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La prima storia omosessuale della letteratura russa, scritta nel 1906 da Michail Kuzmin (1872-1936), poeta e romanziere, esponente di spicco del simbolismo russo, che abbracciò la causa della Rivoluzione ma visse gli ultimi anni della sua vita emarginato ed isolato.



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Vanja 2015-03-17 05:59:26 viducoli
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viducoli Opinione inserita da viducoli    17 Marzo, 2015
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L'omosessualità come condizione dell'artista

Questo vecchio volume delle Edizioni e/o propone il romanzo più famoso di Michail Kuzmin, Vanja, oggi reperibile in un’altra edizione dello stesso autore ed anche come e-book, accompagnato dalla raccolta di poesie Immagini sotto il velo e da un breve saggio di Antonio Veneziani che tratta alcuni aspetti del problema della letteratura omosessuale.
Kuzmin, esponente di spicco del simbolismo russo nel periodo attorno alla rivoluzione sovietica, era infatti omosessuale, e del tema della educazione omosessuale di un giovane agli inizi del secolo (XX) tratta, come dice il sottotitolo, il romanzo che il volume ci presenta.
Prima di addentrarmi nell’analisi del romanzo, mi sembra importante svolgere alcune considerazioni sull’autore e sul contesto sociale e politico in cui agisce, soprattutto sul suo rapporto con la rivoluzione e il potere bolscevico dei primi anni postrivoluzionari.
Dalle note bibliografiche che chiudono il volume, dalla lettura di Vanja, ma anche dalla lettura di un altro breve romanzo dell’autore, Le avventure di Aymé Leboeuf, edito da Sellerio, emerge chiaramente come Kuzmin, da buon simbolista, concepisca l’arte come linguaggio evocativo, in grado di trasmettere livelli di conoscenza che vanno al di là della realtà percepita, e che recupera l’armonia e gli ideali di bellezza classici. Se a questo si aggiunge il suo essere omosessuale ed il suo scrivere di omosessualità sembrerebbe di avere di fronte il perfetto rappresentante dell’artista-esteta, lontano anni luce dai valori fondanti la rivoluzione bolscevica e destinato ad essere fucilato o internato nei giorni immediatamente successivi l’ottobre.
All’opposto, Kuzmin non solo fu un entusiasta sostenitore della rivoluzione, ma fu membro del presidium dell’Unione degli scrittori di Pietrogrado, insieme a Blok, Majakovskij e Punin, e ancora nel 1928 reciterà trionfalmente a Leningrado le sue poesie in pubblico acclamato da una folla di omosessuali che gli lanciavano fiori. Solo con l’involuzione staliniana sarà emarginato, morendo di polmonite nel 1936.
La parabola di questo autore ci dice secondo me molto del fervore culturale che ha accompagnato il grande rivolgimento russo, e ci dice anche molto di come tale rivolgimento fosse basato su presupposti che non implicavano necessariamente l’esito dittatoriale e fallimentare che lo ha contraddistinto, con buona pace dei sostenitori del pensiero unico e della vulgata comunismo=dittatura.
Tornando a Vanja, pubblicato nel 1906, colpisce innanzitutto la sua struttura, che a mio modo di vedere anticipa il linguaggio cinematografico come si svilupperà nel corso del ‘900, rendendo conto della profonda frequentazione che l’autore aveva con le avanguardie dell’epoca.
Il romanzo è infatti suddiviso in brevi frames, di alcune pagine ognuno, ciascuno dei quali riporta una situazione, un dialogo tra i personaggi o – in un unico caso – un monologo, e ciascuno dei quali è legato a quello che lo precede e a quello che lo segue da una sequenzialità logica ma non dichiarata, tanto che spetta al lettore ricostruire il quadro d’insieme. Kuzmin distilla per noi i momenti salienti della vicenda, lasciandoci la facoltà di legarli tra di loro attraverso il nostro giudizio e immaginando le parti mancanti. Ciò rende la lettura molto piacevole e incalzante in un racconto in cui l’azione è molto rarefatta.
Vanja è un adolescente che, dopo la morte della madre, va a vivere a Pietrogrado dagli zii per continuare gli studi ginnasiali. Qui fa la conoscenza con un amico di famiglia, Larion Dmitrievi? Štrup, raffinato intellettuale omosessuale, che gli apre la conoscenza della cultura classica, che propugna l’universalità delle leggi della natura, che non hanno, come l’amore, alcun fine predeterminato, dove non esistono bene e male," dove esiste un’antica patria, di sole e di libertà, popolata da uomini bellissimi e arditi; ed è là, attraverso i mari, le nebbie e le tenebre che noi andiamo, o argonauti!" (Quanto Whitman, se così posso dire, in questo passo tratto dal monologo di cui parlavo prima, vero manifesto dell’omosessualità come unica condizione esistenziale che permette di comprendere la bellezza e l’arte e come unica possibilità di liberazione dell’uomo dalle costrizioni della cultura cristiana).
Vanja ha così la sua iniziazione culturale, anche grazie ad un’altra figura centrale nel romanzo, quella dell’insegnante di greco Daniil Ivanovi?, amico di Štrup (forse suo amante) e come lui innamorato dell’arte classica, che nella terza parte del romanzo condurrà con sé Vanja in un viaggio in Italia, intesa come luogo dove la bellezza classica può essere toccata con mano. E’ lui che dice a Vanja per primo che non sono gli atti in sé, ma l’atteggiamento che abbiamo verso di loro che possono essere morali o immorali.
Parallela all’iniziazione culturale di Vanja c’è la sua iniziazione sessuale: per quanto detto essa non è solo parallela, ma consequenziale all’altra: per Kuzmin infatti questi due percorsi sono le due facce di una stessa medaglia e l’uno non può esistere senza l’altro. E’ l’arte, la scoperta della vera bellezza e delle leggi della natura che portano, secondo Kuzmin, all’omosessualità come forma necessaria dell’eros.
Vanja quindi scopre lentamente la sua attrazione anche fisica verso Štrup, si ritrova ad essere geloso del suo rapporto di con un altro ragazzo, e ad un certo punto rifiuta le avances di una signora con uno sdegnoso Ma lasciami stare, femmina disgustosa. Da quel momento, Vanja si rende conto della sua diversità e si prepara ad accoglierla. Kuzmin comunque sa che l’omosessualità non è un fardello semplice da portare nella società, e Vanja, sia pure con un sorriso, accennerà al dolore che può comportare la sua consapevolezza.
Non manca nella vicenda un risvolto drammatico, quello del suicidio di una giovane che, innamorata di Štrup, non può accettare il suo rifiuto e la sua patente omosessualità. Questo episodio, assieme al citato tentativo di seduzione di Vanja e a come vengono presentate le altre figure femminili, mi porta a dire che la donna è concepita da Kuzmin come un essere inferiore rispetto all’ideale di bellezza maschile dell’autore, che ci dice, nel monologo già citato: "coloro che collegano il concetto di bellezza alla bellezza della donna manifestano solo una volgare lascivia e sono lontani mille miglia dalla vera idea di bellezza. Molte altre volte l’amore per la donna è associato alla volgarità, alle convenzioni sociali e alla pura lascivia." Indubbiamente è una posizione discutibile, apertamente misogina, ma pienamente coerente con l’assunto centrale del romanzo.
Da notare che nel testo non vi sono scene erotiche (a parte il goffo tentativo di seduzione del protagonista) e neppure la parola omosessualità è mai nominata, a testimonianza del valore culturale e intellettuale che Kuzmin attribuisce all’omosessualità.
In definitiva quindi, credo che Vanja si possa definire un romanzo-manifesto, nel quale la vicenda del protagonista serve all’autore per illustrare la sua concezione dell’arte, e di quella classica in particolare, come manifestazione della vitalità dell’uomo, che può divenire compiuta solo attraverso l’attrazione reciproca di uomini (maschi) eletti, che si sono lasciati alle spalle, tramite l’approfondimento culturale, tutte le convenzioni e le costrizioni della morale cristiana. Una visione che, anche se indubbiamente elitaria, estetizzante e quasi aristocratica, non impedì a Kuzmin, come detto, di aderire alla rivoluzione, nella quale probabilmente vedeva il presupposto perché tale visione potesse estendersi a ciascun individuo.
Il libro propone anche alcune poesie scopertamente erotiche di Kuzmin (illustrate da un suo compagno), alcune delle quali sono veramente divertenti (su tutte Le riflessioni di Luca) e ci svelano come l’autore vivesse la sua omosessualità con gioia, o perlomeno con una buona dose di ironia. Il breve saggio di Antonio Veneziani nulla aggiunge a mio avviso al libro, se non la rivendicazione della necessità della corporeità della letteratura omosessuale, che peraltro Kuzmin in Vanja sublima in maniera sublime.

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