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Non si vive di solo Brecht, e in questi ultimi anni, nei paesi di lingua tedesca, critici, lettori e pubblico hanno riscoperto con molto clamore un’altra grande figura del teatro del Novecento, la cui critica sociale non è certo meno corrosiva di quella di Brecht, e che pure da lui si differenzia in tutto, nei procedimenti, nell’educazione, nel senso della forma: Ödön von Horváth (1901-1938).



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Teatro popolare 2016-01-31 16:30:36 viducoli
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viducoli Opinione inserita da viducoli    31 Gennaio, 2016
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Un pugno allo stomaco delle nostre sicurezze

Questo splendido volume Adelphi, edito qualche decennio fa ma fortunatamente ancora in catalogo, ci permette di accostarci al teatro di questo poco conosciuto ma, a mio avviso, straordinario autore, perfetto esemplare dell’intellettuale mitteleuropeo del periodo tra le due guerre, tragico cantore della dissoluzione di ogni speranza di cambiamento seguita alla carneficina della prima guerra mondiale e dell’imbarbarimento dei rapporti umani, sociali e politici che sfocerà nell’avvento del nazismo. Ovviamente fu subito considerato dal regime un artista degenerato e le sue opere (come lui stesso) furono messe all’indice.
Horváth, che dirà di sé stesso: "Sono nato a Fiume, sono cresciuto a Belgrado, Budapest, Bratislava, Vienna e Monaco, e ho un passaporto ungherese… ma, e la patria? Non so cosa sia" e anche: "La mia generazione è notoriamente scettica e si illude di non avere illusioni… Noi siamo nella felice condizione di poter credere di vivere senza illusioni", avrà vita breve e movimentata, e morirà nel 1938, non ancora trentasettenne, schiacciato dalla caduta di un albero mentre era esule a Parigi.
Il volume Adelphi ci propone quattro testi teatrali tra i “meno ignoti” della produzione dell’autore, che fu prolifico ma che è poco tradotto in italiano: nelle più note librerie online è infatti disponibile solo un altro romanzo. I quattro testi proposti sono stati scritti tra il 1930 e il 1932, con il nazismo ormai alle porte, e riflettono, in un crescendo di cupezza e disperazione, il senso della disgregazione di ogni valore e della perdita di ogni speranza.
La prima commedia, 'Notte all’italiana', è una feroce satira delle divisioni della sinistra nella Repubblica di Weimar, della pochezza dei suoi rappresentanti e della sua incapacità di capire quello che sta avvenendo. I repubblicani che rispondono alla “Giornata tedesca” organizzata dai fascisti con una festa (la Notte all’italiana del titolo), che litigano tra di loro e sono convinti che non è proprio il caso di parlare di 'grave minaccia alle nostre istituzioni repubblicane' perché alla reazione manca una solida base ideologica, esemplificano l’ignavia di chi si cullava nell’idea che bastasse essere dalla parte giusta per vincere. Si badi bene che questa commedia, direttamente politica, fu scritta molto prima dell’effettiva ascesa al potere di Hitler. La denuncia della sottovalutazione del pericolo suona, con il senno di poi, tristemente premonitrice, ma il testo sembra ancora dirci che è possibile fermare la barbarie, purché ci si renda conto che è alle porte e ci si attrezzi adeguatamente.
Già con 'Storie del bosco viennese', considerato uno dei capolavori dell’autore, ogni barlume di speranza è scomparso. E’ una storia familiare, in cui compaiono personaggi della piccola borghesia bottegaia e squallidi profittatori, ciascuno dei quali assolutamente incapace di relazionarsi con chi gli sta accanto se non in termini del tutto utilitaristici e con un inusitato cinismo. Solo una ragazza, Marianne, è capace di sentimenti, e ne subirà le durissime conseguenze. Spietata è l’analisi dei rapporti che intercorrono all’interno della famiglia, dove dominano gli interessi personali e materiali e dove le convenzioni sociali si sostituiscono ai sentimenti e financo alla pietà umana. In questo senso la figura della nonna assurge a particolare efferata grandezza per il suo essere al contempo la più vecchia e la più crudele dei personaggi. Il tragico, apparentemente assurdo e nel contempo ironico finale merita (come l’intera “commedia popolare”) di essere collocato tra i capolavori assoluti del teatro del secolo scorso.
Apparentemente più leggera è 'Kasimir e Karoline', storia della fine di un fidanzamento durante l’Oktoberfest. Anche qui però la storia dei due protagonisti è immersa completamente e determinata dalle condizioni della società: Kasimir è stato appena licenziato, e questo fatto è centrale nella crisi che scoppia tra i due, come pure il facile appeal che i due borghesi Rauch e Speer (quest’ultimo dotato di un cognome profetico) che sembrano usciti letteralmente da un quadro di Grosz, esercitano su Karoline rappresentano appieno le possibilità di ricatto che in quel periodo chi disponeva di mezzi poteva esercitare su una piccola borghesia piombata nella più spaventosa insicurezza sociale. Anche qui la condanna di Horváth è senza appello: l’unico personaggio che sembra provare tenerezza per Karoline, il sarto Schürzinger, non esita a “venderla” a Rauch in cambio di un avanzamento di carriera.
Altro capolavoro assoluto è l’ultimo testo, 'Fede Speranza Carità', sul quale si accanirono le ire naziste. Qui c’è una vera vittima, la povera Elisabeth, che viene perseguitata dalla “giustizia” classista e non trova appoggio in alcuna delle persone che incontra e nelle quali ripone la sua fiducia e anche il suo amore, sino all’inevitabile tragica conclusione. Elisabeth è una eroina che merita di essere conosciuta, perché è uno di quei rari personaggi (e in questo sta il capolavoro) che nella propria tragedia personale riassumono e ci spiegano il senso di un’epoca. La breve scena della sua morte, e la sostanziale indifferenza che la accompagna, è una grandissima pagina di letteratura.
Il teatro di Horváth, insomma, è estremamente coinvolgente, ed in alcuni casi rappresenta un vero e proprio pugno nello stomaco delle nostre sicurezze e delle nostre certezze. Oggi, infatti, le cause profonde di quanto accadde in Germania nei primi anni ’30 sono, sia pur attenuate e con fenomenologie diverse, ancora tutte lì, e non è detto che non possano riesplodere, come alcuni segnali fanno presagire. Mentre però l’ignavia, l’acquiescenza e la connivenza politica sono molto simili, mancano un Horváth o un Brecht, intellettuali in grado di suonare, sia pure inutilmente, forti campanelli d’allarme.

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