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Il Maestro e Margherita
 
Il Maestro e Margherita 2012-05-03 07:28:51 Angelica Elisa Moranelli
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Angelica Elisa Moranelli Opinione inserita da Angelica Elisa Moranelli    03 Mag, 2012
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L'inferno sono gli altri

Leggere “Il Maestro e Margherita” è probabilmente difficile quasi quanto è stato per Bulgakov scriverlo. La stesura inizia nel 1928 e, tra alterne vicende, termina soltanto nel 1940, anno di morte dell’autore. Quasi un testamento, dunque. Un testamento difficile da decifrare. O meglio. Un testamento che può essere decifrato solo da alcuni. Un messaggio nella bottiglia.

Trovare la chiave vuol dire sostituire a tutti i lucchetti che l’autore ha sparso in giro per la sua opera, la giusta combinazione. Aprire porte e allo stesso tempo essere in grado di guardare dentro, senza paura, con spirito critico e lucidità, come Margherita ha fatto sulla soglia dell’Inferno, la notte di Venerdì Santo, dolorante e impaurita.

Come ogni grande libro anche il Maestro e Margherita non contiene la storia nuda e cruda che pensiamo di leggere: vi sono diverse ambientazioni, diversi linguaggi, diversi livelli, infine.
La prima ambientazione è quella nella Russia degli anni ’30. Più precisamente la Mosca degli anni ’30 in cui irrompe con eco tragica e grottesca la figura di Woland, un esperto di cabala (più prosaicamente, Satana).

Woland giunge col suo seguito chiassoso ed efficiente (Behemot il gatto, il sicario Azazello, la strega Hella ed altri) come una bomba che scortica il buonsenso e mette a nudo l’essenza vera della società russa, soprattutto di quel microcosmo che è la prestigiosa società di scrittori presso la Casa Griboedov. A questo proposito molte e divertentissime sono le scene madri da ricordare, soprattutto lo spettacolo di magia nera al teatro, che svela l’orrore e le perversioni del quotidiano perbenismo alto-borghese.

La seconda ambientazione è un paesaggio marginale, a cavallo tra mondo reale e sogno, è il regno di Woland, tra inferno (ma chi può stabilire cosa sia davvero l’inferno?) e realtà, quella realtà che assiste attonita ed impotente all’ingresso in scena del sogno/incubo e che è da questo trasfigurato e viceversa, in un turbinio di vicende grottesche e surreali come è, a volte, la vita. La soglia dell’Inferno, sita in un qualsiasi appartamento di Mosca, è una voragine che si apre solo davanti a chi ha abbastanza coraggio per guardarla, e chi ha questo coraggio avrà amore e libertà.

La terza ambientazione è quella del romanzo del Maestro, la vicenda di Ponzio Pilato ed il suo rapporto con Cristo. Una vicenda che, a sua volta, si muove su più livelli che si intersecano con maestria: quello puro del romanzo storico, arricchito col difficile rapporto tra il procuratore della Giudea (il carnefice/amico) e Jeshua (la vittima/amico) e quella geniale del personaggio-Ponzio Pilato, prigioniero del suo autore (metapersonaggio).

Così come un’idea, un sogno, una passione sono i prigionieri e le vittime dei nostri pensieri fintanto che giacciono dimenticati in un angolo della memoria. E che vivano dunque: basta lasciarli liberi di andare.

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