La tregua La tregua

La tregua

Letteratura italiana

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La tregua, seguito di Se questo e un uomo, è considerato da molti il capolavoro di Levi: diario del viaggio verso la libertà dopo l'internamento nel lager nazista, questo libro, più che una semplice rievocazione biografica, è uno straordinario romanzo picaresco. L'avventura movimentata e struggente tra le rovine dell'Europa liberata - da Auschwitz attraverso la Russia, la Romania, l'Ungheria, l'Austria fino a Torino - si snoda in un itinerario tortuoso, punteggiato di incontri con persone appartenenti a civiltà sconosciute, e vittime della stessa guerra: da Cesare, "amico di tutto il mondo", ciarlatano, truffatore, temerario ed innocente alle bibliche tradotte dell'Armata Russa in disarmo.



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La tregua 2018-05-21 07:32:52 kafka62
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kafka62 Opinione inserita da kafka62    21 Mag, 2018
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RINASCERE ALLA VITA

Quando, dopo un’inaudita sofferenza, la libertà finalmente arriva (come Levi documenta all’inizio de “La tregua”, ideale prosecuzione di “Se questo è un uomo”) di fronte ad essa “ci sentivamo smarriti, svuotati, atrofizzati, disadatti alla nostra parte”. “L’ora della libertà suonò grave e chiusa, e ci riempì gli animi, ad un tempo, di gioia e di un doloroso senso di pudore, per cui avremmo voluto lavare le nostre coscienze e le nostre memorie della bruttura che vi giaceva: e di pena, perché sentivamo che questo non poteva avvenire, che nulla mai più sarebbe potuto avvenire di così buono e puro da cancellare il nostro passato, e che i segni dell’offesa sarebbero rimasti in noi per sempre. […] Poiché, ed è questo il tremendo privilegio della nostra generazione e del mio popolo, nessuno mai ha potuto meglio di noi cogliere la natura insanabile dell’offesa, che dilaga come un contagio. […] Essa è una inesauribile fonte di male: spezza il corpo e l’anima dei sommersi, li spegne e li rende abietti; risale come infamia sugli oppressori, si perpetua come odio nei superstiti, e pullula in mille modi, contro la stessa volontà di tutti, come sete di vendetta, come cedimento morale, come negazione, come stanchezza, come rinuncia”.
L’iniziazione alla vita dopo l’inferno del lager è lenta e laboriosa: abbandonati a loro stessi e circondati da indifferenza o disprezzo, gli ex-prigionieri si muovono come particelle impazzite in cerca di un centro di gravità qualsiasi. Intorno a loro, il mondo, lungi dall’essersi ristabilito miracolosamente sulle sue naturali fondamenta, fatica a riprendersi dagli orrori della guerra. Inizia così un lungo e precario vagabondaggio, tanto più penoso in quanto è come “se un atleta che abbia corso per ore, spendendo tutte le proprie risorse, quelle di natura prima, e poi quelle che si spremono, che si creano dal nulla nei momenti di bisogno estremo, e che arrivi alla meta, nell’atto in cui si abbandona esausto al suolo, venga rimesso brutalmente in piedi, e costretto a ripartire di corsa, nel buio, verso un altro traguardo non si sa quanto lontano”. Non c’è tempo per rilassarsi, non c’è tempo per commiserarsi: la lotta continua perché “guerra è sempre”, come ama dire con cinico pragmatismo Mordo Nahum, il greco con cui Levi divide una settimana di straordinarie avventure. Attraverso le esperienze di Cracovia, Katowice e Staryje Doroghi, il romanzo si sviluppa con un andamento tipicamente picaresco. Mentre lentamente riaffiora la voglia di vivere, mescolata ad una intensa nostalgia dell’Italia e della propria casa, si fa luce e viene progressivamente a delinearsi una galleria di personaggi indimenticabili. Oltre al greco, uomo forte e freddo, solitario e capace di “organizzarsi” in ogni situazione, voglio ricordare almeno Cesare, uomo libero e spregiudicato, simpatico ed insofferente di qualsiasi costrizione.
In queste pagine, Levi mostra una padronanza di mezzi espressivi ancora maggiore di quella evidenziata nel romanzo di esordio: ciò è senz’altro dovuto a un naturale affinamento tecnico dello scrittore, dato che “La tregua” è stato scritto molti anni più tardi, ma anche, a mio parere, e nell’ottica di una totale immedesimazione con le vicende narrate, al graduale sciogliersi di quel grumo doloroso rappresentato dallo stretto contatto con la morte e con gli orrori del lager, cosa che rende possibile perfino l’inserimento di qualche intermezzo dichiaratamente comico (ad esempio, la farsesca selezione dei russi nel campo di Katowice o il delizioso episodio della “curizetta”). Dalla narrazione viene anche fuori lo spirito della gente russa, caratterizzato dall’insofferenza per i formalismi, dalla approssimativa disciplina, dalla diffidente e sospettosa chiusura verso l’esterno, ma anche da un primordiale e omerico amore per la vita e per la terra.
I nove mesi trascorsi in giro per l’Europa, anche se duri e vissuti ai margini della civiltà, costituiscono un periodo di tregua, “una parentesi di illimitata disponibilità, un dono provvidenziale ma irripetibile del destino”. Il ritorno a casa, pur agognato e bramato in innumerevoli occasioni, significa infatti affrontare prove terribili ed ignote, tornare a misurarsi con il passato e la memoria, convivere con l’ineliminabile veleno di Auschwitz che subdolamente mina la volontà di vivere (e il suicidio di Levi sembra il tragico avverarsi di una lontana e fatale profezia). Scrive Levi, al termine di questa drammatica odissea, che a distanza di anni un sogno continua a tormentarlo con insistenza: “Sono […] in un ambiente placido e disteso, apparentemente privo di tensione e di pena; eppure provo un’angoscia sottile e profonda, la sensazione definita di una minaccia che incombe. E infatti […] tutto cade e si disfa intorno a me, lo scenario, le pareti, le persone. […] Sono solo al centro di un nulla grigio e torbido, ed ecco, io so che cosa questo significa, ed anche so di averlo sempre saputo: sono di nuovo in Lager, e nulla era vero all’infuori del Lager. Il resto era breve vacanza, o inganno dei sensi, sogno. […] Odo risuonare una voce, ben nota; una sola parola, non imperiosa, anzi breve e sommessa. E’ il comando dell’alba di Auschwitz, una parola straniera, temuta e attesa: alzarsi, Wstawac”. La ferita di Auschwitz, con il suo strascico di orrore e di dolore, non cessa di dolere anche una volta rimarginata, impietosamente l’Olocausto, che invano si è tentato di esorcizzare, continua a mietere le sue vittime.

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La tregua 2017-07-02 11:05:01 Fabiana_R99
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Fabiana_R99 Opinione inserita da Fabiana_R99    02 Luglio, 2017
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Un lungo viaggio

Non mi sono mai soffermata a pensare a cosa è successo dopo la fine della guerra, a scuola le studiamo una dopo l'altra.
"La tregua" tratta del lungo viaggio compiuto da Primo Levi per tornare a casa, dopo essere stato deportato e imprigionato per un anno nel Lager di Monowitz. Il viaggio viene descritto dettagliatamente, talmente che non è difficile riviverlo. Questo libro è un viaggio.
Levi non mi fa impazzire come autore perché io lo trovo troppo razionale, è inquadrato ed è una dote spettacolare, ma in una testimonianza, soprattutto di guerra, io cerco un senso maggiore di frustrazione e prigionia. Però apprezzo Levi perché è chiaro e racconta le cose come stanno, non cerca compassione, scrivendo gli avvenimenti più duri di come sono avvenuti in realtà, e non cerca nemmeno gloria, scrivendo gesta più intelligenti ed eroiche di quelle che ha fatto, se è stato sciocco, lo scrive senza troppi giri di parole.
Questo è un libro che fa riflettere e, sinceramente, l'ho preferito persino a "Se questo è un uomo".

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Se questo è un uomo
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La tregua 2015-06-02 15:31:47 silvia71
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silvia71 Opinione inserita da silvia71    02 Giugno, 2015
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Silenzio

Silenzio, solo silenzio.
Sfiorare il suolo del campo di Auschwitz fa male, fa rabbrividire.
Lo scorrere del tempo si è fermato in questa campagna polacca, riarsa dal sole nella stagione estiva e battuta da gelidi venti del nord nel periodo invernale.
Qua varcavano il cancello di ferro madri spaurite con una valigia in mano per contenere gli oggetti più preziosi e un bimbo da proteggere.
Uomini, giovani, adulti e anziani, resi inermi e segregati, selezionati sulla base dell'idoneità ad un lavoro bestiale oppure sterminati con metodi violenti, vessati come cavie, logorati dagli stenti e dalla fame.
Uno di quei visi che camminava tra i block del campo era quello di Primo Levi, tra i pochissimi sopravvissuti.
All'arrivo dell'armata russa quel cancello di ferro si apre; ne escono una manciata di denutriti e ammalati.
E' grazie allo scritto di Levi intitolato “La tregua” che conosciamo lo strazio del ritorno alla vita, dopo che gli occhi si erano riempiti di morte per mesi e mesi, dopo che le docce al ziklon B avevano assassinato migliaia di esseri umani, dopo che i forni crematori dei campo avevano bruciato montagne di corpi, dopo che la fame forzata aveva portato uomini donne e bambini ad una lenta agonia.

La penna di Primo Levi fotografa con minuzia e con grande cuore, il lungo percorso durato ben nove mesi per poter rientrare in Italia e riunirsi alla famiglia.
Un lungo viaggio attraverso un Europa falcidiata dalla guerra, ferrovie distrutte, villaggi rasi al suolo, il fisico minato dalla denutrizione e dalla malattia.
Il buio nell'anima e nel cuore, uomini che hanno negli occhi immagini indelebili.
Per alcuni il ritorno al nulla, niente casa e niente affetti, unici superstiti della propria famiglia.

Seppur meno letto rispetto a “Se questo è un uomo”, questa testimonianza è poderosa, per ricordare quello che fu “il dopo”.
Lo scritto è stilisticamente perfetto, tanto gradevole da leggere quanto duro è il suo contenuto.
Una lettura d'obbligo per ricordare, in silenzio.

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La tregua 2013-07-05 05:19:55 Pelizzari
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Pelizzari Opinione inserita da Pelizzari    05 Luglio, 2013
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Un'Odissea insperata

E' il naturale seguito di "Se questo è un uomo", altrettanto intenso, senza però essere un capolavoro come il primo, che anche stilisticamente è davvero ineguagliabile. Primo Levi racconta le tortuose peripezie passate durante l'insperato viaggio di ritorno da Aushwitz. E' il viaggio attraverso un'Europa distrutta dalla guerra ed in preda alla confusione, durante il quale il viaggiatore impara nuovamente a vivere. E non è solo, tante sono le figure protagoniste di questo romanzo corale, tipi umani che sembrano caricature, a tratti fin grottesche: la prima parte del libro è più ricca ed interessante; la seconda forse un pò più noiosa. Il libro viene scritto dopo molti anni rispetto agli eventi raccontati e si avverte più tranquillità nei toni, nelle descrizioni, quasi una sorta di stanchezza, pur nella permanenza dei segni indelebili che la prigionia ha lasciato, nella mente, nelle abitudini, nell'inconscio. Nei sogni pieni di spavento.

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La tregua 2012-11-10 21:22:09 Renzo Montagnoli
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Renzo Montagnoli Opinione inserita da Renzo Montagnoli    10 Novembre, 2012
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Ritorno alla vita

Raramente è capitato di imbattermi in un libro come questo, così avvincente e così facile da leggere, nonostante l’intensità e la complessità del tema trattato.
La tregua è il naturale seguito di Se questo è un uomo, racconto autobiografico in cui Levi narra della devastante esperienza della reclusione nel lager di Auschwitz, scritto quasi nell’immediato, poco dopo il suo ritorno nella casa Natale di Torino e che già lo aveva segnalato alla critica e in particolare a Italo Calvino che giunse a riconoscere in alcune pagine “una vera potenza narrativa”. Se questo è un uomo termina con l’arrivo delle truppe sovietiche nel campo di concentramento, là dove inizia La tregua, una descrizione, pure autobiografica, del lungo e tortuoso viaggio di ritorno, quasi un pellegrinaggio durato diversi mesi, attraverso un’Europa distrutta dalla guerra, devastata dalla furia inconsulta degli uomini, una piccola Odissea in cui il nostro novello Ulisse, cioè l’autore, reimpara a vivere.
L’esperienza del lager lo aveva ucciso dentro, con un annichilimento totale in cui il corpo pareva esistere disgiunto da una vera volontà, cancellata, sradicata, una sorta di vita vegetativa in cui nonostante tutto lui cercava di scampare alla morte, a differenza di altri che quasi ormai la cercavano.
Questo viaggio, determinato dal caso, dall’inevitabile disorganizzazione degli ultimi giorni di guerra e dei successivi primi di pace, diventa provvidenziale, evita lo choc di un reinserimento troppo rapido nella vita normale e conduce a una progressiva coscienza del proprio stato di uomo libero.
Ripristinate le forze fisiche, c’è così il tempo per ammortizzare quel lacerante dolore interiore, forte, insopportabile nei primi giorni di libertà, e che con il passare del tempo cala d’intensità, pur senza mai sparire del tutto.
Il viaggio è quello di un’umanità violata, di poveri esseri frastornati dall’analoga esperienza e perciò fratelli loro malgrado.
Sono tanti i personaggi, vari e finemente descritti, per cui è anche possibile considerare La tregua un romanzo corale, in cui ognuno porta i segni della sua sventura e il contributo per la rinascita. Talune vicende raccontate possono sembrare picaresche, ma sono il frutto di una certa incoscienza più che giustificabile in individui che cercano di riappropriarsi dell’esistenza, e come tutti i rinati hanno anche il candore dei bambini, la loro simpatia, le loro bizze.
Questi compagni di odissea sono gli abitanti dei paesi attraversati, i soldati dell’Armata Rossa, ma soprattutto alcuni che sono rimasti indelebili nel ricordo dell’autore: il greco Nahum e il romano Cesare, maestri nell’arte di arrangiarsi, Hurbineck, il bambino nato ad Auschwitz “che non aveva mai visto un albero”, il Moro di Venezia, gran bestemmiatore che sembra uscito dall’Apocalisse, e tanti altri, che appaiono e scompaiono nel volgere di poche righe, lasciando però il segno chiaro, marcato della loro personalità.
La coralità si trova anche nelle pagine in cui si parla del rimpatrio, a guerra finita, dei soldati vincitori dell’Armata Rossa, una moltitudine eterogenea che pare uscita dal tendone di un circo equestre, tanti pagliacci senza ciliegia sul naso, in preda a un’euforica gioia, con una incredibile e contagiosa vitalità.
Lungo questo viaggio s’incontra di tutto, come binari interrotti, campi di smistamento più o meno organizzati, panorami costituiti da piatte pianure, a tratti interrotte da vere e proprie foreste, e Levi ce ne parla, descrive, ricrea atmosfere, si abbandona, una volta lenita buona parte della sofferenza derivante dall’esperienza del lager, a un sentimento che è proprio di ogni essere umano e che fu anche di Ulisse: la nostalgia. Ritorna il ricordo della propria casa, dei familiari, cresce, prepotente, il desiderio di essere con loro: la tregua è finita, si è ormai tornati alla vita.
Il libro, scritto fra il 1961 e il 1962, beneficia indubbiamente di un lungo periodo in cui l’autore ha potuto essere finalmente fuori dall’incubo del lager e infatti la narrazione ha dei notevoli benefici, non è ansiosa, né, soprattutto, angosciante, pur se la memoria della prigionia non viene mai meno. Questo consente di stemperare i toni, di arrivare in alcune pagine a vertici sublimi, cosa che il lettore non potrà che apprezzare, con un solo dispiacere, quello di arrivare troppo velocemente alla fine.
La tregua è un libro bellissimo, da leggere e rileggere più volte, e che sempre lascia un’intensa sensazione di serenità.

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La tregua 2012-09-24 16:59:40 enricocaramuscio
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enricocaramuscio Opinione inserita da enricocaramuscio    24 Settembre, 2012
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La fine di un incubo

Aushwitz, gennaio 1945. L'arrivo dei russi segna la fine di un incubo per chi ha vissuto sulla propria pelle la triste e dolorosa esperienza della detenzione nei lager nazisti. Per gli ex “haftlinge” significa salvezza, libertà e speranza di tornare a casa e riprendere una vita normale. Ma la guerra ancora non è finita e il ritorno al proprio focolare, pur aleggiando nell'aria come qualcosa di imminente, nei fatti resta ancora lontano dal potersi realizzare. Ne sa qualcosa il nostro Primo Levi che una volta lasciato il campo di concentramento polacco si ritrova sballottato in giro per l'Europa dell'est, trovando rifugio, cibo e protezione nei vari centri di raccolta predisposti dai liberatori sovietici. Ma come si fa a sentirsi liberi quando si è ancora costretti a stare ammassati, confinati, a dipendere dagli altri e a vivere in precarie condizioni igieniche senza sapere quando tutto questo finirà? Levi stila un racconto minuzioso del periodo che va dall'apertura dei cancelli di Auschwitz al suo ritorno a Torino, raccontando avvenimenti, condizioni di vita, speranze e dolori. Inoltre descrive molto bene i luoghi visitati e offre una precisa fotografia della gente incontrata in questo periodo. Personaggi tra i più disparati tra i quali spiccano particolarmente il Greco e Cesare, abilissimi commercianti che cercano in ogni luogo e in ogni situazione di fare affari sia per guadagnare qualche spicciolo e migliorare la propria situazione, sia perché quest'attività consente loro di sentirsi in qualche modo vivi; l'energica infermiera Marja Fjodorovna, il burbero Moro di Venezia, il selvaggio Velletrano e tanti altri. L’autore è molto bravo a non farsi trascinare dai propri sentimenti, non facendo trapelare minimamente ne odio ne risentimento nei confronti dei nazisti. Ciò forse porta ad avere un racconto più freddo e distaccato, rendendolo però sicuramente più attendibile, dandogli maggiore credibilità. Commovente il finale in cui Levi spiega come alcune esperienze ti segnino profondamente nell’inconscio, e come certi fantasmi ti inseguano anche ad incubo finito.

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"Se questo è un uomo" di Primo Levi
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