Il Gattopardo Il Gattopardo

Il Gattopardo

Letteratura italiana

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Siamo in Sicilia, all'epoca del tramonto borbonico: è di scena una famiglia della più alta aristocrazia isolana, colta nel momento rivelatore del trapasso di regime, mentre già incalzano i tempi nuovi (dall'anno dell'impresa dei Mille di Garibaldi la storia si prolunga fino ai primordi del Novecento). Accentrato quasi interamente intorno a un solo personaggio, il principe Fabrizio Salina, il romanzo, lirico e critico insieme, ben poco concede all'intreccio e al romanzesco tanto cari alla narrativa dell'Ottocento. L'immagine della Sicilia che invece ci offre è un'immagine viva, animata da uno spirito alacre e modernissimo, ampiamente consapevole della problematica storica e politica contemporanea.



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Il Gattopardo 2022-10-22 18:16:53 LuigiF
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LuigiF Opinione inserita da LuigiF    22 Ottobre, 2022
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Semplicemente un capolavoro

Un grande capolavoro della letteratura propone sempre molteplici temi e presenta diverse chiavi di lettura. Il Gattopardo va annoverato tra i grandi capolavori del '900 italiano e a questa regola non fa eccezione.
Anzitutto, il declino di una società descritto con ironia graffiante e a volte persino feroce. L' aristocrazia feudale siciliana, dopo secoli di cristallizzato e incontrastato dominio, si vede soppiantare dall'emergere di una borghesia cittadina più lesta ad accodarsi ai vincitori in casacca rossa. Questa borghesia, che in fondo ambisce soltanto a farsi aristocrazia essa stessa, morde le caviglie ai potenti di prima, ma ben presto ne erediterà, oltre agli averi, pure i difetti. La celebre massima secondo la quale "tutto deve cambiare affinche' nulla cambi" ha valenza se inteso con gli occhi e i tempi lunghi della Storia, ma per ogni epoca, esistono vincitori e vinti, esaltati e umiliati quasi che il placido incedere della umanità sia in realtà frutto di continue turbolenze.
Sullo sfondo, Tommasi di Lampedusa pone l'atavico immobilismo della gente di Sicilia: un popolo dormiente incapace di cambiare perché intimamente convinto della propria superiorità. Come i loro predecessori, i piemontesi, ne' primi ne' ultimi invasori di quelle terre aride, falliranno nell'intento di portarvici una qualsivoglia modernità.
A questi temi si aggiungono e si intrecciano in un perfetto affresco storico impietose descrizioni dei cronici mali italici, delle giravolte opportunistiche di chi lesto sale sul carro dei vincitori, della meschina vanagloria dei nuovi potenti, dell'ipocrisia dei finti rivoluzionari.
Ciò che pero' più ho amato in questo romanzo è la raffinatissima analisi psicologica dei personaggi.
In primis del principe di Salina. In lui l'indole di uomo "astratto" combatte contro la necessità di adempiere ai compiti di uomo sociale. Assai più attratto dalle immutabili leggi degli astri, dalle profondità del sapere matematico, dalla violenza delle albe siciliane che accompagnano le solitarie battute di caccia, il principe sa di non poter sottrarsi alle pene del vivere sociale. Quale noia nel presiedere le dinamiche degli affari o nel risolvere logoranti beghe familiari; quali sofferenze nell'assistere al trito teatrino dei giochi politici o nel partecipare a sciocche feste di società, quale orrore nel non riconoscersi nei propri simili! Il principe è uomo solo e la sua solitudine malinconica, in cui l'immagine della morte si fa via via più amica, ha un che di eroico.
Padre Pirrone è altra figura chiave del racconto. Unico a cogliere appieno la natura malinconica del principe, la descrive di fronte a un compaesano addormentato, in uno dei passi memorabili del romanzo A differenza dell'omologo Manzoniano, Padre Pirrone è anello di congiunzione tra due mondi brutalmente separati: quello astratto dell'aristocrazia imbelle e indolente e quello plebeo ove il lavoro abbruttisce e la miseria incattivisce.
Lo scaltro e volgare Don Calogero, prototipo del "nuovo" che avanza, il dinamico e ambizioso Tancredi, l'arrivista Angelica, cui tutto si perdona grazie alla incomparabile bellezza sono funzionali alla narrazione e, seppure tratteggiati con inarrivabile eleganza, lasciano meno il segno.
A questi si aggiungono personaggi minori perfettamente incasellati in un affresco sociale di grande efficacia: Don Ciccio Tumeo, la cui volontà è tradita nel segreto dell'urna del plebiscito per l'annessione, il pomposo generale Pallavicino feritore di Garibaldi sull'Aspromonte, il timido burocrate piemontese Chevallier la cui ingenuità soccombe di fronte al disincanto del Principe ... e tanti altri ancora.
Discorso a parte merita Concetta: figlia del Principe, la giovane si vota al nubilato dopo essersi vista respinta da Tancredi. Se c'e' un simbolo della fine di un epoca, della disgregazione di un classe sociale, vittima di se stessa prima ancora che del nuovo che avanza, esso va ricercato in questa triste figura di zitella orgogliosa che finisce i suoi giorni a contemplare false reliquie accumulate per la cappella privata. Le enormi casse verdi contenenti la dote per un matrimonio mai celebrato, custodiscono tracce e cimeli di un mondo che si dissolve tra polverosi ricordi. Quale errore aver escluso quest'ultimo capitolo nella pur bellissima trasposizione cinematografica di Visconti!

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Il Gattopardo 2021-08-13 08:53:54 Cathy
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Cathy Opinione inserita da Cathy    13 Agosto, 2021
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«Un mucchietto di polvere»

Esistono romanzi così profondi, complessi, ricchi e stratificati che per quanto si possa leggerli e rileggerli attentamente si ha sempre la netta sensazione di non riuscire a comprenderli fino in fondo. Le sfumature, i dettagli, i livelli di lettura sono così tanti e così sottili da lasciare quasi disorientati. E se già capire davvero un libro del genere è una faccenda complicata, scriverne una recensione, poi, è ancora più difficile. "Il Gattopardo" di Tomasi di Lampedusa è indubbiamente una di queste opere.
Si può dire che "Il Gattopardo" racconta la decadenza della nobiltà borbonica attraverso le vicende dei principi Salina: la famiglia aristocratica protagonista della vicenda riesce infatti a conservare intatti il prestigio e i privilegi all'indomani del 1861, ma al contempo vede i patrimoni disperdersi e gli immensi feudi disgregarsi un giorno dopo l'altro, come una zolla di terra stritolata in un pugno, davanti alla spinta incalzante di una modernità che i sonnolenti aristocratici del Sud non riescono a capire né a seguire.
Si può dire che racconta la delicata fase di passaggio dal Regno delle due Sicilie all'Unità d'Italia e, allo stesso tempo, l'ultima fase della parabola esistenziale del principe Fabrizio, quasi uno specchio che riflette il tramonto del mondo borbonico e ne condensa il significato essenziale. A questi temi fondamentali si ricollega il senso di morte e di decadenza che abbraccia entrambe le vicende, quella di Fabrizio e quella della vecchia nobiltà giunta al termine del proprio ciclo vitale e costretta a mutare forma per sopravvivere. Il profumo dolciastro del disfacimento, tanto nauseante quanto seducente, sembra giungere a Tomasi di Lampedusa direttamente dalla temperie decadente ottocentesca, permea il racconto e trova l’incarnazione perfetta nell’amatissimo cane del principe Fabrizio, Bendicò. «Fai attenzione», scrive l’autore in una lettera a un amico, «il cane Bendicò è un personaggio importantissimo ed è quasi la chiave del romanzo». Così importante da finire ridotto a «un mucchietto di polvere», come tutto il resto, il corpo stesso del principe, lo splendente Tancredi o le reliquie gelosamente custodite dalle vecchie principesse.
O ancora, protagonista del racconto è il necessario compromesso tra il vecchio e il nuovo: quest'ultimo viene sì accolto, perché bisogna farlo, perché altrimenti calerà come una scure spietata sulla testa di chi lo rifiuterà, ma per indirizzarlo nella direzione giusta, che tutto sommato non è poi tanto diversa da quella precedente. E il latte dal sapore dolcissimo della sopravvivenza aiuta a mandare giù anche i bocconi più amari, come un matrimonio molto al di sotto della propria classe sociale o la protezione e l'amicizia di soggetti che nel mondo di prima non si sarebbero mai potuti neanche avvicinarsi ai Salina.
"Il Gattopardo", insieme ad altre opere come "I Vicerè" di Federico De Roberto, segna la nascita di un nuovo modo di rappresentare la storia nel romanzo: essa non è più finalizzata al progresso e alla felicità dell'uomo, secondo la concezione ottimistica tipicamente ottocentesca, al compimento delle "magnifiche sorti e progressive", ma è una macchina spietata, insensata, che travolge gli uomini e i destini privati e non fa che portare nuove sofferenze, nuove ingiustizie, nuove tragedie.
Quale di queste interpretazioni è quella principale? Tutte, e nessuna. Tutte sono essenziali, ciascuna svela una prospettiva fondamentale del racconto, ma non può fare a meno delle altre, nessuna è in grado di abbracciare l'opera nella sua interezza e svelarne ogni segreto. Capire davvero, fino in fondo, un romanzo del genere è impossibile. Ci sarà sempre qualcosa che sfugge. Tutto quello che si può fare è abbandonarsi al piacere di una scrittura straordinaria, capace di indagare le pieghe più minute dell'animo umano con un'acutezza, una lucidità e una dolorosa compassione che hanno pochissimi uguali in letteratura.
Forse l’unica, possibile interpretazione globale si intravede nel cane Bendicò, che, come afferma l’autore, è «quasi la chiave del romanzo» ("quasi", appunto, perché neppure questa possibilità di lettura può dare il senso pieno del romanzo senza le altre): tutto passa, tutto cambia, tutto muore o si trasforma. Di tutto ciò che gli uomini desiderano e amano e aspettano e tramano per ottenere, alla fine, non rimane nulla. L'amore, il potere, la guerra, il denaro, la gloria. Tutto, perfino le illusioni, finisce così, in un misero «mucchietto di polvere», proprio come il povero Bendicò. La vita sembra non avere un senso ultimo. Eppure, se anche si accettasse questa amara consapevolezza, in fondo che cosa cambia? La vita umana sarà pure una corsa affannata verso il nulla, ma cos'altro potremmo fare se non viverla?

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Il Gattopardo 2020-06-04 07:24:25 lapis
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lapis Opinione inserita da lapis    04 Giugno, 2020
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Sole e polvere

Sicilia, terra impastata di sole e polvere. Violento, sfacciato, narcotizzante, è il sole il vero sovrano dell’isola, che per sei mesi infuoca l’aria, prosciuga ogni goccia di energia e tutto avvolge in una nube di voluttuosa immobilità. La polvere è quella che copre la campagna arida così come l’argenteria e le porcellane degli imponenti palazzi aristocratici, simbolo del fasto sbrecciato e scolorito di un ceto che contempla il proprio declino.

Sono passati esattamente centosessant’anni da quel Maggio 1860 in cui il Principe Fabrizio di Salina, con il suo cipiglio sicuro e autorevole, osservava il mondo che aveva sempre conosciuto sgretolarsi davanti ai suoi occhi. Lo sbarco dei Mille, il Plebiscito, la crisi della nobiltà sono gli eventi storici che fanno da spunto a un romanzo in cui la storia rimane di fatto sempre sullo sfondo, percepita solo attraverso la presa di coscienza e l’interiorizzazione che ne fa il protagonista.
La sensazione che pervade le pagine è dunque una disincantata malinconia, quella di chi, trovandosi a cavallo tra due mondi, si trova a disagio in tutti e due. La vecchia aristocrazia, che corteggia la morte, ciecamente ostile al cambiamento, dall’alto della propria orgogliosa vanità. E la nuova classe di ricchi, grossolana e meschina, pronta, in nome dell’ambizione e dell’avidità, a cancellare con un colpo di spugna quell’apparato di memorie, tradizioni e valori che hanno sorretto il vecchio ordine.

“Noi fummo i Gattopardi, i Leoni; quelli che ci sostituiranno saranno gli sciacalletti, le iene; e tutti quanti Gattopardi, sciacalli e pecore, continueremo a crederci il sale della terra”.

A rendere “Il Gattopardo” un capolavoro non è la storia, ma l’uomo. L’intelligente ironia, il fascino seduttivo, l’animo inquieto, la rabbia orgogliosa: sentimenti che animano e rendono indimenticabili i suoi personaggi. La partecipazione di Tomasi di Lampedusa, che vi ha versato gran parte del proprio vissuto, saturando le pagine di dettagli, atmosfere, impressioni sensoriali. Alla sua pubblicazione, nel 1958, il romanzo fu pesantemente criticato perché stilisticamente e ideologicamente distante dal gusto del tempo, eppure, a distanza di decenni, esso dimostra la sua grandezza, rivelandosi una lettura capace ancora oggi di conquistarci con la sua elegantissima bellezza e il suo fascino decadente, che parla del disfacimento di un’epoca, di una famiglia ma, soprattutto, del tramonto di un uomo.

“Ho settantatrè anni, all’ingrosso ne avrò vissuto, veramente vissuto, un totale di due… tre al massimo. E i dolori, la noia, quanto erano stati? Inutile sforzarsi a contare: tutto il resto: settant’anni”

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Il Gattopardo 2019-09-10 15:45:34 MCF
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MCF Opinione inserita da MCF    10 Settembre, 2019
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Nobiltà e ricchezza, due mondi a confronto.

Un grande romanzo ambientato nel periodo di transizione dal vecchio regime al nuovo che vede l’Italia unita grazie a Garibaldi; è imperniato sulla figura del principe Fabrizio Salina che si distingue nella società siciliana per il sangue blu, la figura possente e l'aspetto nordico ereditato dalla madre tedesca; ma non solo: è anche abile matematico e astronomo a differenza dei suoi avi. Queste peculiarità si traducono in una profonda capacità di analisi dell'ambiente circostante che gli permette di capire i limiti della mentalità sicula e prevedere l'evoluzione sociale e politica dell’isola; nessuno dei discendenti erediterà la sua intelligenza analitica. Altri personaggi che si distinguono sono l’adorato nipote Tancredi, bello affascinante ma senza patrimonio, Angelica, la futura moglie, figlia del sindaco che è un uomo del popolo, avido, ricco e interessato alla nobiltà della casata. Sullo sfondo, la moglie del principe, Maria Stella, bigotta e soggetta a crisi d’isterismo, le tre figlie tra cui Concetta, la maggiore innamorata di Tancredi e ricambiata che non perdonerà mai al padre di averla sacrificata per dotare l’amato della ricchezza che gli manca per soddisfare i suoi capricci. Dal libro è stato tratto il film di Luchino Visconti dal cast eccezionale: Burt Lancaster nei panni del principe, Claudia Cardinale nei panni della bellissima Angelica, Paolo Stoppa che interpreta il sindaco e Alain Delon nei panni di Tancredi.
Dal testo:
“Lui, il Principe, intanto si alzava: l’urto del suo peso da gigante faceva tremare l’impiantito e nei suoi occhi chiarissimi si riflesse, un attimo, l’orgoglio di questa effimera conferma del proprio signoreggiare su uomini e fabbricati. Non che fosse grasso: era soltanto immenso e fortissimo; la sua testa sfiorava, nelle case abitate dai comuni mortali, il rosone inferiore dei lampadari; le sue dita potevano accartocciare come carta velina le monete da un ducato; a tra Villa Salina e la bottega di un orefice era un frequente andirivieni per la riparazione di forchette e cucchiai che la sua contenuta ira, a tavola, gli faceva spesso piegare in cerchio. dita, d’altronde, sapevano anche essere di tocco delicatissimo nel maneggiare e accarezzare e di ciò si ricordava a proprio danno Maria Stella, la moglie; e le viti, le ghiere, i bottoni smerigliati dei telescopi, cannocchiali e cercatori di comete, che lassù, in cima alla villa, affollavano il suo osservatorio privato si mantenevano intatti sotto lo sfioramento leggero”. Pag. 33.
“Poco dopo venne Russo il soprastante, l’uomo che il principe trovava più significativo tra i suoi dipendenti. Svelto, ravvolto non senza eleganza nella bunaca di velluto rigato, con gli occhi avidi sotto una fronte senza rimorsi, era per lui la perfetta espressione di un ceto in ascesa. Ossequioso del resto e quasi sinceramente devoto poiché esercitava le proprie ruberie convinto di esercitare un diritto. Fece cenno a Russo di sedere, lo guardò fisso negli occhi. “Pietro, parliamoci da uomo a uomo, tu pure sei immischiato in queste faccende?”. Immischiato non era, rispose, era padre di famiglia e questi rischi sono roba da giovanotti come il signorino Tancredi. “Si figuri se nasconderei qualcosa a vostra eccellenza che è come mio padre”. (Intanto, tre mesi fa, aveva nascosto nel suo magazzino, centocinquanta ceste di limoni del Principe e sapeva che il Principe lo sapeva”.

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Il Gattopardo 2019-06-29 14:55:13 leogaro
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leogaro Opinione inserita da leogaro    29 Giugno, 2019
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Elogio della decadenza

Il testo contiene spoiler.

’’Nunc et in hora mortis nostrae. Amen. La recita quotidiana del rosario era finita.” Questo l’incipit di un classico della letteratura italiana, reso ancor più celebre dalla trasposizione cinematografica con Claudia Cardinale.
1860. La Sicilia è ancora sotto il Regno Borbonico e Garibaldi prepara la Spedizione dei Mille. Il nobile Principe Fabrizio Corbera è colto ed elegante, ma anche burbero, altero e spesso tormentato da pensieri funerei. E’ discendente della nobile famiglia Salina, il cui stemma è un gattopardo, e conduce un’agiata vita di possidente con la sua famiglia, di cui il prediletto è il nipote Tancredi Falconeri, segretamente innamorato della cugina Concetta, figlia di Fabrizio. Garibaldi sbarca in Sicilia: lo scapestrato Tancredi si schiera al suo fianco e diventa presto ufficiale dell’esercito. Fabrizio vive questi cambiamenti con l’amara consapevolezza dell’inevitabile declino del ceto cui appartiene; celeberrima l’affermazione: “Se vogliamo che tutto rimanga com’è, bisogna che tutto cambi”. I fermenti di rivolta sono diffusi in tutta Palermo: molti nobili fuggono, ma non Fabrizio, rassicurato dal nipote. Proprio grazie all’intercessione di Tancredi presso i Garibaldini, Fabrizio e la sua famiglia possono trasferirsi alla residenza di Donnafugata per le vacanze estive. Parlando con l’amministratore, Salina viene a sapere che il sindaco Calogero Sedara, in rapida ascesa politica, sta diventando ricco quanto lui. Decide quindi di conoscerlo, invitandolo a cena. Egli si presenta con la giovane figlia Angelica, che colpisce tutti per la sua straordinaria bellezza. Durante la cena, Tancredi racconta le recenti imprese garibaldine, ma Concetta lo rimprovera aspramente per i particolari troppo cruenti. Il giovane, così, si concentra su Angelica, che non rimane insensibile al suo fascino: di nuovo, Concetta riprende più volte il cugino per gli espliciti apprezzamenti su Angelica, senza far trasparire la “cotta” che prova per lui. Pochi giorni dopo, Tancredi tornerà a combattere nell’esercito piemontese che punta verso Napoli. Da Caserta, dove stava combattendo per scacciare i Borboni, Tancredi scrive una lettera allo zio Fabrizio in cui gli rivela il crescente amore per Angelica, pregandolo di intercedere presso il padre Calogero Sedara per averla in moglie. Il Principe si convince che l'unione con l’emergente classe sociale borghese possa capovolgere il destino della sua nobiltà avviata ad estinguersi, donandole vigore nuovo: “Noi fummo i gattopardi, quelli che verranno sono gli sciacalletti e le iene. E tutti quanti, gattopardi sciacalletti e iene, continueremo a crederci il sale della Terra”. Così, Fabrizio presenta la proposta di Tancredi a Calogero: anch’egli, convintosi dei reciproci vantaggi, acconsente. Alla notizia, Concetta reagisce con malcelata rabbia, credendo il suo amore sacrificato dal padre per salvare il prestigio della casata Salina. L’organista Ciccio Tumeo confida a Fabrizio di aver votato “No” al plebiscito per l’annessione ai Savoia, mentre il sindaco Sedara aveva proclamato il risultato come plebiscitario al 100%, falsando i voti: in Fabrizio, si radica ancor più l’immagine della scaltrezza del nuovo ceto che sta sgomitando per il potere. Finalmente torna a casa Tancredi, finito nell’esercito regolare dei Savoia dopo lo scioglimento dei Garibaldini. Tancredi e Angelica si amano senza trascurare, entrambi, quanto sia proficua la loro unione per soddisfare le rispettive ambizioni politiche e sociali. Dall’incontro tra i Sedara e i Falconeri entrambi cambiano: i primi diventano più raffinati, i secondi acquistano caratteristiche di economicità, che però ne incrineranno la storica deferenza del popolo. Un giorno, da Torino arriva un delegato reale per chiedere al Principe Salina di diventare Senatore del Regno d’Italia. Visti i vecchi legami coi Borboni e privo della spinta innovatrice ora necessaria, Fabrizio rifiuta proponendo al suo posto Calogero Sedara, ritenuto più scaltro e adatto alla nuova situazione politica creatasi. Ad un importante ballo mondano palermitano, magnificamente trasposto nel film di Visconti, Fabrizio balla con Angelica e la presenta come promessa sposa del nipote Tancredi.

--- inizio spoiler ---
1910. Sia Fabrizio che Tancredi sono morti, Angelica frequenta l’alta società borghese. Concetta, sempre infelicemente nubile, è rimasta proprietaria di Villa Salina. Ma il prestigio della casata è sempre più rarefatto: dei fasti passati, rimangono ormai soltanto buoni rapporti con il Clero. Negli anni della vecchiaia, Concetta riceve la visita del senatore Tassoni, ex commilitone di Tancredi, il cui racconto la riappacifica con i suoi ultimi 50 anni di vita, in particolare col ricordo di tutti quelli che riteneva responsabili della sua infelicità. Nella riabilitazione di Fabrizio, Angelica e Tancredi, Concetta chiude un’esistenza di amari ricordi vivendo gli ultimi scampoli della sua vita in uno stato di completa apatia.
--- fine spoiler ---

Romanzo piacevole, scritto con uno stile ricercato, caratterizzato da una narrazione generalmente lenta e talvolta fluida, con cambi di ritmo in base alle diverse situazioni. La scrittura è attenta a fornire al lettore vivide immagini dei luoghi per una piena percezione del paesaggio, degli ambienti, degli odori, delle situazioni. Libro che non va letto in modo distratto, né con una certa approssimazione: è una lettura che merita attenzione, per assaporare le descrizioni, immergerci nel contesto, vivere le scene. Non una lettura per sotto l’ombrellone, a mio avviso, ma un libro per riflettere, anche alla luce dei temi universali (amore, delusione, scaltrezza, ideologie…) che in esso vengono trattati.

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Il Gattopardo 2018-12-10 18:52:07 pierpaolo valfrè
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pierpaolo valfrè Opinione inserita da pierpaolo valfrè    10 Dicembre, 2018
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Monumento all’umana caducità

Sono tornato alle pagine del Gattopardo dopo tanti anni, trovando la conferma, una volta di più, di quanto sia bello e necessario continuare a leggere e rileggere i classici.
Questa volta ho scelto la versione in audiolibro, splendidamente interpretata da Toni Servillo. Una versione che esalta la parabola esistenziale del Principe di Salina, quel suo rimirar le stelle a fronte della pochezza delle vicende umane.
L’arcinota denuncia del cinismo e dell’opportunismo che caratterizzano ogni epoca di veloce trasformazione (quel “se vogliamo che tutto rimanga com’è, bisogna che tutto cambi” ormai diventato proverbiale, tanto che ha finito per rinchiudere le bellissime pagine di questo romanzo in un recinto troppo angusto) si trasforma, in questa mia nuova “lettura”, nel disincanto di chi capisce tutti i limiti del vecchio come del nuovo ordine e li osserva con malinconico distacco.

Memorabili i dialoghi nei quali vediamo all’opera il Gattopardo nei suoi rapporti con i Borboni (l’udienza con re Ferdinando) , con i piemontesi (la visita del prefetto Chevalley, in cui rifiuta il seggio senatoriale), e con i suoi dipendenti (“questi liberalucoli di campagna”) tanto indolenti quanto calcolatori, avidi e rapaci, che rappresentano il ceto emergente, lesto a cogliere l’occasione per saltare sul carro del vincitore (“le rondini avrebbero preso il volo più presto”), miseri “sciacalletti e iene”, destinati a rimpiazzare i gattopardi e a costituire la futura classe dirigente soprattutto in forza dei loro limiti e della loro inconsapevolezza.
Don Fabrizio si trova più a proprio agio con uomini schietti e sinceri, “snob” ante litteram, come l’organista don Ciccio Tumeo, che sdegnati dal conformismo truffaldino dei tempi nuovi preferiscono aderire tardivamente alla fazione sconfitta (“ero un fedele suddito, sono diventato un borbonico schifoso”) e trova intellettualmente e spiritualmente più stimolante il rapporto con esponenti di un potere eterno e carico di storia come il gesuita padre Pirrone. Solo per dovere sociale subisce la frequentazione, in tempi diversi, tanto della decrepita aristocrazia in disarmo, quanto dei rozzi e incolti uomini nuovi, come quel don Pietro Sedara che con rassegnato senso di ineluttabilità accoglie persino nella propria famiglia.

A plasmare il romanzo, più che i fatti e gli avvenimenti, sono soprattutto i pensieri del Principe, l’indulgenza verso la debolezza umana (“non era lecito odiare altro che l’eternità”), il continuo richiamo della sensualità (“pecco per non peccare più”) e le numerose riflessioni sulla Sicilia (“questo è il paese degli accomodamenti”), sulla sua storia (“sono venticinque secoli almeno che portiamo sulle spalle il peso di magnifiche civiltà eterogenee, tutte venute da fuori già complete e perfezionate”) e sui siciliani (“in Sicilia non importa far male o far bene, il peccato che noi siciliani non perdoniamo mai è semplicemente quello di fare”).

All’ombra del Principe, a movimentare, contestualizzare ed intervallare il flusso principale della narrazione, si consumano anche vicende minori, come lo struggimento dickinsoniano della figlia Concetta, infelicemente innamorata del cugino Tancredi, o come il dramma privato di padre Pirrone, chiamato a risolvere nel più tradizionale dei modi una vicenda d’onore che coinvolge la sua famiglia.
In conclusione, un romanzo che pare un monumento alla caducità umana, che si apre nel mese di maggio 1860 tra gli eccessi di un giardino dagli odori fin troppo prepotenti e nauseabondi e si chiude esattamente cinquant’anni dopo nello stesso mese, tra ossa, carcasse imbalsamate e polvere da gettare nell’immondizia.

Non stupisce che alla sua uscita, negli anni ’50 della ricostruzione post bellica, non abbia incontrato lo spirito del tempo, né che molti addetti ai lavori abbiano criticato l’argomento passatista, l’orientamento antistorico, lo stile decadente e poco innovativo. A noi che leggiamo per puro diletto, Tomasi di Lampedusa regala invece una prorompente sensazione di bellezza e immortalità, tuttora in grado di affascinarci, anche per via del continuo filo di ironia, che non viene mai meno. “Ho settantatré anni, all’ingrosso ne avrò vissuto, veramente vissuto un totale di due, tre al massimo. E i dolori, la noia, quanto erano stati? Inutile sforzarsi a contare, tutto il resto: settant’anni”.

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Il Gattopardo 2018-10-15 19:05:00 ChiaraC
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ChiaraC Opinione inserita da ChiaraC    15 Ottobre, 2018
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Non leggerti i riassunti da Wikipedia, compratelo

Ma ne vogliamo parlare? Il mio voto è 10. Una perla: intelligente, parole pesate al punto giusto, metafore raffinate.
Un gattopardo è lo stemma della famiglia Salina, casata fedele ai Borbone che, ahimè, si trova a vivere il brusco passaggio dal Regno delle due Sicilie all'Unità d'Italia. Il punto di vista è quello di Fabrizio, principe di Salina, nobile indolente e conscio che la vita come lui la conosce è ormai destinata a finire.

Ma della figura di Fabrizio ne vogliamo parlare? Uomo che passa le sue giornate in un pendolo che oscilla tra noia e insofferenza verso la realtà che lo circonda. La moglie casta e pura che grida "Gesùmmmaria" durante i rapporti. Le figlie bigotte. Il prete che gironzola nel casato dei Salina. Una realtà borbonica descritta in modo lucido e devastante.

E della figura di Angelica ne vogliamo parlare? Vi siete accorti di che perfetta perfetta metafora sia dell'Italia nascente? Ha studiato al Nord Italia ed è arrivata al Sud seducendo gli uomini con la sua bellezza, la sua novità, con la sua giovinezza. Eppure sotto sotto Angelica è una volgarotta, durante le cene cerca di contenersi per non togliersi il cibo dai denti con le unghie.
Sarà fortunata solo perchè gli uomini le attribuiranno le qualità che simulerà con maestria, e sposerà Tancredi, delfino di casa Salina, che guarda caso si è convertito ed è passato da essere un pro-Borbone a promotore dell'Unità d'Italia.
E Angelica, come si scoprirà nel libro, ha le gambe che "sono sempre state troppo corte rispetto al corpo". Non vi dice nulla questo particolare?


Lo stile è introspettivo, leggero, il libro scorre che è un piacere. Ma Elio Vittorini come ha fatto a lasciarselo scappare?
Ragazzi, questo libro è una perla da leggere in particolar modo se si è meridionali, in modo da capire cosa ha causato e come si è arrivati al disfacimento delle due Sicilie.

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Più che letto, studiato, la storia dell'Unità d'Italia e la questione meridionale.
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Il Gattopardo 2018-09-01 13:35:42 Chiara77
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Chiara77 Opinione inserita da Chiara77    01 Settembre, 2018
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L'ultimo Gattopardo

“Il Gattopardo” fu scritto da Giuseppe Tomasi di Lampedusa fra il 1954 e il 1956. Il manoscritto venne però respinto dall'editore Mondadori e da Elio Vittorini per conto dell'editore Einaudi fra il 1956 e il 1957, anno in cui l'autore morì. Nel 1958 l'editore Feltrinelli pubblicò l'opera e il successo fu grandissimo, anche se, purtroppo, post mortem. Il romanzo vinse il Premio Strega nel 1959 e nel 1963, Luchino Visconti ne trasse un celebre film, interpretato da Burt Lancaster, Claudia Cardinale e Alain Delon.
La vicenda si apre nel maggio 1860, pochi giorni prima dello sbarco dei Mille ed è ambientata in Sicilia. Viene raccontato il momento del passaggio dal governo dei Borbone all'unificazione italiana dal punto di vista di una famiglia della grande nobiltà palermitana, i Salina, il cui stemma nobiliare, è, appunto, un gattopardo. Il protagonista è don Fabrizio, un uomo ormai di mezza età all'inizio della narrazione, colto e aristocratico. Ha avuto sette figli ma il giovane a cui è più legato è il nipote, figlio di sua sorella, Tancredi, rimasto orfano di entrambi i genitori e del quale il re Borbone lo aveva nominato tutore. Tancredi è un ragazzo brillante e molto scaltro, ironico ed irresistibile. Sarà proprio lui a pronunciare la celebre frase “Se vogliamo che tutto rimanga come è, bisogna che tutto cambi”, mentre sta preparandosi ad unirsi ai Mille, non certo perché seguace delle idee democratiche e repubblicane ma perché, essendo molto furbo, aveva già capito quali sarebbero stati i vincitori e si apprestava a saltare sul loro carro per salvaguardare i propri privilegi. In seguito Tancredi trova la sposa ideale nella bellissima Angelica, una borghese molto ricca che faceva proprio al caso suo, visto che lui, pur essendo un Principe, non aveva un soldo.
Non sorprende che il romanzo sia stato inizialmente rifiutato dai principali editori italiani degli anni Cinquanta del Novecento. Nel clima letterario di allora “Il Gattopardo” si collocava come un'opera fuori contesto, con uno stile e dei contenuti del tutto originali e diversi rispetto alla situazione storico-culturale di quegli anni. Questo ce lo fa apprezzare anche di più, se possibile.
Indimenticabile la figura del principe Fabrizio, intellettuale pessimista e profondamente disilluso, che si accinge a spietato osservatore della realtà siciliana, in cui sembra non scorgere nessun segno di miglioramento con il procedere del tempo e della storia. E tanto più è pessimista verso gli uomini quanto è in grado di provare conforto e sollievo attraverso le stelle, i pianeti, la natura ed anche la morte, accolta come parte indissolubile e necessaria della vita stessa.
In conclusione quindi, un'opera di grande spessore letterario, che non possiamo non leggere o rileggere con grande piacere e soddisfazione intellettuale.

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Il Gattopardo 2017-04-14 10:26:38 Pupottina
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Pupottina Opinione inserita da Pupottina    14 Aprile, 2017
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Il Gattopardo

È un romanzo storico che si legge e si rilegge sempre volentieri per la memorabile descrizione della Sicilia risorgimentale.
L'austero ed elegante stile narrativo di Giuseppe Tomasi di Lampedusa si carica di una ulteriore dose di malinconia nell'edizione audiolibro letta da Toni Servillo, grazie alla sua voce ideale per narrarne il prezioso contenuto. IL GATTOPARDO, pubblicato postumo nel 1958, è stato un autentico caso letterario che ha reso immortale l'opera di Giuseppe Tomasi di Lampedusa, autore di quest'unico memorabile romanzo.
È il contenuto l'elemento fondamentale dell'opera, reso celebre anche grazie allo stile narrativo vibrante, fortemente descrittivo.
IL GATTOPARDO del titolo è sia la figura animalesca che troneggia sullo stemma araldico dei Salina, sia il personaggio del Principe, Fabrizio di Salina. È quest'ultimo la colonna portante di una famiglia destinata sempre più a crollare dopo la sua dipartita. È un uomo forte, energico, passionale, già in là con gli anni, fiero della sua posizione, ostinatamente attaccato alla sua nobiltà ormai in decadenza. A lui si contrappone il giovane nipote, Tancredi, con le idee più aperte e innovative sull'Italia che si sta formando.
Un'altra figura che lascia il segno è quella della bellissima Angelica, figlia di Don Calogero Sedara, un rozzo, ricco e spregiudicato signorotto di Donnafugata, il quale, grazie alla sua ricchezza, sta comprando l'intero paese.
Tanti sono gli eventi, narrati dettagliatamente o lasciati intuire, che vengono sviluppati e raccontati dalla perfetta narrazione di Tomasi di Lampedusa. Tanti gli esempi perfetti di connubio tra forma e contenuto che IL GATTOPARDO contiene.
Memorabile nelle tante descrizioni affrescate è la Sicilia, da leggere tra le righe, le pagine i capitoli, ma percepita perfettamente attraverso i sensi. Colori, odori e sapori di Sicilia sono altrettanto co-protagonisti delle vicende narrate.
La storia narrata è “speciale” in un modo tutto suo o, quantomeno, è da considerare raccontata in modo speciale. È la vicenda della nascente Italia vista dalla parte di coloro che stanno diventando i decadenti, “perdenti” di un'epoca di sfrenato rinnovamento. È la storia di una stirpe di sangue blu che sta perdendo il suo colore, il suo luccichio, svanendo nella polvere dei tempi.
IL GATTOPARDO è un'opera di altissima letteratura, un libro di storia, un modello di stile, una filosofia della condizione umana, un racconto della Sicilia e dei siciliani. È un romanzo storico che merita di essere apprezzato anche in questa mirabile edizione audio.

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Il Gattopardo 2016-03-23 18:00:27 Romanziere
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Romanziere Opinione inserita da Romanziere    23 Marzo, 2016
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Letteratura italiana del '900

Si sono versate fluenti parole a proposito di questo romanzo, a un certo punto del quale, dentro un'innocua parentesi, compare un avverbio di tempo che pare specificare quale sicilianità Tomasi di Lampedusa stia cercando di ritrarre: «i Siciliani (di allora)». Questa precisazione invece -da buon paradosso- non fa che estendere al di là di ogni limite temporale la valenza di un'opera incentrata sul concetto di inevitabile trasformazione. L'autore sfogliando cinquant'anni di storia umana (1860-1910) fissa sì lo sfogliarsi, petalo dopo petalo, dell'aristocrazia siciliana, ma di fatto trascende il complesso -e forse impossibile- mutamento dei siciliani in italiani.
A differenza di quanto si potrebbe immaginare infatti, nel romanzo, il rapporto fra componente storica e narrazione vede la prima al servizio della seconda; questo poichè tutta l'opera è in fondo un'allegoria esistenziale della condizione umana. Agli occhi del lettore il Gattopardo (il protagonista Don Fabrizio Corbera Principe di Salina, figura possente nel corpo e nello spirito) è legittimato ad essere grande per discendenza, ceto, rappresentanza, meriti, ma diviene immortale in quanto consapevole della propria caducità.
Una sicilia impervia nei luoghi e nello spirito fa da sfondo alle poetiche e malinconiche descrizioni che rendono il romanzo nostalgico come nostalgica è la disillusione. E allora per Tancredi e Angelica figli del compromesso storico l'amore «si richiudeva nel silenzio, striato solo dal galoppo dei topi al di sopra dei soffitti, dallo strisciare di una lettera centenaria dimenticata che il vento faceva errare sul pavimento: pretesti per desiderate paure, per un aderire rassicurante delle membra».
La scrittura di Tomasi è limpida, le sue similitudini intense. Durante le otto parti del romanzo nulla è mero riempitivo: ogni personaggio financo un cane, ogni comparsa, ogni luogo, ogni stanza, gesto, dettaglio, raggio di luce è posto dalla parte giusta della bilancia per far quadrare un meccanismo letterario possente.
Così una caratterizzazione dei personaggi tra le più vivide della letteratura italiana dai tempi dei Promessi Sposi, si unisce a un gusto narrativo simile (a mio avviso migliore in quanto magico nell'autenticità) a quello che di recente ha trovato consenso di ampio pubblico fra le pagine di Gabriel García Márquez.

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