticamente...Strega.

Io devo ancora capire con quale criterio venga assegnato lo Strega.
Se è quello dell'importanza editoriale son d'accordo.
E' una questione fra case editrici e basta.
Abbiano il coraggio di dircelo però.

Già l'anno scorso avevo letto Scarpa e un'idea di noia me l'ero fatta.
Pennacchi però è molto, molto di più.
La saga della famiglia di coloni Peruzzi dovrebbe essere proposta negli interventi chirurgici più importanti al posto della totale.
Avrebbe grande esito.
Basta leggere due, guardate, anche tre pagine e ... ciuf ... si parte per il mondo dei sogni.
Alla salute dell'autore!

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publicnmy Opinione inserita da publicnmy    06 Ottobre, 2010
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Canale Mussolini

E’ un libro interessante e molto ben scritto, utile ad una persona abbastanza giovane che ha sentito parlare della bonifica delle Paludi pontine nell’era fascista ma non aveva idea di come fossero andate precisamente le cose. Conosco bene la zona, avendoci passato molte vacanze, e sapevo della presenza di comunità definite genericamente “venete”, conosco anche molti discendenti di quei primi coloni. Il libro illustra molto bene la genesi della loro discesa al Sud, il stato d’animo con cui condussero quegli anni difficili e la fierezza che tuttora li caratterizza. Per chi conosce i posti e la gente di quelle parti, in qualche modo è illuminante per capire quanto peso sugli oriundi abbiano ancora le loro origini e la loro storia. Infine, ho trovato la conclusione semplicemente geniale.

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Renzo Montagnoli Opinione inserita da Renzo Montagnoli    01 Ottobre, 2010
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Un’occasione sprecata

Una saga familiare per raccontare un’epoca non è certo una novità e non sono pochi gli autori, non solo italiani, che hanno scritto al riguardo. Ci ha provato anche Pennacchi, narrandoci delle vicende della famiglia Peruzzi, spostatasi, per necessità, dal rovigotto alle ex Paludi Pontine, risanate dall’intervento massiccio del regime fascista teso a dare nuova terra coltivabile agli italiani.
Si potrebbe pensare quindi a un romanzo storico e in parte Canale Mussolini lo è, ma è influenzato da quel desiderio di riappacificazione nazionale volto a riscrivere l’avvento e il dominio del fascismo, compito certamente difficile e in cui l’autore si è gettato a capofitto, evidenziando però carenze culturali e di approccio che fanno di quest’opera un libro sicuramente leggibile, ma anche approssimativo, dalle facili conclusioni che cadono come sentenze, in un quadro di eccessive semplificazioni dei problemi proprie di chi crede di sapere come siano andate effettivamente le cose perché convinto che la sua conoscenza sia completa e assoluta.
Alla base del romanzo quindi c’è un peccato di presunzione che finisce con l’inficiare la validità delle asserzioni, spesso gratuite, frutto non tanto di una disamina attenta, quanto di un credo politico.
Ed è un peccato perché l’idea di partenza era e resta buona e così, anziché trovarci di fronte a un rigoroso romanzo storico, scorre davanti agli occhi una lunga telenovela, con personaggi che sono degli stereotipi del socialista, dell’anarchico, del fascista, insomma una sorta di opera rientrante nella cultura nazionalpopolare, così cara ai regimi illiberali e feconda sia sotto il fascismo che sotto il governo dei soviet.
Ciò nonostante il libro riesce più di una volta ad avvincere, perché le vicende rientrano in quei percorsi della natura umana in cui tutti, chi più chi meno, ci ritroviamo.
Ci sono in effetti pagine da epopea, come quella della bonifica delle paludi, un racconto corale che ben si presta all’agiografia, anche se proprio lì si riscontra un atteggiamento didascalico che appesantisce il romanzo, in cui peraltro sono frequenti divagazioni, variazioni di tempi non sempre giustificabili, che finiscono per portare al lettore una certa stanchezza e comunque tale da fargli scorrere velocemente le pagine per ritrovare quelle di un discorso più snello e quindi più appagante.
Il ritmo della narrazione è altalenante, discontinuo, con improvvisi acuti seguiti da vere e proprie fasi di stanca, quasi che l’autore volesse prendere un po’ di fiato e del resto si potrebbe dire che Pennacchi ricorre a un italiano più parlato che scritto, con frequenti frasi in un dialetto veneto un po’ particolare, quasi modificato per aumentarne la comprensibilità.
Se l’impostazione colloquiale (l’autore si rivolge a un ipotetico lettore) è strutturalmente interessante, però, data la lunghezza del libro, finisce con l’annoiare e peraltro il testo stesso poteva essere ridotto alquanto, perché le frequenti divagazioni, che tirano in ballo anche personaggi occasionali e di scarso rilievo per l’opera, occupano non poche pagine.
In questo bilancio i difetti, fra i quali un uso della lingua italiana non proprio da manuale, sono parecchi e i pregi pochi; resta un certo fascino della vicenda che desta interesse, ma se questo consente di considerare il romanzo un prodotto nel complesso leggibile, le numerose pecche non giustificano assolutamente l’assegnazione del Premio Strega, che conferma ancora una volta lo scadimento delle ultime edizioni.

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midisun Opinione inserita da midisun    08 Settembre, 2010
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CANALE MUSSOLINI

Mi è piaciuto molto questo romanzo.
storia (epopea della bonifica dell'agro pontino da parte delle popolazioni del nord italia negli anni 20-30 tragicamente vera) e personaggi (fittizi) sono amalgamati alla perfezione e si avverte che il libro è davvero un punto di arrivo professionale per l'Autore (come lo stesso dice nell'incipit).
Ottima la descrizione dei personaggi (peraltro numerosi) con uno stile conciso, tagliente, divertente a tratti. Non annoia e porta velocemente dritto alla fine. Fine che ti lascia appagato e con un sorriso.

Peccato che,pare, non venda molto. Ma d'altra parte credo si rivolga piu' a un pubblico adulto (che di libri ne legge meno).E poi forse il titolo non è dei più azzeccati..

Lo consiglio vivamente a tutti. "Strega" meritato nel duello con "Acciaio"

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