Il nome della rosa Il nome della rosa

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SaRA8993 Opinione inserita da SaRA8993    15 Gennaio, 2021
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LA BIBLIOTECA DEL MISTERO

E’ Medioevo e nell’abbazia di Melk, in Austria, succedono fatti indicibili: in una settimana, quattro omicidi di quattro monaci fanno sprofondare l’ordine Francescano in un clima di disagio, di paura e di grave danno.
Il monaco Guglielmo, arrivato in abbazia insieme al suo novizio Adso, è incaricato di indagare sulla questione e con la sua arguzia, astuzia, perspicacia, furbizia e dottrina, ricostruendo fatti, indizi, indagando su cause, interrogando sospetti come un perfetto detective, riesce ad arrivare al colpevole di questi omicidi, a capire le intenzioni e le motivazioni che sembra girino tutte intorno a delle informazioni contenute nella biblioteca dell’abazia, opportunamente protetta dal bibliotecario e dall’abate stesso.
Romanzo storico cult della letteratura italiana del 900 molto potente ed interessante in cui immergersi nelle nozioni storiche più pure, nei ragionamenti filosofici sulla vita e sulla morte, sulla miseria e la povertà, in cui il lettore può appassionarsi alla narrazione e nel contempo immagazzinare nozioni di teologia, storia, storia delle religioni, nozioni sulle principali eresie sorte in quel tempo che causarono atti di contrasto alla vita monastica che fecero sprofondare molti religiosi, sui rapporti tra papato e impero in quel periodo.
Gli argomenti che riguardano il romanzo possiamo altresì dire che si concentrano sulla mancanza di rispetto dei principi e dogmi della cristianità e dell’ordine stesso che avrebbe causato azioni impure, tra cui anche la lussuria fisica e di sapere, perpetrate da parte di chi avrebbe dovuto assumere un atteggiamento austero e non peccaminoso come scelta personale.
Le citazioni in latino che si possono notare nella lettura di questa opera dimostrano l’immensa cultura e acume dell’autore che inserisce all’interno del romanzo elementi di svariata natura oltre quelli citati prima, tra cui anche nozioni di erboristeria (nella misura di proprietà benefiche e malefiche delle piante), di architettura (nella descrizione dei luoghi e dell’abbazia) e di biblioteconomia.
Sicuramente d’ispirazione per tanti autori di best seller thriller, per l’alta tensione di mistero e avventura, imprescindibile la lettura almeno una volta nella vita.

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Bruno Izzo Opinione inserita da Bruno Izzo    14 Novembre, 2020
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Scritto a mano

Uno di quei libri, purtroppo rari, che per impulso naturale fa esclamare: tutti in piedi, giù il cappello! e poi a seguire ci si innalza in una unanime e spontanea standing ovation.
Sono trascorsi 40 anni dalla sua prima pubblicazione, ma tuttora ne abbiamo ennesima conferma.
Non è un libro qualsiasi, nemmeno un capolavoro, ma è il Romanzo, è il Libro, è il Capolavoro.
Direi di più: è la Cultura, è l’Istruzione, è un Patrimonio di conoscenze.
In una sola parola, “Il nome della rosa” è la Civiltà Letteraria.
Non è un’ opera solo da commentare, da recensire, da esporne la trama, individuarne la morale.
Questo è un testo che prima di ogni altra cosa si deve leggere, che si deve avere, al limite lo si può condividere, consigliare spassionatamente, discuterne per apprezzarne altri aspetti non ancora avvertiti, e che il confronto a più voci rivela.
Soprattutto, più di ogni cosa, è da leggere, è il romanzo che conferisce un nome, il più appropriato, all’arte di scrivere, accessibile a pochi, e a quello di leggere, accessibile a molti, ma non a tutti.
Non è per tutti, non piacerà a tutti quelli che lo avranno tra le mani, non è un testo per il lettore, per chi sfoglia libri, per chi i libri li deve scorrere, è dato e destinato al Lettore con la maiuscola.
A chi i libri li ama, ci si sprofonda nelle pagine, li possiede in ogni senso, con loro si inebria, si incanta, si estranea, se ne fa dipendente, vive mille vite e mille volte mille leggendo e rileggendo.
Redatto dalla penna di uno dei più grandi intellettuali nostrani, un uomo colto, distinto, uno studioso sapiente, erudito ed eruditosi attraverso l’attenta osservazione dei tempi, degli usi e dei costumi di popoli e linguaggi, un semiotico insigne, un illustre accademico, specialista eccelso dei fenomeni di significazione e di comunicazione.
Più di tutto, un cultore della conoscenza intima dell’animo umano, così come progredita nel corso dei tempi, apprezzando la metamorfosi e l’evoluzione dell’uomo, mai tanto variegata, in verità, così come traspare attraverso le opere della letteratura negli anni.
Pervenendo alla conclusione ineluttabile che l’uomo è uomo, uguale e fedele a sé stesso, costante nei modi e nelle reazioni, quali che siano i tempi in cui vive, con i suoi slanci formidabili di genio e le sue miserie stucchevoli, noiose e moleste, foriere di invidie e litigi.
Unico elemento salvifico, la Cultura, anche questa una costante, lo sola che non porta all’Ideale, che per essere tale deve essere pure imperfetto, ma a questo si avvicina più di tutti, assai più delle religioni e delle filosofie, della morale e dell’etica.
Solo la Cultura conduce al riso, al sorriso, alla lievità dell’esistenza così come dovrebbe essere, perché è con il Sorriso che si ottiene efficacemente e indissolubilmente tutto quanto succedaneo alla Cultura: l’educazione, l’erudizione, il sapere, la formazione intellettuale, le esperienze spirituali e le espressioni artistiche, in una parola la Gioia.
Non c’è chi non intende quanta sia efficace per il docente trasmettere il sapere divertendo i discenti, la gratificazione insigne di vedere chi apprende divenire convinto alla sapienza con riso e gioia.
Il sapere, che comprende la scienza e la morale, portano al bene, alla giustizia, all’onestà, alla rettitudine, e ne discendono da queste tutto quanto di positivo è insito naturalmente nell’animo umano: la gentilezza, l’amabilità, la solidarietà.
Il sapere concilia scienza e religione, fede e logica, credenza e fanatismo, scioglie i nodi, affina la dialettica, amplia e condivide il numero di nomi, vocaboli, fenomeni noti, costruisce il dialogo costruttivo e non l’insulsa logorrea, supera gli ostacoli e le differenze.
Il paradiso in terra.
Poiché però la maggioranza degli uomini anelano al potere per il potere, e intende esercitarlo senza sapienza ma con sordido egoismo, ecco che sorge l’ignoranza, e questa per definizione stessa esprime il bieco possesso a prescindere, il fare senza chiedere conto e permesso, l’agire senza rispetto e con protervia, la prepotenza nell’affermare e la violenza nel fare rispettare le iniquità imposte a forza, ad esso si accompagnano sempre la malvagità, la perfidia, la meschinità, la bassezza.
L’inferno in terra.
C’è dunque anche tra i presunti savi chi ciecamente, e facilmente per millantato credito, giunge al massimo dell’empietà, appunto il diffondere e perpetuare volutamente l’ assenza della Cultura, e da qui fa discendere di proposito e diffusamente l’ignoranza, il nascondimento, il celare, l’inganno, la mistificazione e via via sempre più in basso nella scala degradante verso le tenebre più fitte con cui è più facile tenere soggetti i privi di cultura, arrivando alla messa all’indice dei testi proibiti o alle veline dei ministeri di cultura popolare.
La Storia insegna, è monito di ripetizione, dai tempi dei tempi.
Il potere è bieco, in definitiva, e non ama il riso, il sorriso, la leggerezza: da Aristotele in poi questi caratteri sono sempre stati osteggiati, il potere vuole certezze e dettami rigidi e inscalfibili, vuole obbedienza e non discussioni, sempre, e nel suo nome è lecita ogni aberrazione.
In estrema sintesi, questo è “Il nome della rosa”, di Umberto Eco, un viaggio nel Medioevo, e non solo, un percorso diretto ma con vari rivoli, un fiume che scorre in un alveo potente, e intanto effonde nei canali e irrora le terre fertili.
Un libro che è un inno al novellare, e le buone storie quando sono buone davvero concimano, lo scrittore si fa acqua, ma la sua abilità non è preservata in una cisterna, la cultura come la bellezza e la gioia vanno condivise perché abbiano un senso, la storia è immessa invece nei canali a disposizione dei lettori, perché la usino, la riciclino, la effondano, perché la leggano, la diffondano, la discutano, soprattutto la critichino, per forgiarla, arricchirla, migliorarla.
Come si dovrebbe fare con l’umana esistenza.
“Il nome della rosa” è un romanzo appagante, ottimista, brillante e radioso come il suo titolo, affatto casuale; è infatti una storia serena, molto ben costruita, documentata, placida nel suo scorrere, avvincente e articolata, con molte spine, così che può apparire ardua da apprezzare, ma è invece prediletta dai Lettori, poiché il racconto contempla, si svolge e comprende tutto quanto concerne l’edificazione del maniero favorito dai cultori delle lettere: una biblioteca.
E che biblioteca: un monastero medievale che vede all’opera schiere di copisti e scrivani, monaci incisori e amanuensi, un deposito immenso di un patrimonio librario tra i più importanti, antichi e preziosi del tempo, che contiene migliaia di volumi, quasi tutti quelli conosciuti e che abbraccia l’editoria mondiale allora conosciuta, dalle colonne d’Ercole al finis Africae.
Questo è un romanzo che sembra letteralmente scritto a mano su pergamena, con tanto di piuma d’oca e inchiostro tratto dal carbon fossile, comprende tutto, ed il contrario di tutto, con svariate chiavi di lettura, tutte quelle che si possono richiedere ad un romanzo, giacché giustamente è il Romanzo.
Non la Bibbia, o un qualsiasi testo sacro, è un signor Romanzo, un racconto dove un qualsiasi Lettore ritrova facilmente tutti i generi che predilige, dal romanzo epistolare a quello giallo, dal thriller al racconto di viaggi e peregrinazioni varie, tutti i temi del narrare, misfatti e misteri, pozioni e veleni, cibo e digiuno, ricchezza e miseria.
Rinviene i temi del grand guignol e della lussuria, la violenza e le torture, il sesso e l’astinenza, rievoca i misfatti dell’Inquisizione, vi compare finanche la tecnologia, vale a dire le prime applicazioni pratiche degli studi scientifici, manco a farlo apposta perché parliamo di libri e di chi sui libri gli occhi li consuma, ecco protagonisti un paio di grossolani, stupefacenti occhiali da lettura, manufatto misterioso per l’epoca, se non un sortilegio o un maleficio, poco ci manca.
È un romanzo storico, ambientato in anni bui, tanto bui che furono contraddistinti dalle costruzioni delle grandi cattedrali, dal sorgere delle prime scuole e delle prime grandi università, tanto oscuri come possono essere i tempi illuminati vividamente dalla Cultura, anni contraddistinti dal sorgere di ordini religiosi antichi e modernissimi ancora oggi, i Francescani, per esempio.
O meglio ancora, i Benedettini, che con la loro regola e con la loro operosità, il loro mantra “ora et labora” conducono il mondo intero a lasciarsi alle spalle quanto prima le devastazioni barbariche.
La barbaria, ancora oggi, si supera con la Cultura, con i libri: e da qui, l’opera degli amanuensi non è casuale, salva l’umanità impegnandosi a custodire e trascrivere a mano quanto resta, quanto salvato dell'antichità classica.
È un romanzo sul potere, detenuto più da ecclesiastici, che da Re e regine e Cavalieri, ma il potere corrode anche gli ecclesiastici, di qui l’ insorgere delle eresie, e non solo.
Ma “Il nome della rosa” è anche un romanzo divertente, perché è volutamente fuorviante.
In apparenza ha una patina di antico, come se l’autore fosse un contemporaneo dell’epoca di cui scrive o poco più, come era Manzoni con gli sposi promessi e contrastati, o padre Dante con la sua Commedia.
Invece, Eco è un autore che scrive alla perfezione di millenni prima, ma è moderno e attuale, lo rivela in pieno, con tutta la sua arguzia e la sua facezia, tramite la ricchezza di rimandi intertestuali, il continuo ricorrere a colte citazioni, dai classici latini alla letteratura medievale, dai romanzi ottocenteschi alla cultura dei mass-media, non è un caso che il nome del protagonista principale, il monaco colto, logico, scientifico, credente e però non immune da libertà di pensiero e di giudizio, l’arguto alter ego dello scrittore, è Guglielmo da Baskerville.
Richiama in maniera sfacciata il titolo del noto romanzo di sir Arthur Conan Doyle, “Il mastino dei Baskerville”, una delle più famose indagini di Sherlock Holmes.
E come Holmes, Guglielmo ha una spalla un po' imbranata, che non è il dottor Watson ma il novizio Adzo, non un medico e però Eco lo nobilita innalzandolo a livello di voce narrante.: dopotutto, il giovane sprovveduto è la giusta e necessaria spalla, colui che permette al docente di esporre il metodo deduttivo, che un po' una sapienza omnicomprensiva, che concilia scienza e religione, il visibile con l’imponderabile.
È un romanzo che è un sunto di generi, quindi, e proprio per questo soddisfa tutti, induce emozioni e riflessione in ogni specie di lettore, ha un nome per tutto e a tutto dà un nome, non so cos’altro dovrebbe fare un romanzo per riuscire gradito a chiunque.
Il suo stesso titolo è esemplificativo, esauriente, esaustivo, dichiarativo dell’amore dell’autore per la pagina scritta.
La pagina scritta altro non è che un foglio che riporta concetti, e i concetti si esprimono con nomi.
Alla fine del libro, sta l’origine della specie, una frase darwiniana, oserei dire:
“Stat rosa pristina nomine, nomina nuda tenemus”
Tradotto: "la rosa primigenia esiste solo come nome, noi possediamo nomi nudi".
Come dire…tutto passa. Alla fine della nostra esistenza, restano solo i nomi.
Serve preservarli, magari precipitandosi a salvare i libri in fiamme in una biblioteca.
A mani nude. Libri scritti a mano, con caratteri belli e brutti: rose con le spine.

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Umberto Eco, e a chi è preda della dipendenza di leggere.
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leogaro Opinione inserita da leogaro    18 Aprile, 2020
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La rosa che non appassisce mai

Novembre 1327, Italia settentrionale. Papa Giovanni XXII, insediato a Avignone, è in lotta con l’Imperatore Ludovico che è invece sostenuto dai francescani, desiderosi d’una Chiesa più austera. Frate Guglielmo e Adso, suo allievo, si recano in un monastero benedettino, sede d’un incontro tra francescani e delegati papali.
- 1° giorno. L’abate Abbone comunica a Guglielmo la recente morte del miniatore Adelmo, precipitato da una rupe, e lo prega di indagare sull’accaduto. Guglielmo visita il monastero e l’Edificio, una costruzione con una ricca biblioteca, intricato labirinto svelato solo al bibliotecario e al suo aiuto. L’atmosfera è tesa: dei monaci insinuano sulla condotta dei compagni, altri credono vicino l'Anticristo. Si conoscono alcuni monaci: il medico erborista Severino, l’estremista Ubertino, l’ambiguo Berengario, il severo Malachia e Venanzio, un traduttore dal greco che difende le ironiche miniature del defunto Adelmo contro gli attacchi dell’austero Jorge, convinto che ridere sia opera demoniaca che distoglie il popolo dal timor di Dio. Venanzio insinua vi siano stati strani rapporti tra Adelmo, Bencio e Berengario, che arrossisce.
- 2° giorno. Si scopre il cadavere di Venanzio a bagno nel sangue dei maiali. Bencio e Berengario vengono interrogati: Berengario dice d’aver visto Adelmo, la notte prima, aggirarsi sconvolto nel cimitero, farneticando d’essere condannato all’inferno; Bencio rivela che Berengario era innamorato di Adelmo, cui avrebbe rivelato un segreto in cambio di favori sessuali. Guglielmo fruga nel tavolo di Venanzio, trova degli appunti con frasi in codice e ipotizza che egli avesse appreso i segreti della biblioteca da Adelmo. Di notte, Guglielmo e Adso entrano in biblioteca: trovano versetti apocalittici sui muri, erbe allucinogene e specchi deformanti, e escono a fatica.
- 3° giorno. Guglielmo decifra il brano in cui Venanzio parla del “finis Africae”, una stanza della biblioteca contenente libri pericolosi per la cristianità, celandone la posizione e l’entrata dietro un enigma. Adso disegna un’approssimativa piantina della biblioteca. Ubertino racconta ad Adso la storia dell’eretico Fra’ Dolcino, sostenitore della libertà sessuale, e insinua che Remigio ne sia stato un seguace. Adso torna in biblioteca per perfezionare la piantina e incontra una ragazza con cui conosce i piaceri della carne; al risveglio, sconvolto, si confessa con Guglielmo. Alle piscine dell’ospedale si trova il cadavere di Berengario, annegato.
- 4° giorno. Severino e Guglielmo esaminano i corpi di Berengario e Venanzio, entrambi con lingua e polpastrelli neri, forse dovuti a un veleno. Messo alle strette, Remigio confessa d’intrattenersi con la ragazza in cambio di cibo. Con l’arrivo dei delegati, tra cui l’inquisitore Bernardo Gui, il congresso inizia. In biblioteca, Guglielmo capisce che le iniziali dei versetti sui muri indicano la provenienza geografica dei libri e trova il settore africano, ma non l’ingresso del “finis Africae”.
- 5° giorno. Gui scopre la ragazza col monaco Salvatore, che accusa Remigio di commercio sessuale. Severino trova uno strano libro nel suo ospedale e ne parla a Guglielmo in chiesa. Poco dopo, l’erborista viene trovato morto, con Remigio intento a frugare negli scaffali, da cui il libro misterioso è sparito. Interrogato, Remigio confessa il suo passato dolciniano, di cui stava eliminando le prove da delle lettere lì conservate. Gui condanna Remigio, Salvatore e la ragazza per eresia e omicidio.
- 6° giorno. Finito il congresso, Gui torna ad Avignone. Malachia stramazza al suolo in chiesa, con dita e lingua nere. Guglielmo nota che tale morte ha accomunato chiunque conoscesse il greco e deduce si tratti d’un libro avvelenato scritto in greco; finalmente, decifra l’enigma di Venanzio e, di notte, torna con Adso in biblioteca.
- 7° giorno. I due accedono al “finis Africae”, dove finalmente tutto si rivela al lettore. Nella lotta tra il Bene e il Male giunta ormai al capolinea, sembra che le stesse fiamme dell'Infermo vogliano inghiottire l'Abbazia, immobile teatro di vendette, invidie, gelosie e inconfessabili peccati.

Un libro che è capolavoro assoluto, scritto con stile acuto, tagliente, alternando vari registri narrativi e sovrapponendo diversi piani di approfondimento, permettendo allo stesso lettore di leggere la storia seguendo differenti chiavi di lettura. Alcuni capitoli si dilungano un po', ma nel complesso la lettura è piacevole.
Molte anche le frasi memorabili: “Tale è la forza del vero che, come il bene, è diffusivo di sé”- “Se mai fossi saggio, lo sarei perché so essere severo” – “Se un pastore falla, deve essere isolato dagli altri pastori, ma guai se le pecore cominciassero a diffidare dei pastori” – “Non tutte le verità sono per tutte le orecchie” – “Mancò il coraggio di inquisire sulle debolezze dei malvagi perché scoprii che sono le stesse dei santi” – “Quando i veri nemici sono troppo forti, bisogna pur scegliere dei nemici più deboli” – “Nulla effonde più coraggio al pauroso della paura altrui” – “La logica poteva servire molto, a condizione di entrarci dentro e poi uscirne” – “O ribellarsi o tradire: è data poca scelta a noi semplici” – “Non rispose, ma il suo silenzio era abbastanza eloquente” – “Temi coloro disposti a morire per la verità, perché di solito fanno morire moltissimo con loro, prima di loro, al posto loro.”

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siti Opinione inserita da siti    13 Aprile, 2020
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Al di là del nulla … un romanzo.

Il lascito maggiore di questa lettura alla mia persona è saggiamente contenuto nella citazione del mistico Tommaso da Kempis che chiosa la prefazione al romanzo datata 5 gennaio 1980: “In omnibus requiem quaesivi, et nusquam inveni nisi in angulo cum libro”. Paradossale, quasi, nella finitezza, nella piccolezza, che mi distingue come lettrice: rifuggire, se posso, da quelle letture che è dato per certo essere impegnative perché, è sicuro , lasciano con la netta consapevolezza di non aver capito tutto, di non essere all’altezza culturale di poterle cogliere nella loro totalità. Ma, se è vero, che un’opera letteraria, direbbe il dotto magister, è per sua natura un’opera aperta, sia allora di consolazione sapere che anche questa non può sottrarsi all’esposizione del giudizio del lettore, al suo gusto personale e anche ai suoi limiti culturali. Buona pace per Eco, il quale, per divertirsi così con il suo lettore, ha richiamato nella sua nassa pesci grandi e piccoli, per cui la sua opera è stata fatta oggetto di infinito studio, di competizione culturale, impari, con un uomo dalla conoscenza enciclopedica, dalla memoria prodigiosa, dalla consapevolezza teorica che assomma discipline le più diverse, il tutto gestito dalla sapiente regia di uno studioso di semiotica. Non solo, è nota a tutti la trasposizione cinematografica che come sempre, a mio avviso, tradisce l’opera scritta: tutte le categorie narratologiche spazzate via da tecniche cinematografiche che, se da un lato materializzano l’iconografia dei luoghi ( non bastasse la mia immaginazione di lettore così abilmente supportata dai diversi strumenti messi in campo da Eco) dall’altro azzerano la gestione del tempo narrativo scandito da Eco a rendere una necessaria e ardua coincidenza tra tempo della narrazione e tempo della storia. Azzerati inoltre i meccanismi diluiti del giallo, il lento procedere dello svelamento degli indizi, la messa in gioco dell’abilità del lettore. Potrei continuare ancora su questa falsa riga ma in realtà mi preme molto di più chiarire e chiarirmi perché ancora una volta un’opera di difficile lettura, inarrivabile nella sua complessità, mi faccia al contempo sentire così piccola e insieme così “in pace”. Seguirebbe una lunga riflessione sull’atto della lettura, sul suo significato, sull’essere lettori mentre mi limiterò dopo questa inutile introduzione a dare una mia personale sensazione di lettura.
Gradevole fin dall’inizio è stato il richiamo al genere del romanzo storico, la strizzatina d’occhio dell’ironico Eco alla trovata, immancabile, del manoscritto, il gusto per il topos letterario, il divertimento intellettuale a richiamare moduli narrativi noti. Consolatorie, fin da subito, quando già minacciosi comparivano i primi riferimenti culturali per me sconosciuti, subdorati ma non indagati al fine di non perdere continuità nella lettura, l’alternasi delle sequenze puramente narrative e la tecnica di presentazione dei personaggi. Irresistibile già nell’ora terza del primo giorno il richiamo alla semiotica, al valore dei segni, alla loro decifrabilità e alla loro comunicabilità. E lì, volente o nolente, la trappola ha funzionato e ancora prima di imbattermi nelle successive, naturalmente solo in quelle che il mio limite culturale rendeva intellegibili, ho iniziato a rincorrere gli indizi: non i fatti contingenti alla soluzione del giallo ma i segnali di un disegno altro, quasi di un messaggio subliminale consegnato a quest’opera. E invece, bravissimo Eco, mi sono ritrovata ad attraversare le diverse fasi di appagamento che sono necessari al lettore: la progressione della trama, il senso della scoperta, la meraviglia che l’accompagna, l’ammirazione per la mimesi stilistica e per la ricostruzione storica. E poi il climax continuo, la lotta tra il bene e il male, il conforto delle vecchie care antitesi e perché no il dirottamento verso una sorta di immedesimazione e di edificante protagonismo, la catarsi finale, senza né vinti né vincitori ma solo lo sprofondare nell’assoluto trionfo del caso e nell’annullamento di ogni categoria, la pace dell’assenza di qualsiasi segno …”stat rosa pristina nomine, nomina nuda tenemus”.

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Chiara77 Opinione inserita da Chiara77    07 Dicembre, 2018
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La seduzione della conoscenza

“Trascrivo senza preoccupazioni di attualità. Negli anni in cui scoprivo il testo dell'abate di Vallet circolava la persuasione che si dovesse scrivere solo impegnandosi sul presente, e per cambiare il mondo. A dieci e più anni di distanza è ora consolazione dell'uomo di lettere (restituito alla sua altissima dignità) che si possa scrivere per puro amore di scrittura.”

Così affermava Umberto Eco nella prefazione a “Il nome della rosa”, il 5 gennaio 1980: “scrivere per puro amore di scrittura”, senza preoccuparsi dell'attualità, e consegnarci così un'opera che è diventata un classico della nostra Letterarura.
La voce narrante è quella di Adso da Melk, un monaco ormai anziano che, mentre sente approssimarsi l'ora della fine della sua vita terrena, rievoca, scrivendoli sulla pergamena, dei fatti che si svolsero nel 1327, quando era un giovane novizio e viaggiava per l'Italia insieme al suo maestro Guglielmo da Baskerville. Adso accompagna Guglielmo, un frate francescano di origini inglesi, in una delicata missione diplomatica che si sarebbe svolta in un'abbazia benedettina dell'Italia centro-settentrionale, della quale non viene riferito il nome, celebre soprattutto per la sua ricchissima biblioteca. L'abbazia sarebbe stata infatti il luogo d'incontro tra un gruppo di francescani seguaci dell'imperatore Ludovico il Bavaro e una delegazione proveniente dalla corte avignonese di papa Giovanni XXII. Ma quando Adso e Guglielmo arrivano sul posto scoprono che il monastero è stata funestato di recente da una morte violenta: un monaco giovane ma già famoso come maestro miniatore, Adelmo da Otranto, era stato trovato morto qualche giorno prima, precipitato in fondo ad un burrone. L'abate, avendo constatato le grandi doti logico deduttive di Guglielmo, gli chiede di indagare sull'accaduto. Ben presto il francescano si rende conto che tutto il mistero ruota attorno alla biblioteca del monastero, alla volontà di renderla inaccessibile e alla sete di conoscenza che invece divora i monaci. Le morti violente intanto continuano a susseguirsi durante i sette giorni della permanenza di Adso e Guglielmo all'abbazia. Il giovane novizio vivrà un bel po' di avventure memorabili, parteciperà a dibattiti teologici, filosofici, storici, conoscerà eretici, mistici, uomini di potere ed inquisitori e riuscirà anche ad innamorarsi in modo carnale e terreno.
“Il nome della rosa” è sicuramente una di quelle opere che è in grado di parlare al lettore ogni volta che la si legge o rilegge, al di là del tempo storico in cui è ambientata. Si tratta di un romanzo molto complesso, che presenta vari livelli di lettura: c'è la trama investigativa, il mistero da risolvere secondo deduzioni logiche, ci sono le dissertazioni e divagazioni sulla storia e sulla filosofia medievale, che in certi punti possono risultare un pochino troppo lunghe, ma che rendono questo romanzo unico e non paragonabile ad altri romanzi storici coevi, c'è un continuo gioco di citazioni colte ed erudite predisposto dall'autore. Su tutto però mi sembra che prevalga l'amore e il desiderio verso i libri, verso la cultura: la seduzione della conoscenza. Questo è il tema centrale del romanzo: il desiderio di apprendere, di sapere, di comprendere, di imparare: di leggere.

“ «Il bene di un libro sta nell'essere letto. Un libro è fatto di segni che parlano di altri segni, i quali a loro volta parlano delle cose. Senza un occhio che legga, un libro reca segni che non producono concetti, e quindi è muto. […]”

Il bene supremo è poter accedere alla conoscenza, il male supremo è costituito da chi la impedisce, da chi, pensando di essere l'unico portatore della verità, impedisce agli altri di poter liberamente conoscere.

“«Era la più grande biblioteca della cristianità,» disse Guglielmo. «Ora,» aggiunse, «l'Anticristo è veramente vicino perché nessuna sapienza gli farà più da barriera. D'altra parte ne abbiamo visto il volto questa notte.»
«Il volto di chi?» domandai stordito.
«Jorge, dico. In quel viso devastato dall'odio per la filosofia, ho visto per la prima volta il ritratto dell'Anticristo, che non viene dalle tribù di Giuda come vogliono i suoi annunciatori, né da un Paese lontano. L'Anticristo può nascere dalla stessa pietà, dall'eccessivo amor di Dio o della verità, come l'eretico nasce dal santo e l'indemoniato dal veggente. Temi, Adso, i profeti e coloro disposti a morire per la verità, ché di solito fan morire moltissimi con loro, spesso prima di loro, talvolta al posto loro. […]”

Come non riconoscere un'estrema attualità in queste parole proprio nei nostri tempi storici?
Eco voleva scrivere una storia lontana da noi, ma una storia di libri non può che riguardarci ancora.


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Pupottina Opinione inserita da Pupottina    27 Dicembre, 2016
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la rosa primigenia esiste solo nel nome, possediam

"Il sapere non è come la moneta, che rimane fissamente integra anche attraverso i più infami baratti: esso è piuttosto come un abito bellissimo, che si consuma attraverso l'uso e l'ostentazione. Non è così infatti il libro stesso, le cui pagine si sbriciolano, gli inchiostri e gli ori si fanno opachi, se troppe mani lo toccano?"
Un inquietudine intensa pervade l'ascoltatore, il quale resta profondamente coinvolto durante l'ascolto di IL NOME DELLA ROSA, letto da Tommaso Ragno. Il tono della sua voce è particolarmente incisivo e rigoroso e riesce ad accrescere l'interesse del lettore-ascoltatore, mentre segue il dipanarsi delle vicende del giovane novizio Adso da Melk in quello che è il suo percorso di formazione.
IL NOME DELLA ROSA è un interessante giallo medievale con personaggi ottimamente costruiti. Accanto ad Adso, pericolosamente unito dalla volontà di far luce sulle misteriose vicende legate all'antica abbazia benedettina, c'è frate Guglielmo da Baskerville.
La loro indagine procede attraverso l'ingegno, l'intuito, l'intelligenza personale, ma soprattutto grazie all'erudizione, quella già posseduta e quella progressivamente appresa.
È un libro sulla potenza del sapere, su quanto sia importante la conoscenza e quanto possa sedurre la possibilità di apprenderla, escludendone gli altri.
È un romanzo di cui si è sempre molto parlato, il capolavoro di Umberto Eco, un autentico libro formato mattone (più di 500 pagine), ma che risulta piacevole da leggere (o, in questo caso, da ascoltare, grazie a Tommaso Ragno) e da scoprire, pagina dopo pagine, nella sua complessità, nella struttura narrativa, dove la suspense si fonde al ragionamento, lento e meticoloso.
È un autentico capolavoro della letteratura italiana contemporanea che tutti dovrebbero leggere (o ascoltare).
"L'unica verità è imparare a liberarci dalla passione insana per la verità."

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C.U.B. Opinione inserita da C.U.B.    08 Novembre, 2016
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Lussuria del sapere

" In principio era il Verbo e il Verbo era presso Dio, e il Verbo era Dio.”

L’umile , incessante salmodiare dei monaci dovrebbe ripetere l’unica verita’ incontestabile, senza dissipare beatitudine in empieta’.
Correva l’anno del Signore 1327 e l’antica abbazia benedettina nascondeva tra le sue mura segreti di sapienti e peccati di mortali, ogni pestilenza necessita di un corpo da infettare e per condurre il peccato serve il peccatore .
Così fu che la delegazione imperiale composta dal francescano Guglielmo da Baskerville ed il novizio Adso da Melk si ritrovo’ , su ordine dell’abate, ad indagare sull’omicidio di frate Adelmo.
Sette giorni lunghissimi, l'otre del tempo e’ satura , e' satollo lo stomaco di chi ha masticato le pagine per cinquecento e piu' volte sfogliando.

Un romanzo storico accattivante e complesso , a tratti colmo di dottrina ecclesiastica, a tratti lento, a tratti ridondante. L’abilita’ di un grande scrittore e l’agilita’ dell’uomo dotto fanno sì che cio’ che normalmente aggravia sia promosso da tara a pregio e caratterizzazione.
Proprio nel linguaggio forbito riscontriamo infatti il realismo che riporta al modus esprimendi dei monaci eruditi di quei tempi. Esattamente il cavilloso filosofeggiare ci concede di insediarci tra le stanze in cui il volere ed il potere ecclesiastico si confrontavano.
Umberto Eco ricostruisce il Medioevo e lo fa in maniera transitiva, trasportando il lettore nell’epoca stessa. Ecco perche’ il contenuto e la forma debbono essere rigorosamente consoni, per marcare il confine tra mero intrattenimento e fedelta' storica.
Si argomenta cosi’ nel lento e piacevole scorrere delle pagine dell’attrito tra potere imperiale e potere papale, del confronto tra i sostenitori della poverta’ francescana e l’opulenta gerarchia ecclesiastica. Il tutto alleggerito da un giallo di non semplice risoluzione, dal fascino misterioso di una inestimabile libreria celata nei meandri di un labirinto, dall’inquietudine inferta alla platea dalla gogna inquisitoria .

Di noi probabilmente restera’ solo il nome. O forse nemmeno. Buona lettura.

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joannes88 Opinione inserita da joannes88    25 Aprile, 2016
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Un libro sulla potenza dei libri

“E quindi una biblioteca non è uno strumento per distribuire la verità, ma per ritardarne l’apparizione?” chiesi stupito.
“Non sempre e non necessariamente. In questo caso lo è.”


Un libro sulla potenza dei libri. Penso che questa potrebbe essere una definizione calzante per Il nome della rosa di Umberto Eco.
La storia è ambientata nel novembre del 1327 in un’abbazia dell’ordine benedettino situata su un monte dell’Italia settentrionale e famosa per l’immensa biblioteca (colma di manoscritti introvabili), le splendide ricchezze accumulate dai remoti tempi della sua fondazione e le stupefacenti reliquie gelosamente conservate nella cripta della chiesa. Qui la vita dei monaci cammina da secoli secondo gli austeri e consolidati ritmi della regola, e all’apparenza nulla di maligno sembra insidiarsi all’interno delle mura del vecchio monastero, fino a quando la morte misteriosa e terribile di alcuni monaci turba profondamente l’animo di tutti e rischia di mettere in pericolo l’esistenza stessa di quel luogo consacrato alla preghiera.
Per la sua fama di uomo arguto e il lungo passato da inquisitore, Guglielmo da Baskerville, un dotto frate francescano di origini inglesi, riceve dall’abate l’incarico di indagare sugli atroci ed inspiegabili delitti. Deve fare in fretta, però, perché negli stessi giorni l’abbazia accoglierà due delegazioni, una pontificia ed una imperiale (di cui egli stesso è parte) per un incontro di fondamentale importanza ai fini del futuro dell’ordine francescano, da molti ad Avignone considerato in odore di eresia per i ripetuti richiami alla povertà.
Ad accompagnare Guglielmo c’è il novizio Adso da Melk, un giovane benedettino tedesco tolto alla tranquillità del proprio monastero in Germania per assistere il frate inglese nella sua difficile missione. Sarà proprio lui che ormai ottantenne deciderà di raccontare per iscritto la storia degli avvenimenti di cui è stato testimone in gioventù nell’abbazia maledetta.
La narrazione quindi corre su un doppio binario, con Adso anziano che dall’alto dei suoi anni può ragionare attentamente sulle vicende che Adso giovane ha vissuto con innocenza e scarsa esperienza del mondo. In questa dialettica tra io-vecchio e io-giovane, ricordi straordinariamente nitidi e ricche riflessioni si alternano continuamente in un racconto che non perde mai il suo interesse.

La nebbia fitta che sul tramonto dell’autunno avvolge le possenti mura del monastero, i meandri bui ed umidi dell’Edificio, i luoghi sacri e inaccessibili dell’abbazia, i passaggi segreti, la misteriosissima biblioteca, le terrificanti ed apocalittiche figure scolpite sul portale della chiesa, l’oscuro passato di alcuni monaci, le torbide e proibite vicende amorose che si consumano di notte, il secolare cimitero dove pare si aggirino degli spettri: tutto contribuisce a conferire alla narrazione quella luce opaca, inquietante ma incredibilmente affascinante che nella nostra immaginazione siamo soliti attribuire al Medioevo e che, nel contempo, tanto si addice a quello che può benissimo definirsi un romanzo thriller.
Umberto Eco è superlativo nella precisa e particolareggiata rappresentazione degli ambienti e dei luoghi di quest’abbazia italiana del XIV secolo (come dimenticare le congetture dei protagonisti per capire come muoversi nel labirinto o la descrizione del portale della chiesa contenuta nelle prime pagine del libro?) ma non si limita a questo. In quello che è unanimemente riconosciuto come il suo capolavoro, riesce infatti ad intersecare tra loro trame di politica e religione (senza mai annoiare, anzi) e trame molto più minute, che riguardano i rapporti personali dei monaci e la storia remota dell’abbazia.
Il risultato è un’opera appassionante, che lascia il lettore in sospeso tra mille ipotesi per centinaia di pagine e lo trascina in preda alla curiosità sino ai capitoli finali, che catturano per profondità ed intensità.

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Filippo1998 Opinione inserita da Filippo1998    28 Giugno, 2015
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Nel buio del Medioevo, un incendio

Ci sono dei romanzi che è bello gustarsi lentamente, pagina per pagina, parola per parola, forse perchè in completa sintonia con l'autore o forse perchè si avverte che quel libro ha qualcosa di vero da insegnare e si prova dispiacere ad avviarsi verso la fine.
Certamente uno di quelli è "Il nome della rosa", prima opera del noto Umberto Eco.
Si tratta di un romanzo multiforme un po' atipico, e ciò è evidente già dalle prime righe.
"Il nome della rosa" infatti non è altro che un diario in cui un monaco benedettino vissuto nel XIV secolo, Adso da Melk, raccoglie, in maniera quanto più lucida e imparziale, una movimentata avventura in un'abbazia dell'Italia Settentrionale vissuta in qualità di novizio a fianco del suo mentore, Guglielmo.
Adso racconta la propria vicenda da vero uomo del Medioevo, con espressioni, lessico, metodi di ragionamento, e mentalità pienamente medievali, oltre a un latino che ne arricchisce le pagine qua e là. Eco riesce a rendere il tutto quanto più naturale possibile, senza neppure trascurare un particolare, a partire dalle misure utilizzate al tempo, fino alla suddivisione della giornata in base alla preghiera e al riferimento alle lenti ad legendum, che altro non sono che gli occhiali da vista. Anche la chiusura del romanzo-diario è palesemente presa in prestito dai monaci addetti alla stesura dei manoscritti: "Fa freddo nello scriptorium, il pollice mi duole".
E ciò che colpisce è che niente appare mai forzato o artificioso; al contrario, la naturalezza con cui Umberto Eco riesce a immedesimarsi in tempi lontani come quelli del buio Medioevo è ammirevole e alla fine ci si chiede se davvero chi ha scritto l'opera non sia un uomo del XIV secolo.
Se attenersi al lessico, alle espressioni idiomatiche, alle abitudini di questa epoca può apparire un'operazione , non dico semplice, ma comunque fattibile, ben più arduo è riuscire a mantenersi coerenti in tutto ciò che si va scrivendo con la mentalità di fondo di un qualsiasi uomo di Chiesa del 1300. L'autore in questo romanzo eccezionale riesce a farlo in modo magistrale, mettendo in luce le debolezze e i pregi di questo periodo tanto accattivante.
Il basso Medioevo è un periodo definito buio dalla maggior parte degli storici. Malattie, carestie, disoccupazione e analfabetismo falcidiano la popolazione. Il sapere è in mano a una cerchia di "eletti", gli ecclesiastici, che nei loro monasteri manipolano la sapienza, decidendo per gli altri ciò che è lecito o meno conoscere. E' inevitabile che ci si concentri principalmente su testi sacri o su pergamene che rafforzano tesi coerenti con quelle della Chiesa e il resto finisce per essere censurato.
Si abbandona l'interesse per la poesia e per le humanae litterae oltre che per le scienze intese come studio della natura, vista come luogo di tentazione, una valle di lacrime in cui l'uomo deve resistere in attesa della venuta di Cristo. Da questa visione escatologica deriva una certa chiusura mentale ma soprattutto sospetto e resistenza alla novità che Umberto Eco non perde mai di vista, mettendo in mostra tutta la sua abilità di storico.
Ma questo in capolavoro ,che già ho definito appunto multiforme, non si intrecciano solamente storia e religione; le pagine sono permeate di filosofia platonica e aristotelica , chiave di risoluzione degli intricatissimi arcani di fronte ai quali Adso, con il suo maestro, si trova.
Infatti, come se non bastasse, "Il nome della rosa" è anche un sensazionale giallo che ruota intorno a una serie di omicidi, o meglio, suicidi scatenati dal desiderio di un manoscritto proibito, la seconda poetica di Aristotele, incentrata sull'esaltazione del riso come arte, odiato dalla maggioranza degli ecclesiastici in quanto esalta uno strumento come il riso il quale permette all'uomo di liberarsi dalla paura della morte e del giudizio di Dio.
E il mistero dello spietato killer è legato ad antiche questioni dell'abbazia che Guglielmo, spiccante per il suo acume e il suo ricorrente uso della ragione, riuscirà a svelare una per una, attingendo spesso e volentieri alla logica aristotelica e al rigore in generale tipico della filosofia.
Si tratta, insomma, di un capolavoro vero e proprio, in cui si alternano momenti in cui la lettura è rapidissima e concitata, e altri in cui è piacevolmente lenta, lasciando il giusto tempo al lettore per respirare tutta la sapienza che esalano le pagine.
Degna di nota la citazione finale, da cui deriva il titolo dell'opera, che , apparentemente insensata, permette un'ampia interpretazione: stat rosa pristina nomine, nomina nuda tenemus ("la rosa che è all'origine, esiste solo nel nome, noi possediamo soltanto nudi nomi").

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Opinione inserita da Filippo    24 Giugno, 2015

un fenomenale giallo enciclopedico

Ho letto le recensioni e sono rimasto veramente basito. Mi chiedo come si possa trovare "Il nome della rosa" un romanzo pesante, pretenzioso e noioso. Io lo ho trovato avvincente e piacevolissimo, certo è un po' impegnativo, ma la Letteratura alla fin fine lo deve essere. Ad ogni modo non è sicuramente ostico, "Ulisse" di Joyce, "L'arcobaleno della gravita" di Pynchon, "L'uomo senza qualità" di Musil, il romanzo seguente dello stesso Eco "Il pendolo di Focault" lo sono! Quello che mi ha colpito di più è stato lo stile, elegante, enciclopedico, complesso, personalmente lo trovo perfetto. Anche le varie digressioni sono molto interessanti. La trama, o meglio, il giallo che sostiene tutto è magistrale, costruito benissimo, crea suspence ed ha una notevole verve narrativa. I personaggi sono ben costruiti. Il mio preferito è stato Jorge, il cieco, una bellissima parodia dello scrittore argentino Borges, il cosiddetto 'omero del novecento', la biblioteca dell'abbazia poi è un'evidente citazione ad un celebre racconto borgesiano, contenuto nelle "Finzioni". Le parti che mi son piaciute di più sono state la scena dell'inquisizione ed il potente finale. "Il nome della rosa" presenta inoltre un grande apparato storico-filosofico, che induce profonde riflessioni sull'etica, la moralità e l'ipocrisia ecclesiastica (almeno a me). Concludo dicendo che essendo un romanzo d'esordio il risultato mi pare eccezionale. Qui vorrei sfatare un mito, non è vero che i romanzi d'esordio o le opere prime sono sempre mediocri o imperfette, basta pensare al "Viaggio al termine della notte" di Céline o al "Tamburo di latta" di Günter Grass, capolavori ineguagliabili, soprattutto il primo.

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A chiunque piaccia leggere romamzi o libri di un certo spessore e profonditá.
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P.P. Opinione inserita da P.P.    10 Ottobre, 2013
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“Stat rosa pristina nomine, nomina nuda tenemus”

“Mi mancò il coraggio di inquisire sulle debolezze dei malvagi, perché scoprii che sono le stesse debolezze dei santi”
Un romanzo storico, un giallo, un saggio "Il nome della rosa" abbraccia un po' tutti questi generi....
Un mistero che fa da filo conduttore per tutto il racconto, una critica all'ipocrisia del medioevo e della chiesa medioevale, un "trattato di storia" per certi versi. Il romanzo ruota attorno ad una misteriosa e oscura abbazia italiana del XIV secolo,le cui mura a discapito dell'apparenza nascondono trame e segreti occulti, figure ambigue e altisonanti, corruzione, intrighi, menzogne, e tocca a frate Guglielmo da Baskerville e Adso da Melk, suo fedele allievo dissipare l'alone di mistero e falsità che avvolge le vicende dell' Abbazia.
Ma il romanzo non si limita a raccontare una storia, come già detto, in quanto tra le pagine si legge della chiesa medioevale, della storia di tutta l'Europa e dell' Italia in particolare, digressioni che a prima vista posso sembrare inadeguate ma che non si può fare a meno di leggere con interesse e curiosità, smorzate dalla acuta e pungente ironia dell'autore.
"Il nome della rosa" appare in fine, come una critica, o quantomeno una riflessione sull'importanza del ruolo della chiesa del tempo e sulla corruzione morale dei valori che pregiudicarono la visione del Medioevo nei secoli a venire. E bandiera di questa denuncia è proprio la figura di Guglielmo da Baskerville, frate francescano che si dimostrerà lungi dall'essere influenzato dalla rigida "moralità" del suo ordine, rappresentando l'uomo che non cede alla superstizione, agli intrighi del potere, ma si dissocia da una comune corruzione dei valori ( la cultura, l'etica) riuscendo a crearsi una propria visione del mondo, e a manifestarla a tutti quanti siano disposti ad ascoltarlo, senza il timore di andare contro corrente o contro la falsa morale e le regole.
"Stat rosa pristina nomine, nomina nuda tenemus" ( Della rosa rimane ormai solo il nome, nomi nudi ci rimangono), con questa frase si conclude il romanzo, frase che, secondo la mia opinione, lascia una libera interpretazione a seconda delle emozioni che ha suscitato nel lettore...

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Umberto Eco o è in cerca di qualcosa in più di un comune libro
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marcogiuf Opinione inserita da marcogiuf    03 Ottobre, 2013
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L'inganno dell'apparenza

CONTIENE INDICAZIONI SULLA TRAMA

Tutto quello che all'inizio sembra vero con lo scorrere le pagine si stravolge. E se all'inizio può giustamente apparire tedioso, ci rapisce poi come si intriga la trama, lo sviluppo dei personaggi e alquanto anche le descrizioni. Sebbene, come dice il mio prof di italiano, il contesto storico sia alleggerito (sulla qual cosa, per ignoranza, non metto bocca), ho trovato chiaro lo sfondo dell'epoca, pur ammettendo che ce ne vuole una conoscenza anche minima. Umberto Eco sviluppa la trama alternando discussioni inerenti ai delitti a discussioni filosofico-teologiche, le quali nel corso del romanzo seguono un climax ascendente. Così facendo, gli elementi portanti (il finis africae, la biblioteca) diventano in qualche modo sempre più vivi e pulsanti, fino al punto di distruggersi, proprio a causa di questo.
I personaggi hanno ciascuno un carattere ben preciso e la loro fine arriva precisamente quando si pensa che essi stiano per tornare ad una vita normale. Guglielmo, nonostante quello che sembri, fallisce miseramente e precisamente quando lo si arriverebbe a considerare un genio. Dio, che Adso e Gugliemo credono voglia esortare alla sapienza, fa andare in fiamme la biblioteca. La teologia di Adso, che sembra seguire in tutto il suo maestro, muta.

Dunque, un romanzo a cui non manca nulla; a mio parere fantastico e con intrighi che si ipotizzano anche dopo la lettura

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Almeno un capitolo in un libro di storia sul Medioevo
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Opinione inserita da alisjara    14 Dicembre, 2012

IL NOME DELLA ROSA

premetto di non voler condannare al rogo nessuno, per un libro che tanto insegna quanto sottile possa essere il confine fra giustizia e ingiustizia. ho detto insegna, ma sarebbe più corretto dire mostra. perchè, vedete, in molte delle vostre opinioni, sia a favore che contro il successo del romanzo, ho letto commenti infastiditi dalla gran vanagloria dell'autore,quasi come quel libro fosse il mero contenitore del sapere che egli aveva fino ad allora accumulato, e di cui aveva gran voglia di liberarsi, dando prova a tutto il mondo di quale e quanta fosse la sua sapienza. ma,come direbbe Guglielmo, dove è finita la vostra intelligenza? trovo più evoluta la concezione degli antichi greci, quando pensavano che il poeta ( o, aggiungerei, lo scrittore) non fosse un tecnico, ma un posseduto da divinità ispiratrici, che gli trasmettevano come forza magnetica l'energia creatrice, tramite la quale egli trovava le parole giuste per incantare chi ascoltava, o leggeva. questo pensiero, certamente, si avvicina molto più a ciò che puramente vuol dire scrivere, e scrivere è ciò che Eco ha fatto, incantando con le sue parole. ma, come per gli antichissimi poeti greci, il potere magico della parola può essere trasmesso solo a chi sia in una condizione di completa purezza e libertà di mente, lotano dalla dimensione terrena con tutti i suoi giudizi e pregiudizi. io ho 15 anni, ho ancora la fortuna di possedere intatta la passione del sapere in quanto sapere, di vedere un libro non diviso in più parti, ma nella sua interezza e armonia, e di vederlo come opera della divina saggezza dell'uomo, dalla quale mi lascio incantare, irresistibilmente attratta. io non ho indagato su quale fosse il periodo in cui fu scritto, su quali siano state le tattiche commerciali e pubblicitarie, su quale fosse la furbizia dell'autore. magari Eco fu molto furbo, e sfruttò, in seguito, la sua opera per trarne vantaggi economici e fama. ma quello che è certo è che nel momento in cui scrisse questo meraviglioso capolavoro, fu ispirato dal purissimo amore per la letteratura, che non ha secondi fini, ed è il più potente mezzo di diffusione e contagio di sè stessa. ve lo dico con il cuore, provate a rileggerlo, ma non commettete l'errore di farlo per dimostrare a voi stessi chi ha ragione e chi torto. io, adolescente, me lo sono semplicemente trovato fra le mani, e ho iniziato a leggere. senza alcuna base culturale filosofica, nè storica, senza sapere nulla nemmeno dello stesso Umberto Eco, ho letto le prime 100 pagine in un soffio, e subito dopo ho appreso che erano famigerate per la loro pesantezza, e ho iniziato a domandarmi perchè.. divorai le restanti 400 pagine in 3 giorni. e io vi dico che ci sono libri scritti con arroganza e vanagloria, nei quali si riconosce il segno indelebile di un autore che non scrisse semplicemente per scrivere, e che ho letto con angoscia, e che ho sentito molto pesanti. e il nome della rosa non è fra questi. quando il libro è scritto con puro amore di scrivere prescinde dalla mano che l'ha generato. certo è opera della sua intelligenza, ma assume una propria intelligenza, una propria anima, che tanto più è grande quanto più ci affascina. ll linguaggio, il contenuto, i tempi della narrazione, fusi insieme in quello che non è più solo un oggetto, ma un prodotto vivente dell'arte letteraria, creano il meccanismo perfetto e innocente con il quale un libro ci parla, ed è quasi commovente. io non avevo nessuna base per leggerlo eppure l'ho letto, e leggerlo non è stato come scalare una montagna, ma come prendere una boccata d'aria. non ho trovato pesanti nemmeno le lunghe descrizioni sulle situazioni storiche del tempo, perchè quando davvero si legge si è in quella libertà mentale, in quella sorta di ipnosi, in cui ogni parola è come miele al palato della nostra mente, e noi siamo completamente dentro le parole del libro. e la cosa più incredibile, sensazionale di questo libro, è che è un libro che parla di libri, perchè Guglielmo ben sapeva cosa volesse dire leggere. e se ( come senz'altro sarà) vi ostinerete ancora a ritenere un libro come oggetto da poter giudicare, potrete essere certo sicuri che, per vostra sfortuna, non avete mai sperimentato la beatitudine del vero amore del sapere. e dei molti livelli di lettura del libro, spero senza l'orgoglio che tanto condannate ( e che pure , ma con ironia, si condanna nel libro) io penso di averne compresi diversi. un libro , per quanto complessi possano essere i suoi contenuti, se è scritto come questo non può esser letto solo dopo aver studiato storia e filosofia. viceversa, dopo averlo letto sapevo molte cose su Aristotele e sul Medioevo, e molte altre sono andata a cercarne, spinta dall'amore insaziabile per il sapere che era anche di Guglielmo da Baskerville. scusate la lunghezza.

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Opinione inserita da Antonio    07 Settembre, 2012

Dipende da cosa cercate

Devo andare controcorrente, ed a rischio di sembrare eretico (ed è proprio il caso di dirlo vista l'ambientazione ed i temi del libro...) sconsiglio il libro. Tutto dipende poi da cosa cercate. Se volete studiare e non leggere, allora è perfetto. Imparerete innumerevoli cose sull'erboristeria, sulle dottrine religiose, sulla filosofia. Se cercate invece un romanzo in cui immergervi nel piace della lettura questo libro non fa al caso vostro. Infatti faticherete a tenere le retini della storia perdendovi nelle immense finestre aperte dall'autore per spiegarvi ad esempio la storia di un ordine religioso. Alla fine della finestra facevo quasi fatica a ricordare la trama. In alcune ambientazioni e per brevi tratti il libro è molto coinvolgente, ma subito dopo Eco si riperde specchiandosi nella sua immensa cultura e partorendo così pagine e pagine di particolari e storie che uccidono il ritmo (sconosciuto a questo libro). Concludendo, a meno che non dobbiate studiare, potreste pure evitare di scalare questa montagna. Interminabile e pesante, poco fluido. Sembra che l'autore scoraggi appositamente chiunque non sia al suo stesso livello culturale, decimando i lettori pagina dopo pagina.

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Opinione inserita da alexix    06 Settembre, 2012

In principio era il Verbo

I motivi per i quali leggerlo sono tanti. Architetture e paesaggi medievali vengono descritti in maniera straordinaria; la vita quotidiana di un'abbazia, i prestigiosi ordini monastici, i rapporti fra Papato e Impero, i processi inquisitori e le condanne degli eretici sono tutti elementi che richiamano l'appassionante storia del XIV secolo. Grande ricostruzione storica, un giallo ottimamente costruito e lunghe disgressioni filosofiche e religiose che all'inizio possono annoiare, e che non centrano con la trama vera e propria del giallo, ma che ricompensano la lettura nel prosieguo. Eco comunque rende un palese omaggio allo scrittore Conan Doyle, il papà di Sherlock Holmes. Le capacità deduttive e la sete di conoscenza di frate Guglielmo riprendono, o per meglio esaltano gli aspetti migliori del famoso deective; mentre il giovane Adso è ricalcato sulla figura del fido dott. Watson: ottuso e poco attento, nonostante il desiderio di apprendere e, ovviamente, pronto all'azione. Un grande libro, una grande lettura per tutti gli appassionati lettori di romanzi storici sullo sfondo di un'epoca come il Medioevo, che uno scrittore di grande intelligenza e cultura come Eco ci fa vivere ed emozionare.

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Pelizzari Opinione inserita da Pelizzari    08 Luglio, 2012
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Capolavoro letterario

E' un romanzo storico e un giallo entrato a far parte dei libri più rappresentativi del XX secolo. E' un mistery in alcuni tratti un pò pesante, complice il latino, con alcune digressioni un pò prolisse, ma assolutamente da leggere. Il giallo è il filo conduttore dell'intera opera, ma l'obiettivo di fondo è far riflettere sulla religione, su Dio, sul concetto di regola e di eccezione. E' un vorticoso viaggio alla ricerca della verità. E' un capolavoro stilistico ed una lettura irrinunciabile. Di grande sapienza e con una cura maniacale dei particolari e delle parole. Ricco e profondo.

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Baba Opinione inserita da Baba    07 Giugno, 2012
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finis Africae

Recensire questo libro per me povero mortale (non scrittore..) non è facile… ebbene secondo me e ripeto.. secondo me… è IL LIBRO per eccellenza: ricordo esattamente la prima volta che lo lessi da adolescente d’estate nella terrazza di casa .... ma cosa sto leggendo??? Citazioni in latino, filosofia, storia… mamma mia… eppure anche se con molte lacune (culturali) lo finii e rimasi affascinato da da questa vicenda dal contesto storico, dai personaggi meravigliosamente descritti (Guglielmo da Baskerville e la sua arguzia.. splendide le prime pagine con la descrizione di Brunello il miglior cavallo del monastero… Adso con le sue paure e debolezze… Jorge il monaco cieco ossessionato dai libri e dalla conoscenza fine a se stessa) ma anche e non l’ultime dall’intreccio e dalla suspence della storia. Da allora ho riletto il libro altre due volte cercando spunti, dettagli, cercando di capire simbologie, fatti storici e filosofie del riso… non credo di esserci riuscito a fondo (ci riuscirò mai???) ma è ogni volta un’esperienza. Lo consiglio ??? dovrebbe essere letto nelle scuole è un CLASSICO .. e rivedetevi anche il film uno dei pochissimi casi in cui cinema e letteratura sono allo stesso piano

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katia 73 Opinione inserita da katia 73    08 Mag, 2012
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Come scalare una montagna

Ci sono riuscita, sono arrivata alla fine anche se è stato un po’ come scalare una montagna.
Il libro è davvero interessante, sullo stile poi non si discute non avevo mai letto niente di Eco, davvero eccezionale, ma non è per tutti, sicuramente non è per me. Credo che per affrontare un testo così serva una cultura di base superiore alla mia, oppure si debba amare talmente tanto Eco da riuscire ad apprezzarlo e in parte anche questo non è stato il mio caso. Le citazioni in latino e il lessico decisamente forbito hanno rallentato molto la mia lettura , a tratti l’hanno resa davvero pesante, le prime settanta/ottanta pagine poi non scorrevano proprio, un inno alla sua cultura che hanno messo a dura prova la mia costanza di lettrice , so che non si fa ma ho praticamente saltato tutto un capitolo in cui descriveva un portale e la sua storia , poi fortunatamente il libro ha incominciato a “decollare”.
Bellissima l’ambientazione , l’approfondimento sui personaggi che popolano il convento , intrigante la trama in sé ma purtroppo piena di evasioni,che ho trovato a volte piacevoli e a volte noiose.
Sono contenta di averlo letto, è stata una grande soddisfazione per me ma devo dire che sono dispiaciuta per non essere riuscita ad amare questo libro come forse si merita , non avevo quella smania di leggerlo e andare avanti come mi capita con altri testi, troppo lontano dal genere di letture che amo fare, se non fosse stato quello che molti indicano come il capolavoro di Eco l’avrei mollato , ma ha vinto la curiosità e la voglia di mettermi alla prova.
Probabilmente molti non saranno d’accordo con la mia recensione ma non importa questo è esattamente quello che penso su questo romanzo e mi piace essere sincera su un argomento così importante come i nostri amati libri.

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Fedra Opinione inserita da Fedra    12 Marzo, 2012
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Lettura impegnata

Ci sono libri che si possono leggere una volta sola, ci sono libri che si possono leggere, chiudere e non riaprire più. Questo non è uno di quei libri.
Per leggere questo libro c'è bisogno di:
-una infarinatura di filosofia e teologia (anche se Eco spiega con abbondanza di dettagli)
-una basica conoscenza del latino (almeno per tradurre a casaccio le innumerevoli citazioni)
-tanta pazienza
Questo libro si deve leggere almeno due volte: la prima per il piacere del giallo e la seconda per il piacere dei significati sotterranei.
Meravigliosa la matrioska dei manoscritti trovati e ricopiati.

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Opinione inserita da Marianna    07 Dicembre, 2011

che incubo

sarà che il gusto è personale, ma a differenza di molti questo libro non lo consiglierei per nulla al mondo. la trama può sembrare avvincente, ma si allenta in modo quasi esasperante durante la storia. Eco riempie pagine e pagine su referti di erboristeria, di storia e di descrizioni minuziosissime (purtroppo) sui vari gruppi eretici e sulle dottrine di questi ultimi, che provvedono ad aggiungere alla storia un carico di pesantezza non indifferente! l'intreccio delle vicende oltre ad essere immerso in queste descrizioni noiose e troppo prolisse è anche caratterizzato da un finale abbastanza strano!... non ho potuto capacitarmi del fatto che un racconto reso così realistico dalle descrizioni storiche, da resoconti e testimonianze riportate su personaggi realmente esisititi, abbia un finale del tutto lontano dalla realtà, quasi fiabesco. il lessico del libro inoltre si presenta quasi INCOMPRENSIBILE, tanto che consiglio a chiunque voglia cimentarsi in questa lettura a farlo con un vocabolario accanto!
ASPETTI POSITIVI:
- fa un'analisi realistica e minuziosa su avvenimenti e personaggi storici realmente vissuti. spiega e riflette su fenomeni diffusi nel periodo umanistico come la stregoneria e sull'istituzione della santa inquisizione da parte di INNOCENZO 8. inoltre tratta della vita monastica descritta in tutte le sue piccolezze,dall'organizzazione all'interno del monastero,alla travisazione della religiosità,non vista più come frutto di vocazione ma come modo di condurre una vita sicura,lontana dalla miseria e dalla dannazione. chiunque abbia voglia di imparare qualcosa (e anche più di qualcosa) di storia dovrebbe dargli una sfogliata!
- i personaggi di Adso da melk e il suo tutore Guglielmo sono personaggi che incuriosiscono e che lasciano al lettore la possibilità di sviluppare diverse teorie sullo svolgimento della storia,non tanto per ciò che dicono, ma per ciò che non dicono.

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consigliato a chiunque piacciano i gialli storici e assolutamente sconsigliato a chi cerca nella lettura un momento di tranquillità e piacere! E' UN LIBRO PESANTISSIMO
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DanySanny Opinione inserita da DanySanny    11 Settembre, 2011
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Il nome della rosa

La principale difficoltà che trovo nel recensire un libro di Eco la paura di non riuscire a descrivere appieno ciò che penso del libro, forse per mia incompetenza o forse perché i suoi libri sono infinitamente libri. Aprendo il romanzo ho visto quei caratteri minuscoli, ma ho comunque deciso di leggerlo. Da quel giorno non ho potuto far altro che ammirare Eco. Il nome della rosa è uno dei primi romanzi che ho letto e mi ha fatto innamorare alla lettura. Il libro è ricchissimo, colmo di espressioni in latino che si adattano magnificamente al contesto. I due protagonisti dovranno risolvere una serie di omicidi apparentemente inesplicabili che avvengono all'interno di un monastero. Mentre tutti pensano che sia opera del diavolo, la mente analitica (simile a quella di Sherlock Holmes) di Guglielmo da Baskerville indaga sulla vita nel monastero. Tra trasgressioni dei voti religiosi, elementi taciuti, e uno smisurato amore per la cultura, inizia una caccia al misterioso assassino che per uccidere utilizza un misterioso strumento. Non è il solito Thriller, nemmeno un giallo e neanche un mero libro esoterico; il nome della rosa è un genere a parte, che spazia in molti campi della letteratura. Il libro porta il marchio di fabbrica di Eco: l'ironia e l'erudizione. Ammetto che le prime 80 pagine sono pesanti poiché l'autore si diletta nello sfoggiare le sue grandi conoscenze nel campo medievale, ma più in generale la sua cultura. D'altronde non si può biasimare una persona per il fatto che sfoggia ciò che sa. Superata questa prima parte il libro coinvolge, impedisce il distacco critico a conduce all'individuazione dell'assassino (difficilmente individuabile). Nell'abbazia si cela infatti un oggetto unico, per il quale si è disposti perfino ad uccidere. Nel libro di Eco non manca nulla: mai banale né scontato, erudito, ma coinvolgente. Un eccezionale investigatore e il suo volubile aiutante, un'ambientazione realistica e splendidamente descritta. Sullo sfondo delle persecuzioni da parte della Chiesa contro gli "infedeli" e della degradazione spirituale della religiosità, Eco mette in scena (a mio parere) un vero e proprio capolavoro. Leggetelo, centellinatelo, una volta finito vi mancherà profondamente e sentirete il bisogno di rileggerlo per cogliere ogni dettaglio. Se volete un consiglio, durante la lettura, tenete a portata di mano un dizionario (meglio due, uno di latino e l'altro di italiano) per l'enorme ricchezza lessicale del romanzo. Di ambientazione gotica, quasi noir, il nome della rosa vi coinvolgerà in una spirale di degradazione, occulti misteri e abuso di poteri religiosi. Rimarrete stupiti del movente e soprattutto, dell'assassino. Chi di voi non vorrebbe essere in quella biblioteca o nel FINIS.....? Consigliatissimo. (Leggetelo perché come in ogni recensione di Eco, ciò che viene detto è riduttivo)

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A tutti coloro che hanno la pazienza di leggere un libro abbastanza pesante.
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Di Liberti Opinione inserita da Di Liberti    05 Settembre, 2011
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Il thriller medievale per eccellenza

Dal momento che ho letto questo libro per la scuola, i pregiudizi ci sono stati, eccome. Ammetto che l'inizio non è dei più avvicenti, non fatevi ingannare fermando la lettura! Perchè, soprattutto verso la metà del libro, perfino quello che all'inizio mi risultava uno stile troppo articolato, difficile e troppo alto, diventa piacevole. Piacevole perchè adeguato al racconto. Un vero e proprio thriller ambientato in uno sperduto monastero di uno sperduto paesino del nord Italia. L'onere di spiegare le diverse morti che avvengono all'interno del monastero è affidato all'anziano domenicano Guglielo da Baskerville e al novizio Adso (voce narrante del romanzo). Il racconto si fa sempre più avvicente se ci si mette di mezzo l'inquisizione, un labirinto e un segreto, anzi un libro, da nascondere ad ogni costo e distruggere. Un libro, questo, fatto di libri e che racconta di libri; del loro grande potere, cioè di rendere democratico e accessibile a chiunque sia in grado di decifrare la scrittura, i contenuti e il sapere. Così accadeva che, spesso la chiesa, volesse fermare questo potere. Accadeva che la chiesa, avendo il monopolio dell'istruzione e della cultura, limitasse di fatto l'accesso ai classici e al pensiero laico, condizionando la vita dei fedeli.. Non vi svelo il finale, per gli appassionati del giallo, provate a risolvere l'enigma del labirinto e i delitti all'interno del monastero..arriverete alla soluzione prima di Guglielmo e Adso, prima che sia troppo tardi?!

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rondinella Opinione inserita da rondinella    06 Agosto, 2011
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Il nome della rosa

" 'Tu sei il diavolo' disse allora Guglielmo.
Jorge parve non capire. Se fosse stato veggente direi che avrebbe fissato il suo interlocutore con sguardo attonito. 'Io?' disse.
'Sì, ti hanno mentito. Il diavolo non è il principe della materia, il diavolo è l'arroganza dello spirito, la fede senza sorriso, la verità che non viene mai presa dal dubbio. Il diavolo è cupo perché sa dove va, e andando va sempre da dove è venuto. Tu sei il diavolo e come il diavolo vivi nelle tenebre'. "

Eco scrive un romanzo "poliziesco" ambientato nel Medioevo, in un monastero collocato in qualche ignota parte dell'Italia del Nord; ed è proprio in questo monastero che nell'arco di una settimana avvengono tristi vicende da cui non si riesce a venire a capo. Così, Guglielmo di Baskerville, insieme al novizio Adso (e in un modo molto simile alla coppia Holmes-Watson), tra vare peripezie e indicibili segreti, si mette alla ricerca di indizi per scoprire la causa di una serie di sventurate morti.

E' un testo davvero molto bello, anche se non lo definirei un capolavoro: la trama e lo stile sono ottimi, il lessico è specifico e pertinente a luoghi e eventi (si presuppone almeno una modesta conoscenza del latino per apprezzarlo al pieno...) e la lettura sarebbe potuta essere anche abbastanza scorrevole se Eco non si fosse dilungato su dettagli da cui trae diletto nell'esprimere le sue conoscenze storiche e artistiche. Ma credo che questa piccola pecca possiamo tranquillimante perdonargliela, poichè ci ha offerto una storia come mai nessun'altra. Ha saputo intrecciare con maestria segreti e invidie, bugie e verità, ovvietà e misteri per creare, in un'atmosfera religiosa e quanto mai dark, una catena di oscure vicende al cui capo si riesce ad arrivare solo alla fine.
E' una lettura impegnativa, consigliata a chi ha tanto tempo per leggere (e anche una buona dose di pazienza!).

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Storici, gialli
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R๏гy.o° Opinione inserita da R๏гy.o°    17 Luglio, 2011
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Alta letteratura italiana contemporanea

"Sì, c'è una lussuria del dolore, come c'è una lussuria dell'adorazione e persino una lussuria dell'umiltà. Se bastò così poco agli angeli ribelli per mutare il loro ardore d'adorazione e umiltà in ardore di superbia e di rivolta, cosa dire di un essere umano? E fu per questo che rinunciai a quella attività [di inquisitore]. Mi mancò il coraggio di inquisire sulle debolezze dei malvagi, perché scoprii che sono le stesse debolezze dei santi".

Un libro che deve essere gustato, assaporato, capito nella sua interezza. Meravigliosamente storico, intelligentemente psicologico, profondamente di formazione.
Un Eco insuperabile.

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valeg Opinione inserita da valeg    23 Aprile, 2011
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Un must della letteratura

Che splendido thriller ambientato nell’Italia Settentrionale del XIV secolo. Il Monaco Francescano Guglielmo coadiuvato dal giovane ma perspicace Adso ,si ritrovano, loro malgrado, coinvolti in una serie di sanguinosi eventi in un monastero benedettino dell’Italia settentrionale. La straordinaria capacità deduttiva del protagonista diverrà lo strumento dell’abate per far luce sulla causa di queste misteriose morti. Ben presto il nostro medievale detective capirà che le morti hanno uno stretto legame con la ricchissima e labirintica biblioteca dell’abazia ,e con l’attività dei monaci amanuensi,i in particolar modo con un testo leggendario. Tipico di Umberto Eco sono le evasioni dalla trama,con interminabili appendici,a volte noiose,a volte straordinariamente interessanti,come ad esempio la vicenda di Fra’Dolcino e dei Dolciniani .Vivissime sono le scenografie,le immagini sono efficacemente sfumate,e i personaggi sono convincenti e credibilissimi. Si respira la storia,in ogni pagina,grazie alla stupefacente cultura di Eco. Questo romanzo a mio modesto parere è una delle opere più significative della letteratura italiana del ‘900, è uno di quei testi ,che come ho fatto io,si possono rileggere all’infinito.

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Annalisa64 Opinione inserita da Annalisa64    23 Aprile, 2011
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Qualcosa di cui non sparlare

Dopo una partenza lenta in cui l'autore si scrive addosso quasi per compiacersi della propria cultura, inizia il viaggio che porterà un indagatore e il suo assistente a percorrere in anticipo le strade che percorrerà Conan Doyle. Piacevole a tratti, tedioso in altri, si ammanta di goticismo grazie all'ambientazione medioevale che rende l'atmosfera una specie di "grande fratello" (cito Orwel e non Mediaset) in cui tutti si sentono spiati e passibili di una bolla d'eresia. Aggiungo che è uno dei pochi esempi in cui il film è meglio del libro, grazie alla spigliatezza del ritmo cinematografico, mentre l'autore, come detto, a volte si perde a scrivere per se stesso e non per il lettore.

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Gialli in genere e opere in cui la ricerca sia il fulcro intorno a cui ruota l'azione
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Fermìn90 Opinione inserita da Fermìn90    10 Febbraio, 2011
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stat rosa pristina nomine, nomina nuda tenemus

Un giallo storico ambientato in un monastero medioevale. Ecoriesce a costruire una trama raffinata che stupisce pagina dopo pagina , con un finale originale e inatteso. Ma soprattutto riesce a rispettare la storia e il suo valore , troppo spesso dimenticato da chi si accinge a scrivere testi del genere:la ricostruzione della vita del monastero è davvero notevole e certe pagine sembrano essere estratte da veri e propri saggi della materia. Certo, a volte descrizioni e digressioni appesantiscono il racconto ma il tema trattato necessita di un certo rigore intellettuale e a noi (lettori) non fa che bene leggere ogni tanto qualcosa di più impegnato anche se meno immediato.
Interessante è anche il forte contrasto che si riscontra tra il monastero con i suoi dogmi, preconcetti e superstizioni,e il nuovo mondo che avanza, moderno e assetato di conoscenza e sapienza, rappresentato da Guglielmo (l'inquisitore che risolverà il mistero).

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agli amanti della storia, a chi ha voglia di intraprendere una bella lettura, ma molto impegnativa.
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skizzo89 Opinione inserita da skizzo89    22 Novembre, 2010
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Molto di più di un semplice giallo!


Il libro può essere letto attraverso tre diversi filoni narrativi: 1, quello storico, con il connesso affresco medioevale. 2, quello ideologico. 3, quello iniziatico, che ti spinge a suscitare innumerevoli domande e digressioni, perchè in effetti tutto ciò ha un significato nascosto! E' un libro con un immenso patrimonio di informazioni di tutti i tipi. Info sull' impensabile trafficata vita monastica, info sulla giustizia medioevale, info sullo strano modo operandi dell'inquisizione, info sulla religione (con tanti passaggi biblici), info sulla filosofia antica, info, info, info!!!. Memorabile l'immagine di una chiesa trasformata in una meretrice, imbevuta nel lusso. Una chiesa che dalla purezza e umiltà della stalla è passata all'ingannevole ricchezza e sfarzosità. In pratica è un vero e proprio saggio!. Della trama in sè non vorrei dire tanto, perchè in fin dei conti non è la cosa che importa di più di questo libro. Posso dirvi che è un libro che parla di LIBRI, ma quelli con la L. E' un libro in cui l'amore per i libri si taglia con il coltello. E' un libro che deve essere necessariamente custodito nella tua libreria. Ma c'è ben altro di cui parlare, che se potessi, starei qui a scrivere all'infinito, quindi mi avvio alla conclusione.

La mia impressione è che Eco(alla mia prima lettura) sia riuscito ad avvicinarsi tantissimo a un realismo letterario. Se il pittore realista ebbe dalla sua parte la tela e il colore per aiutare l'osservatore ad immergersi nel passato, Eco ha solo la carta e la penna. E questo gli fa onore. Egli riesce a guidare l'immaginazione del lettore grazie ad un ritmo tanto lento quanto efficacie da consentire al lettore di ricreare il luogo, gli odori, i sapori e i personaggi della storia. Un capolavoro della letteratura italiana!

Per utilizzare le stesse parole di Eco.."Il bene di un libro sta nell'esser letto. Un libro è fatto si segni che parlano di altri segni, i quali a loro volta parlano delle cose. Senza un occhio che lo legga, un libro reca segni che non producono concetti, e quindi è muto"!...per chi non l'ha fatto ancora...che si affretti!!!

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faye valentine Opinione inserita da faye valentine    27 Settembre, 2010
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il giallo dotto

Un giallo nel romanzo storico, che geniale trovata!
la storia è intrigante alla massima potenza, se non fosse per lo stile, volutamente austero e dotto, sarebbe stato un successo alla Dan Brown... ma per fortuna non è andata così!!!
Eco è ben lontano dall'essere semplice e scorrevole e credo che proprio il suo stile, che ne fa un autore tanto amato quanto odiato, sia la peculiarità che rende questo romanzo un'ottima opera cristallizzata nel suo irripetibile genere.
I personaggi sono riuscitissimi, l'argomento trattato è indiscutibilmente interessante e condito da quel pizzico di critica verso la Chiesa che tante discussioni anima anche nella vita quotidiana: personalmente credo che non sia un capolavoro di ogni tempo, ma sicuramente un'ottima opera, un riuscitissimo esperimento degno di lode e di lettura e forse anche ri-lettura.
Degna di menzione anche la riduzione cinematografica.

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a chi vuole leggere un giallo dotto.
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paolodal Opinione inserita da paolodal    16 Agosto, 2010
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giallo per bibliofili

Nel Medioevo furono i monasteri (soprattutto domenicani e benedettini) a farsi carico di tramandare la cultura classica. I monaci, come e' risaputo, trascrivevano opere che altrimenti sarebbero andate perdute. Trascrivevano, per un senso generale di rispetto, anche le opere greche e latine classiche, pur essendo opere precristiane e talvolta non proprio in linea con gli insegnamenti cristiani. Spezzo quindi una lancia a favore della Chiesa di allora (o meglio dei monasteri), e' grazie a loro se e' giunta ai tempi nostri la maggior parte delle opere classiche.
E' chiaro che spesso sorgessero dubbi e conflitti sull'opportunita' di tradurre o meno certe opere.
L'ambientazione e' estremamente suggestiva (un monastero, la sua biblioteca, le sue stanze, i corridoi). Il conflitto quotidiano tra ragione e religione, tra istinto e peccato. La grande capacita' narrativa di Eco rende estremamente piacevole questo giallo. Anche il finale lascia pensare. Sicuramente il piu' bel libro di Umberto Eco.

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Consigliato a chi ha sognato almeno una volta di scappare dalla spiaggia e andare a passare il pomeriggio nella biblioteca di un monastero
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Ginseng666 Opinione inserita da Ginseng666    02 Aprile, 2010
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Il velo del mistero...

Scaturita dalla narrazione di un vecchio frate che ricorda il suo soggiorno in un monastero Benedettino insieme al suo maestro, la storia è articolata e interessante.
Ambientata nell'Oscuro Medioevo, in cui la Chiesa Cattolica domina le menti e i cuori del popolo, in cui viene soppresso ogni tentativo di idee progressiste, in questo convento avvengono dei delitti.
E alla fine si strapperà il velo al mistero di queste morti, mettendo in luce una verità scomoda e oltremodo indecente se riferita a dei frati che dovrebbero vivere nella castità...
Ma...in fondo l'autore non fa altro che dire una verità che per alcuni è scomoda...Cioè che la Chiesa non è stata poi quella Santa Istituzione che vorrebbe sembrare.
E ciò nonostante l'Inquisizione, il rogo per le streghe e tutte le altre istituzioni fondate per addormentare le coscienze umane.
Un elogio particolare a questo autore.
Saluti.
Ginseng666

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Minny Opinione inserita da Minny    05 Marzo, 2010
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Un buon libro, ma non un capolavoro.

Sono convinta che Callettino abbia perfettamente ragione.
"Il nome della rosa " è un libro che è stato sopravvalutato e non è certo un capolavoro. Quando osai affermare questa mia opinione , anni fa , fui tacciata di eresia o di crassa ignoranza. Il libro, diventato subito un "must",sostenuto anche da una ininterrotta quanto azzeccata campagna pubblicitaria su tutti i media, è stato scritto astutamente al momento giusto , ha astutamente toccato l' argomento giusto, ha sfruttato e ampliato la celebrità del Prof. Umberto Eco.
Intanto è troppo lungo: avrebbe avuto bisogno di una rigorosa potatura. Inoltre , mescola insieme due filoni non omogenei ( il romanzo storico ambientato nel Medioevo e il meccanismo ad orologeria del filone thryller). E ancora,i personaggi sono solo dei polverosi clichés senza lo spessore di un minimo scandaglio psicologico, come pure lo è la trita e ritrita polemica anticlericale: nella tradizione medioevale ci sarebbero dei signori testi sull'argomento. Il plot ,infine, è desunto sin troppo scopertamente, per chi ha letto i modelli di Eco, da Conan Doyle e dai suoi Sherlock Holmes e dottor Watson. Certamente l'ambientazione è stata egregiamente curata : Eco è un medievista di rango, e , ad esempio , il capitolo dedicato alla scoperta dell'amore da parte del giovane Adso è un gran bel capitolo. Non a caso è tradotto pari pari , ma senza le debite vigolette ,dal "De diligendo Deo", di San Bernardo di Chiaravalle , che era un signor scrittore.
il mio giudizio potrà sembrare eccessivamente severo. ,ma dinanzi ad osanna e peana innalzati in gloria e in lode di un capolavoro della Letteratura mondiale, chi conosce un po' il medioevo , fa bene mettere i puntini sulla "i".
Mi ripeto : "Il bnome della rosa" è un buon libro ,ma , per favore,non parliamo di un capolavoro del Novecento.
Un capolavoro è stata invece la campagna pubblicitaria del romanzo, che ha portato alla fama planetaria di Eco, studioso di grande valore, ma romanziere così così, anche se capace di scrivere davvero bene.Tale battage dovrebbe essre studiato a fondo e nei minimi particolari nelle università e nei master dedicati alla pubblicità. Che l'abbia suggerito Umberto Eco?

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callettino Opinione inserita da callettino    03 Gennaio, 2010
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narrativamente... saggio

Un romanzo che molti definiscono un capolavoro. Ma noi lettori non siamo tutti uguali (per fortuna), ognuno con la propria esperienza, ognuno con il proprio punto di vista. Tutti gli autori sono criticabili: e un lettore che ha letto dalla prima all’ultima pagina, ha il sacrosanto diritto di dire il suo parere.

Personalmente, pur riscontrando in Eco un autore di livello medio - superiore, tuttavia in ne “Il nome della rosa” ho parecchio cose da dire.

Romanzo capolavoro “Il nome della rosa” non è: lo sfondo narrativo è superbo, le descrizioni solide e le dissertazioni sul vetro, sul riso, sulla luce, sul silenzio, sulla lingua e sui frati e fraticelli… convincenti. Una tecnica intelligente, dove però le descrizioni rimangono descrizioni punto: a sé stanti, dove stona il genere deduttivo alla Sherlock Holmes di frate Guglielmo, per un riconoscibile dottor Watson in Adso. Una coppia inquirente già vista, quindi, che a mio giudizio molto toglie al romanzo che avrebbe dovuto seguire una strada propria. Scrivendo è logico che si ripercorrano altri libri o ci si rifà a qualche personaggio letto, ma qui l’influenza di Doyle è davvero troppa e inopportuna e troppi concetti sui religiosi stancano: più che un punto di vista dell’autore emerge un lavoro da saggista, di storico convinto. Le varie citazioni arricchiscono e (ma) nulla aggiungono. Un romanzo dove la vena creativa di narratore si individua a fatica, dove certi passi sono inutili nell’economia della trama e poco rendono l’idea: i personaggi sono solo voci che dicono, una scusa per snocciolare concetti e restituire un lavoro di ricerca, di professorone a cui è cara la parola. Un romanzo non giallista – filosofico, ma assolutamente letterario, dove anziché l’impronta dell’autore si coglie meglio il suo lavoro di ricercatore. Un romanzo che poteva essere scritto in 200 pagine e ( a dispetto delle quasi 500 pag) avrebbe fatto meglio la sua figura: il di più stanca, è zavorra intellettuale che poco dà, e anzi irretisce quel lettore che non vuole farsi influenzare e mal concepisce un’intelligenza ostentata. Buone le descrizioni del labirinto, poco incide l’esperienza sessuale di Adso, così come la sua esperienza su frate Michele rimane sulla penna perché non rende l'idea macabra della scena. Dove il narratore è chiamato a incidere con la sua creatività, spunta il letterato, il saggista, lo scopritore di manoscritti. Questo a mio giudizio è il vero limite del romanzo.

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